Omaggio a Neruda

Omaggio a Neruda nel centenario della nascita. "Le parole non muoiono mai"
Il 12 luglio 1904 nasce a Parral, in Cile, da famiglia modesta, Neftalì Ricardo Reyes Basoalto, altrimenti conosciuto con il nome di Pablo Neruda, nome che assumerà in omaggio al poeta cecoslovacco Jan Neruda, cantore della povera gente, dopo la pubblicazione di "Venti poesie d’amore e una canzone disperata" e "Crepuscolario".
Forte di un buon bagaglio letterario, Neruda inizialmente canta la vita e l’amore, gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza e la neoromantica unità tra uomo e natura - la pioggia, i boschi, la terra, l’oceano-, ma nel corso degli anni e delle esperienze la sua poetica tenderà a rappresentare altri valori e altre condizioni esistenziali: la sofferenza, la solitudine, l’affettività familiare e amicale, la responsabilità e l’impegno, la solidarietà.
Ricevendo il premio Nobel nel 1971, dirà infatti: "Io scelsi la difficile strada della responsabilità condivisa, e, piuttosto che ripetere l’adorazione verso l’individuo (...), preferii dedicare con umiltà il mio servizio a un considerevole esercito che a tratti può sbagliarsi, ma che cammina senza sosta e avanza ogni giorno affrontando tanto gli anacronistici recalcitranti quanto gli infatuati impazienti. Perché credo che i miei doveri di poeta mi indicavano la fraternità con la rosa e con la simmetria, con l’esaltato amore e con la nostalgia infinita, ma anche con le aspre fatiche umane che incorporai nella mia poesia".
Dal 1926 al 1943 gira il mondo come rappresentante diplomatico del suo Paese, vive in Spagna nel periodo della guerra civile, esperienza che lascerà in lui una profonda impronta esistenziale: la morte di Lorca, la fucilazione di questi, e d’altri uccisi o incarcerati o costretti all’esilio, si ripercuoterà per sempre nella sua scrittura: un vuoto angoscioso e dolente che lo porterà a maturare una poesia sociale e d’azione. Proprio l’amico Garcia Lorca aveva salutato Pablo con questi versi:
" Preparatevi ad ascoltare un / autentico poeta / ( ) / Un poeta più vicino / alla morte che alla filosofia / più vicino al dolore / che all’intelligenza, più vicino al sangue / che all’inchiostro".
Tornato in Cile, nel 1944 si iscrive al Partito Comunista, ma negli anni 1948-1952 è costretto prima alla clandestinità, poi all’esilio per la sua opposizione al dittatore Gonzales Videla. Il poeta si rifugia dapprima in Argentina, dopo una fuga attraverso le Ande, poi a Parigi. Esce a Città del Messico, nel 1950, il "Canto Generale", articolato poema che parla delle Americhe, del Nord, ma del Sud soprattutto: dell’Indipendenza come dei secoli cruenti della conquista spagnola, fino agli orrori delle dittature, opera che accoglie tanto l’elemento autobiografico quanto la Storia e la cronaca quotidiana:
" Sono rinato molte volte, dal fondo / di stelle sconfitte ricostruendo il filo / delle eternità che ho popolato con le mie mani, / e ora morirò senza nient’altro, con terra / sopra il mio corpo, destinato a essere terra".
Nei primi sei mesi del 1952 è in Italia con la sua compagna, Matilde Urrutia. A Capri, la figura dell’amata ispira i "Versi del Capitano": " Il capezzolo satinato di una stella è la tua forma, / sangue e fuoco di antiche lance è sulle tue labbra. / Dove raccogliesti petali trasparenti / di sorgente, da dove / portasti il seme che riconosco ? / E poi / il mare di Capri in te, mare straniero, / dietro di te le rocce, l’olio / il retto chiarore (...)"; e ancora: "Tutta la notte ho dormito con te / vicino al mare, sull’isola. / Eri selvaggia e dolce tra il piacere e il sonno, / tra il fuoco e l’acqua".
Il 6 luglio dello stesso anno, per la mutata situazione politica, Neruda ritorna in Cile. Nel 1969 si impegna politicamente per Salvador Allende e nel 1972 è nominato ambasciatore in Francia. Già malato di leucemia, l’anno dopo rinuncia. I fatti che seguono sono noti: l’11 settembre del 1973 il colpo di Stato di Pinochet e la morte, armi in pugno, di Salvador Allende. Il 23 settembre Pablo Neruda muore a Isla Nigra, lembo di terra cilena in cui gli oceani si incontrano.
E’ rimasta al mondo l’arte di un grande poeta del Novecento, da che : "Las palabras nunca mueren", le parole non muoiono mai. Non è possibile qui riportare tutti i titoli della sua produzione letteraria né la bibliografia che lo riguarda; preferiamo sintetizzare con i suoi stessi versi la grandezza che gli appartiene: "...si deve impastare / il fango / finché canti, / insudiciarlo di lacrime, / lavarlo con sangue, / tingerlo con violette / finché esca il fiume, / tutto il fiume, / da un piccolo vaso: / è il canto: / la parola del fiume".
Maria Gabriella Canfarelli
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