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Nella Caivano di don Patriciello tra degrado e proteste

Caivano è una realtà che, di recente, ha goduto di una certa esposizione mediatica.

di francoplat - mercoledì 25 ottobre 2023 - 772 letture

La notizia, in sé, è semplice. Giovedì sera della scorsa settimana, un gruppo di donne, dotate di megafono e della volontà di parlare con don Maurizio Patriciello, parroco della chiesa di Caivano, sono scese in strada, invitando gli abitanti della zona a conferire con il sacerdote e proponendo, nel caso in cui questi si fosse rifiutato di incontrarle, di occupare la chiesa. Don Patriciello le avrebbe accolte, ma la conversazione sarebbe durata pochi minuti, anche in relazione all’atteggiamento aggressivo o minaccioso di alcune delle partecipanti alla delegazione, più o meno improvvisata.

Caivano è una realtà che, di recente, ha goduto di una certa esposizione mediatica. Lo stupro delle due cuginette nel Parco Verde e l’attività anti-camorristica di don Patriciello hanno portato nel quartiere napoletano il capo del governo, Giorgia Meloni. Era il 31 agosto scorso e, in quell’occasione, la premier aveva parlato di fallimento dello Stato, di bonifica della zona, di ripristino della legalità a partire dall’istruzione, di Caivano come degrado che avrebbe dovuto diventare un esempio e un monito per gli altri, tanti quartieri degradati del Paese, di visite istituzionali che non erano passerelle televisive. Alcuni giorni dopo la visita di Giorgia Meloni, uomini armati di kalashnikov hanno sparato, di giorno e di notte, all’impazzata nel quartiere; la risposta dei clan, secondo il sacerdote.

Caivano è emblema luminoso di quello che più e più volte si è osservato su queste pagine e che analisti e studiosi ripetono da decenni e decenni, ossia che da decenni e decenni, ossia da oltre un secolo, lo Stato non ha il controllo di una parte del territorio. Caivano è il quartiere degli alloggi occupati abusivamente, dei furti di energia elettrica, dello spaccio quotidiano nel Parco Verde, noto a tutti, da tutti conosciuto e assunto come un dato ordinario. Caivano – nelle parole dello stesso don Patriciello – è lo spazio in cui la responsabilità più grande dell’illecito che si fa cifra del vissuto abituale spetta «alle amministrazioni comunali che si sono succedute negli anni. Si giravano tutti dall’altra parte: un atteggiamento che ha favorito la diffusione di un sistema generale di illegalità».

Caivano, forse, non è il silenzio degli innocenti, della popolazione che, nella sua generalità, vive nel terrore dei clan camorristici; ma non è nemmeno lo zoo di Berlino, la sentina del vizio mafioso. A Caivano, asserisce ancora don Patriciello, «accanto ai delinquenti abbiamo anche le persone perbene»; anche se, aggiunge poco dopo, «occupano illegalmente appartamenti al Parco Verde». Appunto, le donne che lo hanno chiamato all’incontro, «che non vanno confuse con i camorristi e i delinquenti, che alimentano il business degli alloggi popolari e su cui vanno fatte invece indagini approfondite».

Quelle donne protestavano preoccupate della sorte delle loro famiglie. I controlli sull’abusivismo sono serrati, si sta procedendo al censimento delle occupazioni illegali, ma è la condizione di illegalità, sempre secondo il prete, ad avere caratteri differenti: «bisogna fare una distinzione tra chi occupa quella casa magari senza alcun titolo e chi ha lucrato su questo», tra chi vive in appartamenti assegnati ad altri, probabilmente migrati da Caivano e parenti degli attuali inquilini, e chi ha pagato per un immobile che non gli spettava.

Certo, tra le animose interlocutrici di don Patriciello, molte non hanno precedenti penali né vantano parentele mafiose di rilievo. Tuttavia, i carabinieri, intervenuti per evitare incidenti, hanno individuato, tra le altre, una donna, Angela Iaccarino, moglie di Antonio Andreozzi, vicino al clan Sautto-Ciccarelli, cognato di Pasquale Fucito – “ ‘o Marziano” nel mondo camorristico –, il re dello spaccio nel quartiere e proprietario di una casa tutta d’oro. Tutta d’oro, sì, con tigri, leoni e pavoni di ceramica a grandezza naturale e maniglie dorate, pomelli di cristalli e porta-asciugamani costellati di pietre luccicanti, sedie che assomigliano a troni, oltre che una stanza trasformata in cappella, con l’immagine, incorniciata d’oro, della Madonna dell’Arco, a cui sono devoti i partenopei.

Non tutte innocenti o perbene, forse, sono quelle donne, ma ha ragione il parroco della chiesa di San Paolo Apostolo quando chiede di operare dei distinguo e invita a non generalizzare. In questa materia, ossia la mafia, così come in altre, se tutto è mafia nulla lo è, se tutta Caivano è demoniaca, Caivano non sarà mai oggetto di interesse reale, perché non si estirpa la realtà nella sua globalità, è un onere che nessuno si accollerebbe. Don Patriciello, che vive dentro quel mondo, sa che non tutte le responsabilità sono eguali, che qualcuno ci sguazza, qualcuno ci marcia e qualcuno ci marcisce in quel pantano da cui lo Stato è stato lontano e ci si augura, d’ora in poi, lo sia un po’ di meno. Lo sa, don Patriciello, che quando devi andare a recuperare gli studenti a casa, come fa Eugenia Carfora, la preside dell’istituto tecnico e alberghiero di Caivano “F. Morano”, hai anestetizzato uno dei pochi spazi pubblici ancora utili per un qualche legame tra Stato e cittadinanza, hai depotenziato un istituto scolastico per aprire la porta di un carcere, secondo la nota frase di Victor Hugo: «chi apre la porta di una scuola chiude una prigione».

Proprio perché dentro a una scuola, forse, qualcuno potrebbe imparare che la realtà molto difficilmente si presta alle categorie facili, alle semplificazioni, che le mafie non sono istituzioni benefiche e che chi ne garantisce l’esistenza non è un individuo caritatevole, che tra le tante case occupate abusivamente nessuna vanta le maniglie dorate, appannaggio del ras camorrista, del “marziano”, l’alieno ricco in un territorio decisamente meno abbiente. Potrebbe imparare che la povertà non necessariamente è una colpa e che il silenzio è una scelta, come è una scelta delinquere, che la storia non è un monolite e funziona anche partendo dal nostro operare, che non sempre si vince, ma a volte sì, anche se sembra impossibile. Si potrebbe imparare l’arte dell’indignazione e della protesta, magari meno incolore di quella delle caivanesi che hanno voluto parlare con il parroco.

Per il deputato di Alleanza Verdi e Sinistra, Francesco Emilio Borrelli, quella protesta va condannata come paradosso, quello cioè di chi, anziché opporsi all’illegalità dei camorristi, scende «per strada per contestare un prete che è un baluardo di legalità e impegno personale a favore del quartiere e contro la delinquenza che uccide questo territorio». E, in virtù di ciò, Borrelli ha promosso lo scorso venerdì una manifestazione a sostegno del parroco davanti alla chiesa caivanese.

È lo stesso sacerdote a correggere, in parte, questa lettura. «Qualcuno soffia sul fuoco, e va dicendo in giro che la gente del quartiere perderà la propria casa per colpa mia. […] Ho detto a queste persone, che sono per la stragrande maggioranza persone perbene, di non farsi strumentalizzare dai criminali del quartiere, i quali sanno bene che il cerchio si stringe sempre più intorno a loro».

Torna sempre sullo stesso concetto, don Maurizio. Attenzione a non confondere le ragioni della protesta con chi la fomenta, a confondere chi protesta con le ragioni sottese alle voci amplificate dal megafono. Se è facile dare conto della notizia, un gruppo di signore che, con fare minaccioso, interloquiscono con un parroco, molto meno semplice è dare conto della globalità dell’episodio, del suo contesto, della storia in cui si inserisce, delle mancanze di quel territorio, della sua povertà culturale.

A tale proposito, vale la pena porsi dinanzi alla preside Carfora, intervistata da “Avvenire” (in Rete, 29 settembre 2023), la donna che cerca di riportare nelle aule gli studenti che le hanno abbandonate. Ha le idee chiare: l’istituzione scolastica deve «evitare di perdere i suoi ragazzi e cercare di farli diventare uomini liberi». A Caivano, continua, molti ragazzi vanno a lavorare in fretta, per aiutare la famiglia, «così arrivano quelli che offrono enti di formazione, percorsi accorciati». Corsi per estetiste e parrucchieri; una scorciatoia per Eugenia Carfora, «perché questi percorsi non aiutano i ragazzi a pensare, non gli danno la possibilità di crescere, così senza rendersene conto restano nel circuito di un’economia non sana, l’economia molto fiorente dell’altro stato».

Chi opera a Caivano non usa toni manichei e perentori, non fa proclami e non recita slogan. Chi opera a Caivano cerca di ricordarci che, senza qualcosa che assomigli a uno Stato civile e presente, non c’è lotta alla mafia che tenga. Non saranno sufficienti le bonifiche del territorio, i presidi militari, per quanto abbiano una loro validità come attestazione di una presenza, quella delle istituzioni pubbliche. Lo ha detto con sintesi efficace un siciliano illustre, Gesualdo Bufalino: «la mafia sarà vinta da un esercito di maestre elementari». Ma lui era uno scrittore, per giunta poco celebrato dai manuali scolastici. Almeno là dove esistono aule scolastiche in cui incontrare un manuale.


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