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L’affanno dei verbi servili

L’affanno dei verbi servili. Poesie di Cettina Caliò

di Maria Gabriella Canfarelli - lunedì 10 dicembre 2012 - 5423 letture

La freschezza espressiva con cui Cettina Caliò affronta il disagio e la fatica di vivere in L’affanno dei verbi servili (Bastogi, 2005) è data da una scrittura agile, ironica e reattiva, efficace ad affrontare il tema del dolore e dell’assenza, del sentimento del mondo filtrato da una osservazione lucida la cui trascrizione su pagina è data da un verso asciutto, misuratissimo, essenziale come davvero / non hai mai imparato / nulla / dai morsi di ieri / sempre sei / la polvere / sui giorni / di qualcun altro.

Nella raccolta, il termine ricorrente è appunto la ‘polvere’, a indicare tanto la parcellizzazione dell’esperienza vissuta quanto quella da vivere ancora, il tempo futuro granulare, quasi impalpabile, neppure immaginato; la vita è allora uno sterminato giorno / di lutto, prassi quotidiana nella quale prende forma e sostanza una visione deformata, ciò che l’autrice definisce incubo imbellettato. Del senso di perdita che per rito di scrittura tenta di elaborare, l’autrice sviluppa alcuni punti-cardine: l’emozione come grumo, slancio trattenuto, il respiro strozzato nell’angolo, nel recinto del tedium vitae, figlio d’un pessimismo reale cui talvolta si tenta di sfuggire cercando di comunicare, condividere emozioni e ragioni.

Le parole, però, sembrano insufficienti a sostenere la dura grammatica dell’esistenza, talmente dura da provocare lo straniamento dell’io soprattutto quando i predicati verbali di genere volitivo, potere- volere, soccombono o sono più che emarginati, schiacciati dal verbo servile ‘dovere’: respiriamo / perché dobbiamo, atto meccanico, involontario che non basta / ad allargare i giorni / tra muro e muro né basta al superamento della delusione per i piccoli desideri sviliti (vorresti / l’ascensore / ti toccano / le scale / la luce / ti lascia / a metà).

L’ironia di Cettina Caliò è talvolta commista a un certo disincanto, a un orgoglioso atto di rifiuto, a gesti di scongiuro che accompagnano propositi risolutivi; Meglio sarebbe sputare / al di là del fosso / decidersi ad augurare / buongiorno / alla Signora / che tanto non serve / grattarsi / meglio sarebbe / smettere / di promettere aria, scrive a proposito del tempo-morte, realtà cui non si sfugge, del dolore che ci segue da presso, presente già alla nascita di ogni nuova esistenza: Mia madre mi partorì / tra i lutti / non era di casa / l’allegria / così è che appresso mi porto / il sapore / delle lacrime / che furono.

La vita, allora, è momentanea euforia alla quale segue la quaresima, il tempo della penitenza; pentimento solo per averla provata, l’euforica speranza alla fine della quale restano residuali tracce, il retrogusto amaro della ubriacatura, polvere o cenere: Abbiamo fatto un salto / (...) sopra carnevale / ci siamo ritrovati chini / su una panca (...) / con una croce di cenere / in fronte / (...) / sono rimasti sul marciapiede / i coriandoli (...) / dopo la baldoria / e marzo capriccioso / ci spinge / in volo basso/ tra le scarpe frettolose / e le pozzanghere.


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