Il metabolismo democratico

Ormai alle nostre orecchie democratiche risuona solo l’urlo di Cutro e di tutte le migliaia di migranti che non sono sopravvissuti alla furia del Mediterraneo...
Quando era già avvenuta la strage, ricevetti un link che rimandava a un video di Youtube con un messaggio che avvertiva sulla sua lunghezza. Sul momento, ho pensato che non potevo sottrarre due ore del mio preziosissimo tempo da dedicare «All’Urlo di Cutro». Poi ho iniziato ad ascoltarlo distrattamente e, alla fine, sono stato rapito dalla forte protesta che si è levata dal palco missionario di Brescia. Solo una ventina di persone erano presenti ed io sono stato il 437° visualizzatore del video. Quello che mi irrita di più è che i followers dei nostri beneamati politici, raggiungono almeno alcune migliaia di persone e la propaganda televisiva continua a propinarci le loro narrazioni insulse e ripugnanti.
Ormai l’autoreferenzialità regna sovrana ovunque: a qualsiasi gruppo, associazione, partito, ente o cooperativa apparteniamo, restiamo prigionieri di quell’ambito, di quelle speranze, di quelle aspirazioni. Rimaniamo avviluppati in quel ginepraio di idee che pervadono la cosiddetta democrazia.
L’esempio attuale più classico è quello del pacifismo. le idee proliferano e, in base all’ideologia, al credo di chi ha voce in capitolo, ci schieriamo per una o per l’altra sponda. Ma quante sono le varianti, le idee che circolano attorno a noi? Infinite: basta spostare per un momento il nostro punto di vista e ci rendiamo conto di vivere in un marasma propagandistico che metabolizza tutto ciò che possiamo, al più, immaginare.
Mi sento come un naufrago in un mare in tempesta: i potenti della terra fanno di tutto per distruggere questo nostro pianeta senza alcuna possibilità di poter incidere minimamente, di poter avere la minima voce in capitolo. Allora pensiamo di essere fagocitati dal sistema e il senso di impotenza si impadronisce di noi. Dobbiamo decidere se sentirci dalla parte della ragione oppure se continuare, semplicemente, a rimanere a galla in questa furiosa tempesta. Sì certo, noi siamo i paladini della civiltà, della democrazia, dell’autodeterminazione dei popoli e gli altri sono schiacciati dall’autoritarismo delle dittature, dallo strapotere delle autocrazie imperanti. In fondo, i cattivi sono pochi, sono pochi ricchissimi autocrati, gerarchi, burocrati e oligarchi.
E i popoli sono ancora considerati? Come possiamo pensare di difendere i sacrosanti principi della Democrazia? Abbiamo gli Stati Uniti che difendono questi principi e anche l’Unione Europea. Ma siamo sicuri che questi principi debbano essere difesi e imposti con le armi? Quante sono le guerre e/o i conflitti sparsi per il mondo? ( UCDP - Uppsala Conflict Data Program (uu.se) ). Proviamo a fare un piccolo, insulso bilancio di come i sacri principi della Democrazia vengono diffusi e rispettati nei vari continenti.
Tralasciando l’America del nord, dove i muri e le discriminazioni imperano e dove la pena di morte serpeggia qua e là a contraddire la salvaguardia di quei diritti umani che qui trovano la loro culla e il loro terreno fertile e le cui istituzioni globali trovano la loro sede, rivolgiamoci altrove.
Il Sudamerica presenta un quadro di democrazie traballanti sorte da variegati regimi dittatoriali e/o comunisti, come Cuba (la famigerata base di Guantanamo, governata dagli U.S.A. è un avamposto yankee che sorge proprio su quest’isola), dove i diritti umani vengono rispettati raramente e dove vengono calpestati vuoi dai regimi democratici, vuoi dai cartelli mafiosi, vuoi dalla criminalità imperante nelle periferie che definire degradate è un eufemismo. Qui, a fianco di biechi personaggi venati di dispotismo democratico (esempio del Venezuela: nessuno parla più dei due presidenti in carica), esistono dei politici in odore di santità come José Alberto Mujica Cordano, ex tupamaros, detto Pepe, ex presidente uruguaiano, democraticamente eletto, ancora vivo che, quando era in carica, sembra si sia ridotto lo stipendio a 800 euro perché sosteneva che molti del suo popolo vivevano con molto meno.
In Africa la decolonizzazione sembra essere un processo peggiore di quello scatenato dalle potenze europee fin dagli albori dell’imperialismo. Di pochi giorni fa, i violenti scontri in Sudan per la sete di potere di due generali contrapposti. Un esempio sopra gli altri sembra essere il genocidio nel Ruanda (1994), senza contare le innumerevoli guerre dei poveri scatenate dai signori della guerra, sia locali sia internazionali, nonché dal proliferare dei terrorismi che, nati in altre regioni del mondo, hanno trovato terreno fertile per i medesimi foschi personaggi che detengono gli orrendi traffici delle armi. Ma che dire di quel simpatico dittatore ugandese Idi Amin Dada che viene ancora ricordato per le sue stravaganze, non ancora provate storicamente: dal cannibalismo al fatto che si vantasse di bere il sangue dei suoi nemici sconfitti.
Il Medio Oriente e l’Asia centrale sembrano essere un discorso a parte: l’autodeterminazione dei popoli è una chimera che nessuno sbandiera più anche perché si rischierebbero figure meschine sia se ci riferissimo ai sani principi della democrazia, sia se fossimo degli intollerabili guerrafondai fedeli alle autocrazie imperanti. Pensate al vituperato popolo palestinese che si è affidato a tutti i santi che aveva in paradiso (compreso l’O.N.U.) ma che non è mai riuscito a vedere riconosciuti i propri diritti anche se, dalla nascita dello stato d‘Israele, il medesimo popolo non è stato certo a guardare ma ha abbracciato la filosofia della lotta armata, finanziata certamente da intelligence di mezzo mondo e, di conseguenza, da quegli orridi signori delle armi. Per non parlare dell’Afganistan, il cui popolo non conosce la pace da più di mezzo secolo (prima dei democratici americani, si erano già scatenati i talebani e, prima ancora, i sovietici. Per non parlare delle lotte fra inglesi e russi, fin dall’Ottocento). Oppure altri esempi di popoli vituperati: quello curdo, che non possiede un proprio paese e che viene perseguitato da tutti, sotto il vigile sguardo dei paladini della democrazia; quello siriano, iracheno e quello iraniano. In questo continente come possono essere riconosciuti come valori la Democrazia, la Pace e i Diritti Umani?
L’estremo Oriente sembra essere il regno delle autocrazie, delle dittature e dei regimi militari. Non mancano le monarchie e, addirittura, gli imperi. Esistono anche le enormi democrazie, come quella indiana, ma siamo certi che i diritti umani vengano rispettati? Chiedetelo alle minoranze religiose che sono perseguitate non solo dagli attentati estremistici ma spesso anche dal governo centrale. Eppure l’India è una democrazia e non una famelica dittatura militare come quella in Myanmar (o meglio la Birmania del premio Nobel per la pace Aungh San Suu Kyi, 1991, ritirato nel 2012 a causa degli arresti domiciliari e che dal 2021 continua a essere perseguitata dalla giunta militare, dopo che il suo popolo l’ha eletta con suffragi plebiscitari) o come quella regnante nella Corea del Nord.
E infine la Cina con il suo miliardo e mezzo di persone retto da un’autocrazia finanziaria che vuole conquistare Taiwan con le armi sostenendo che è territorio cinese anche se gli americani l’hanno sempre protetta, fin dalla rovinosa caduta del potere di Chiang Kai-shek che si rifugiò nell’isola per non essere travolto dalla furia di Mao.
Cosa ci rimane da fare, da pensare? Da una parte il popolo curdo, con l’unico esercito al mondo, privo di nazione, che ha sconfitto Daesh (o IS o ISIS) sul campo, e anche tutti gli altri popoli perseguitati che non sono degni della loro autodeterminazione a causa dell’estrema povertà in cui sono costretti a vivere e che generano le tante temute migrazioni nell’Unione Europea?
Dall’altra parte invece, il popolo taiwanese può gestire la sua autodeterminazione da più di settant’anni, grazie agli interessi economici che ruotano attorno al suo potere mondiale nel campo dei microchips?
Per fortuna l’Unione Europea, insignita del premio Nobel per la pace nel 2012 perché ha tenuto lontana la guerra per sessant’anni dai propri confini, oggi corre agli armamenti e allo scudo NATO contro la Russia per la guerra in Ucraina. Nel frattempo continua a non cogliere il problema migratorio come strutturale al quale non possiamo porre rimedio con strumenti politici obsoleti e vaneggianti (aiutiamoli a non emigrare) e, meno che meno, costruendo muri e barriere che non faranno altro che esacerbare gli animi e porteranno a genocidi intollerabili.
E in Italia? Il panorama è desolante: da una parte si litiga per capire chi è il capo, il reggente e il più figo mentre dall’altra si vuole porre l’attenzione sui pericoli che incombono sulla nostra democrazia: la fiammata sporadica dell’anarchia e l’emergenza migrazioni. L’ideologia anarchica che, come tutte le altre ideologie, risulta obsoleta da vari decenni e rimane invischiata in frange assolutamente anacronistiche, noi la stiamo alimentando, continuando a buttare benzina sul fuoco sacro dello scontro ideologico (che nostalgia per la feroce propaganda tra i vecchi PCI e DC all’indomani del referendum che portò la Repubblica in Italia).
L’emergenza migrazioni che ha preso vita più di vent’anni fa e che ci porta continuamente a rimuovere la prospettiva di un fenomeno strutturale, per nasconderci sul rassicurante fronte dell’indifferenza contingente. Ormai alle nostre orecchie democratiche risuona solo l’urlo di Cutro e di tutte le migliaia di migranti che non sono sopravvissuti alla furia del Mediterraneo, unita a quella dei potenti della terra. Ormai in Italia, da tempo, solo le voci progressiste della Chiesa (le encicliche papali «Laudato si’», 2015, e «Fratelli tutti», 2020, fino alle frasi di questi giorni, riportate da quasi tutti i media, del presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Cardinal Matteo Zuppi) sono rimaste ad affermare i diritti umani dei migranti, i valori dell’accoglienza e della salvaguardia del pianeta, come casa comune. Ormai in Italia solo l’urlo dell’anima resta come salvaguardia della Democrazia, tutto il resto è violenza fisica e/o verbale.
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