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L’inchino davanti alla casa del boss

La cultura dell’illegalità contro quella della legalità

di Francis G. Allenby - martedì 8 luglio 2014 - 4087 letture

È accaduto ad Oppido Mamertina, in provincia di Reggio Calabria. Era mercoledì, 2 luglio 2014, e si svolgeva l’annuale processione della Madonna delle Grazie. Il corteo, ad un dato momento, si è fermato per lasciare che la statua della Vergine si inchinasse davanti alla casa del locale boss della ‘ndrangheta. Il boss è Giuseppe Mazzagatti, di 82 anni, con un curriculum mafioso alle spalle da fare invidia a quello del mitico "Padrino" dell’omonimo film di Coppola, Don Vito Corleone. I carabinieri, guidati dal Maresciallo Marino, hanno abbandonato, giustamente, per protesta, la processione.

Pensare che, la settimana prima, il vescovo locale, Monsignor Giuseppe Fiorini Morosini, per combattere i boss, aveva chiesto di sospendere, per almeno 10 anni, l’usanza dei padrini, a battesimi e cresime. E che, solo due settimane prima, davanti a duecentomila persone, a Cassano, il Pontefice aveva scomunicato platealmente tutti i mafiosi. Ora le autorità parlano di indagini, ed il sindaco si è già attivato, ricevendone la solita risposta che “si usa fare così e che non c’entra nulla la mafia”; il vescovo, tutte le personalità ecclesiastiche più autorevoli, vogliono andare a fondo dell’accaduto.

Il ministro Alfano lo ha ritenuto “rituale ributtante” e, ovviamente, anche da parte sua vi saranno approfondimenti. L’ammirazione incondizionata, in ogni caso, va ai carabinieri ed al Maresciallo Marino: essi hanno testimoniato la vera posizione dello Stato che loro rappresentano, il loro sacrosanto non essere partecipi per simili cerimoniali meschini ed indegni. Tuttavia vi sono alcune considerazioni da fare.

La prima è la reazione del parroco locale che ha consentito e tollerato, colpevolmente, questa azione così gretta. Di più, ha chiesto ai membri della sua comunità, presenti alla messa, di aggredire un giornalista che era andato a raccogliere notizie nella chiesa del paese, cosa che i parrocchiani hanno prontamente eseguito. Vi sono delle immagini in rete di questi ‘fedeli’ che sono stati immortalati in gesti eloquenti, col dito medio alzato verso il fotografo o con altri segni minacciosi. Fa specie che ciò accada davanti ad una chiesa.

La seconda è che, nonostante la scomunica del Sommo Pontefice, così vicina nel tempo a questo evento, vi siano state persone che non la abbiano solo ignorata, ma addirittura sfidata. E questo la dice lunga sulla cultura dell’illegalità. A questo vi si aggiunge, certamente, anche ciò che ha detto il vescovo sui padrini, e che avrebbe dovuto dare una ulteriore spinta ad agire in maniera positiva.

Nulla di tutto questo è accaduto. E duecento detenuti nel carcere di Larino hanno rifiutato perfino di partecipare alla messa perché “Se siamo scomunicati cosa ci andiamo a fare?”, hanno detto. Molti di loro appartenevano alla ‘ndrangheta. Positivo il nostro giudizio che si stia indagando sulla vicenda. Stesso discorso sulla voglia di fare chiarezza su questi episodi vergognosi. Inquietante la strafottenza, l’arroganza, la sfrontatezza, la sfacciataggine di coloro che non rinunciano al ruolo di potere illegale, anche davanti alla presa di posizione del Papa, che lo stesso magistrato Nicola Gratteri ha giudicato epocale e attesa da centocinquanta anni.

“Ci scomunicano? E a noi cosa importa? Qui comandiamo noi…” Questa la reazione dei mafiosi, mentre alla cultura dell’illegalità si oppone, sempre, quella della legalità. E vi si oppone anche adesso, in queste circostanze che hanno lasciato trasparire la "nazionalità" del fenomeno e la violenta arroganza delle mafie di provare a rialzare la testa.


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