Taranto: che fare?
di
Francis G. Allenby
- giovedì 11 luglio 2013
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Quando esordii sulle pagine di questo quotidiano on line cominciai subito parlando del problema più grosso che c’era e che tuttora esiste nella mia città: l’inquinamento. Parlai di una notte di estate e dell’odore insopportabile della diossina emessa dal siderurgico. La sua provenienza mi fu confermata da una chiamata da me fatta ai Vigili del Fuoco.
Ebbene sembra proprio che la storia sia destinata a ripetersi. E non solo per l’ILVA. Qualche giorno fa lo stabilimento AGIP di Taranto ha ammesso di essere stato costretto, per evitare che l’impianto saltasse, ad esalare nell’aria una quantità eccessiva di gas. La cosa non è stata, però, senza conseguenze, provocando malori ed emergenze, specie nei quartieri a ridosso dell’opificio, come il rione Tamburi, da sempre più penalizzato negli anni da questa situazione.
Ieri notte, però, il puzzo di gas era insopportabile. Siamo stati costretti, tutti noi cittadini di Taranto, a serrare le finestre per non lasciare entrare i miasmi mefitici della miscela gassosa che stava ammorbando il cielo del capoluogo ionico. La mia solita telefonata al 115 si è rivelata infruttuosa: era sempre occupato, e arrivo ad immaginare la motivazione.
Oggi ho richiesto conferma: il gas proveniva di nuovo dall’AGIP, e mi hanno chiesto perché lo volessi sapere. La domanda, certo, era lecita.
Tuttavia trovo difficoltà, dopo tutto quello che è successo, e che sta ancora accadendo, a dare a me stesso una spiegazione del perché mi interessa. Non dovrebbe interessarmi? Non dovrebbe essere una cosa che mi preoccupa? Dopotutto, vivaddio, c’è stato un referendum, e la città ha chiesto che tutto rimanesse com’è, per salvaguardare certo una cosa importantissima, come il lavoro di tanti operai. Dal loro punto di vista è giusto, e l’ho ripetuto tante volte.
Ma se volessi rifletterci sopra potrei vedere tante, troppe incongruenze.
E mi viene alle mente un brano del libro FONTAMARA, di Ignazio Silone, che lessi da ragazzo.
In quel brano Silone metteva sulla bocca dei protagonisti la domanda CHE FARE? La situazione nel paese era diventata insostenibile e l’unica via d’uscita era fondare questo giornale locale, per denunciare i soprusi e le angherie ai quali il nascente fascismo li stava sottoponendo. Il titolo, però, ricalcava fedelmente una delle opere più importanti, dal punto di vista politico, di Lenin.
Lascio al grande Ignazio Silone la paternità di questa analogia, ed a Lenin l’origine di questo fuoco rivoluzionario che, a partire da allora, bruciò tutti gli schemi allora conosciuti, sostituendoli con quelli del Comunismo, dai valori nuovi e sconvolgenti.
Per quel che mi riguarda mi limito a chiedermi CHE FARE? Di fronte a tanta ignavia ed apatia.
Si è scoperto che a Taranto non c’è un piano di emergenza, qualora gli impianti dell’AGIP dovessero esplodere, e che tutto questo è venuto fuori nel corso di una giornata infernale di maltempo, una tromba d’aria che ha rischiato di compromettere tutte le strutture industriali di Taranto: CHE FARE?
Un tempo c’era il Partito Comunista, e la Sinistra era pronta ad intervenire qualora vi fosse un qualsiasi accenno ad un qualche diritto calpestato, a qualche prerogativa negata: ora sembra che, in un paese dove anche le cose più ovvie sembra si debbano spiegare, la Sinistra sia diventata più conservatrice dei conservatori, “più realista del re”, si diceva una volta, ed i sindacati non sono da meno, anzi… CHE FARE?
Non si può più parlare per tema di essere aggrediti da chi regola questo nuovo ordine costituito: per essere uomini giusti si deve sostenere il diritto delle fabbriche ad esistere, si deve negare che inquinino più di tanto e che l’inquinamento si può risolvere, altrimenti si è solo degli agitatori facinorosi e creatori di squilibri: CHE FARE?
Si deve, anche, evitare come la peste ogni argomento che tocchi la salvaguardia dello status quo: parlare di scompensi, di sproporzioni attuali e passate, è divenuta una cosa proibita. Mille voci sono pronte a levarsi e mille scudi ad alzarsi per difendere questo novello ‘amor patrio’ che sembra infiammi tutti. Anche andando a ritroso nella storia, se si trova una alterazione anche troppo visibile, la si deve ignorare, perché ciò da fastidio: CHE FARE?
Per essere ‘bravi, buoni ed amati da tutti’ devi pensarla come la massa, ti devi adeguare e non devi neanche permetterti di pensare con la tua testa: CHE FARE?
No, non era questo il sogno di Enrico Mattei, che creò dal nulla, o quasi, l’ENI, nel dopoguerra. Mattei voleva dare lavoro a tutti, e per questo, e per non essersi voluto piegare alle regole mondiali delle ‘sette sorelle’ fu ucciso. Questo non è il suo sogno, ma l’incubo creato da colui che lo sostituì e che molta parte ebbe nel complotto che ne causò la morte: Cefis.
Cefis, le sette sorelle, la mafia, i servizi segreti nazionali ed internazionali, i governi capitalisti di allora, del tutto simili a quelli di adesso: ci sono sempre molte di queste figure dietro tutto quello che va male in questo paese. Ma anche in altri. Da quando è nata l’Italia la mafia ne ha saputo tirare le fila, accanto agli uomini di Stato di quel tempo, fino alla DC dei tempi recenti.
Cosa dire di fronte a tutto questo? Cosa possiamo dire noi ‘pazzi ambientalisti’, rivoluzionari, estremisti, anarchici? Noi che, come Don Chisciotte, lottiamo contro i mulini a vento, spezzandoci le corna sulle loro enormi braccia di acciaio?
CHE FARE?...
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