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Juan Martin, il tennista che ha reso più umano Roger

Una battaglia soprattutto mentale ha regalato a Del Potro il suo primo Master 1000.

di Piero Buscemi - lunedì 19 marzo 2018 - 5495 letture

Nervoso, insicuro, eccessivamente falloso. Tatticamente discutibile, frutto di una certa insicurezza che era emersa già in semifinale contro il croato Coric. Federer ci ha fatto tornare tutti con i piedi per terra. Ripetere passo passo l’impresa dello scorso anno, con una sequenza clonata di finali e tornei vinti sarebbe stata fantascienza.

Il tennis, lo abbiamo già detto in altre occasioni, non è soltanto uno sport fisico. Il 60% è una condizione mentale indiscutibile ed inattaccabile. Puoi essere il numero uno del mondo. Puoi avere un’arena stipata da un pubblico che tifa per te, prima ancora di guardare la partita stessa. Non basta, quando di fronte hai un argentino di 1,98 d’altezza. Freddo, impassibile, potente e con un gioco da fermo, specialmente con il diritto, da lasciare tracce della pallina, anche su una superficie come il cemento.

Del Potro rientra tra gli avversari storici della lunga carriera di Federer che, per svariati motivi, Federer ha sempre vissuto con una certa tensione. A 36 anni, il campione svizzero non è certo il tipo che si possa far condizionare dalle statistiche che, pur vedendolo in netto vantaggio negli scontri diretti (18-7), lo vede indietro negli incontri di finale (2-4 a favore dell’argentino), un particolare che mostra come Juan Manuel in occasione degli ultimi capitoli dei tornei, riesce con la sua inquietante flemma far perdere la sicurezza e la lucidità mentale, caratteristica del campione svizzero.

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Del Potro-Federer

Vedere Roger polemizzare con l’arbitro. Arrivare addirittura a contestare un servizio di Del Potro che aveva spaccato la linea di battuta ad oltre 200 km/h, sprecando un challenger inutile su una palla così netta che non meritava sorte di dubbi, chiedere ripetutamente i game mancanti al cambio di palle, nel terzo decisivo set, erano scene che non vedevano protagonista Federer dal lontano tempo quando, ventenne, sapeva anche spaccare qualche racchetta per il nervosismo.

Nonostante tutto, dopo aver perso il primo set 6-4, la forza d’animo e la continua fame di vittorie, lo ha portato a pareggiare i conti, vincendo il secondo set al tie-break. Da quel momento, per quanto risultasse inspiegabile l’ostinazione di Federer a giocare sul dritto devastante dell’argentino, che per tutta la gara ha continuato a lasciare i solchi sul campo, sembrava davvero che lo svizzero avesse riacquistato la fiducia e la consapevolezza che, piccoli accorgimenti tattici sarebbero stati sufficienti a consegnargli un altro trofeo.

Quando abbiamo visto il punteggio che indicava 5-4 a favore di Federer e servizio a disposizione per chiudere la partita al terzo set, tutti abbiamo pensato che un paio di servizi vincenti e qualche discesa a rete sarebbero stati il copione finale di questa sfida. Sul 40-15 del game decisivo, qualcuno, simpatizzante di Del Potro, aveva già spento la tv per la delusione. Quella "arrogante" smorzata di Roger sul 40-30, dopo che l’argentino aveva annullato uno dei due match-point, per chiudere in bellezza la partita, ha determinato il seguito e l’esito della finale, con un altro tie-break che lo svizzero non ha praticamente giocato.

Juan Martin Del Potro ha guardato il cielo, quasi a cercare conferme divine su quanto stesse vivendo. Federer lo ha aspettato a centro campo, complimentandosi con un interpretabile "Enjoy" che, oltre ad invitare l’argentino a godersi quel momento, lasciava trapelare un invito ad una nuova sfida nell’immediato futuro, con la quale provare a prendersi la rivincita.

Il prossimo Master 1000 in programma da mercoledì 21 a Miami si prospetta come un ennesimo capitolo tra un Federer che, se come ribadito in altre occasioni, non ha niente da dimostrare a nessuno, ha ancora voglia di incidere il suo nome in molti altri albi d’oro del circuito, e un campione ritrovato, la cui carriera è stata troppe volte frenata da problemi fisici.

Una partita epica, che per la prima volta, anche i tifosi più fedeli di Federer, ne hanno accettato l’esito, riconoscendo al campione argentino una grande forza mentale e un’immensa umiltà nel sapere ritornare a certi livelli, e un campione svizzero, indiscusso ma, seppur definito in svariate occasioni "divino", un essere umano, con le sue eccellenze e, fortunatamente, le sue debolezze.

A proposito, 36 anni suonati di Federer, prossimi 30 di Del Potro. I rampanti e le "mature" promesse del circuito dovranno occupare ancora per qualche anno la figura di comprimari, fino a quando ci saranno loro due in circolazione.


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