Sei all'interno di >> :.: Primo Piano | Scuola & Università |

Quel demonio del cellulare

Il ministro dell’istruzione – e del merito – ha vietato i cellulari in classe, leggi smartphone, per qualsiasi uso se ne faccia, compreso quello didattico...

di Evaristo Lodi - sabato 13 luglio 2024 - 659 letture

L’altra notte ho dovuto subire un incubo devastante. Ero tornato bambino. Chiuso in una stanza, nelle ore di veglia che aumentavano sempre di più rispetto a quelle di un sonno leggero come una brezza mattutina, accerchiato da quattro schermi enormi che mi obbligavano ad assimilare il maggior numero di informazioni possibili e di generare codice per la produzione di programmi. Del pensiero critico si erano perse le tracce così come degli insegnanti che rimanevano relegati in un angolino di uno schermo per controllare che il mio uso degli strumenti elettronici fosse adeguato e responsabile nell’ambito di una didattica moderna, coscienziosa e attenta ai rigorosi processi di apprendimento adeguati a un bambino di dieci anni.

Quattro schermi con numerose funzioni. Per dodici ore giornaliere non avrei mai potuto sottrarmi a quella nefasta influenza tecnologica, così cara alle scuole di marketing di tutto il mondo. Inutile dire che i volti che si susseguivano non erano reali. Lo schermo che più temevo era quello direttamente gestito dall’AI. Almeno per otto ore al giorno, ero obbligato a produrre e svolgere i compiti che la stessa intelligenza artificiale mi assegnava secondo un’agenda virtuale compilata dai miei nonni che godevano ancora di una salute, artificiale, di ferro.

Per fortuna, l’evoluzione della specie umana mi aveva dotato di sei occhi indipendenti che mi permettevano con agilità di padroneggiare i quattro schermi e, contemporaneamente, di mangiare, bere, giocare e divertirmi.

Poi mi sono svegliato e, come sempre meno spesso mi capita, sono uscito di casa e ho acquistato un quotidiano, incuriosito da una notizia apparsa in televisione, la sera prima, che mi aveva lasciato basito per il suo impatto rivoluzionario. State forse pensando a una delle tante guerre, a un incontro della NATO, concentrato sui medesimi conflitti oppure alle orge sataniche che si sono compiute nelle cabine elettorali di mezza Europa? Ebbene no, è una notizia casalinga, italiana, che ci spinge di nuovo a ripensare al nostro sistema educativo. Il ministro dell’istruzione – e del merito – ha vietato i cellulari in classe, leggi smartphone, per qualsiasi uso se ne faccia, compreso quello didattico.

Approfondendo, scopro che il suddetto può essere utilizzato per supporto alla didattica solo nella scuola secondaria di secondo grado, leggi superiori. Il ministro ha annunciato questo provvedimento – non mi soffermerò più sul suo carattere rivoluzionario, non ne vale la pena – a un convegno dal titolo «La scuola artificiale – Età evolutiva ed evoluzione tecnologica.» Ma come, se non sbaglio, ho acquistato il mio primo cellulare circa trentadue anni fa. Non aveva nulla di smart ma ricordo benissimo che appena la moda consumistica dilagò, le famiglie sbraitavano le loro scelte di acquistare il telefono per i propri bambini in modo da poterli controllare a distanza mentre loro, gli adulti, erano al lavoro. Da allora, mai più un controllo genitoriale fu così asfissiante.

Non si capiscono mai a pieno gli stimoli che, come per incanto, la società fa apparire sotto la coltre soffocante ma rassicurante dei consumi. Solo gli esperti di marketing, loro sì, li capiscono al volo. E nel decreto, comunque, gli strumenti tecnologici devono essere utilizzati sotto il controllo e la supervisione degli insegnanti.

Non sapevo che gli insegnanti fossero una categoria aliena. Come possono controllare l’utilizzo che i discenti fanno della nuova tecnologia, se nemmeno loro - se non in alcuni casi sporadici, legati all’intraprendenza di pochi esseri curiosi, laboriosi e senzienti - riescono a padroneggiarli pienamente? E poi se dovessero controllare, non avrebbero più il tempo di fare lezione. Ma questi alieni come la realizzano poi la lezione?

Un esempio fresco, fresco di anno scolastico appena svanito. Nella scuola dove insegno, un normalissimo istituto tecnico economico e quindi né un liceo, né una scuola professionale, in ogni aula ci sono dei monitor giganteschi di 155 pollici che dovrebbero permettere agli insegnanti un approccio didattico più moderno. Li ho usati con il controllo da computer per impedire ai quei simpatici discenti di prima superiore di sgraffignare le mie password. Un collega si è lamentato che qualche studente, non è riuscito a scoprire chi, si sia collegato con uno smartphone e abbia gestito il tablettone - così lo definisco - come se fosse un magister. L’apoteosi dello studente che trova nella scuola il suo parco di divertimenti preferito. Mi guarderei bene da dare un giudizio assoluto e generalizzato per tutti i discenti. Quando trovi qualcuno che ti chiede d’imparare qualcosa, il mio cuore si scioglie in un brodo di giuggiole e la mia vita si tinge di rosa. Almeno un esempio per ogni anno scolastico l’ho trovato, a volte anche più di uno.

Ripeto non ho esperienza diretta nei licei o nelle scuole professionali ma credo che il mondo della scuola, pur con differenze, sia assimilato e generalizzabile. Altrimenti l’istruzione italiana dovrebbe rispondere di anticostituzionalità, fattore da non sottovalutare o da escludere a priori. Peccato che fra colleghi non riusciamo a metterci d’accordo e ogni istituto scolastico adotta norme e regolamenti che vorrebbero impedire l’utilizzo dell’oggetto del provvedimento ministeriale. Chi impone di tenerli spenti (sic!) nello zaino; chi li fa tenere in bella mostra sul banco; chi li requisisce e li ripone in una scatola all’ingresso dell’aula, a volte messa sulla cattedra; chi li requisisce e li fa mettere in un armadietto presente in aula. Vi risparmio le sanzioni in caso di contravvenzione dello studente per uso improprio del cellulare. Vorrei solo farvi notare come il numero degli studenti che, durante le lezioni, guardano spasmodicamente l’orologio al polso è aumentato esponenzialmente. Chissà perché? E quando chiedi spiegazioni, ti rispondono che stavano solo guardando l’ora. Forse perché annoiati a morte dalla mia vetusta lezione. Meglio forse perché hanno convinto i genitori a risalire la china del consumismo fino all’acquisto di uno smartwatch.

Ma se vogliamo cogliere gli aspetti più moderni dei nostri istituti scolastici dobbiamo cominciare ad analizzare l’utilizzo e la funzione dell’ AI. Sempre durante quest’anno scolastico appena terminato, ho timidamente seguito un giorno di convegno ben strutturato su questo tema. Inutile dire che i politici intervenuti non hanno superato l’asticella dell’analisi retorica e superficiale del problema: sono arrivati ad accomunare gli smartphone all’AI, avvertendo gli insegnanti del pericolo che la scuola sta correndo. In una parola, gli insegnanti devono vigilare. Prima mi sono sbagliato, gli insegnanti non sono alieni bensì cani da guardia che devono vigilare. Al contrario, gli addetti ai lavori sono stati più stimolanti e hanno promosso vari spunti da cui partire per l’utilizzo dell’AI nella didattica. Per fortuna sono prossimo alla pensione perché il lavoro da fare, il gap culturale da colmare, è davvero cospicuo e guardo alle nuove leve degli insegnanti di ogni ordine e grado con sincera commozione e partecipazione.

Un altro esempio? Sempre in una prima classe superiore, chiedo allo studente più furbo - quindi più scafato delle questioni che gli possono permettere di bypassare gli impegni scolastici senza troppa fatica – di dirmi se lui usa Chat-GPT. Prontamente mi risponde che ne è vietato l’uso poi, mentre lo fisso intensamente mostra per un fugace istante un sorriso sornione di compatimento. Sono entrato in sintonia con questo studente e, dopo qualche giorno, mi ha confessato che l’uso dell’AI è pratica comune fra tutti gli studenti. E noi siamo ancora qui che discutiamo se i compiti a casa si devono scrivere sul registro elettronico o sul vecchio e stantio diario. Ministro, per favore, si tenga aggiornato e l’opposizione politica smetta di ostacolare la maggioranza con argomenti speciosi e insignificanti che fanno solo il gioco di chi è al potere.

Ma non possiamo trascurare l’assalto alla diligenza. Sì proprio in stile Stagecoach, Ombre Rosse, film di John Ford del 1940. Che dite? Anche il mio è un ritorno al passato? Per niente, mi riferisco all’assalto al mondo della scuola – e quindi della società – perpetrato dall’intelligenza artificiale. Noi ci struggiamo al sentore di un mondo della scuola democratico dove tutti hanno gli stessi diritti e dove ogni studente, stimolato dall’insegnante, deve esprimere il meglio di se stesso nell’ambito delle materie proposte. Come possiamo dimenticare che, da pochi anni, è stata introdotta la materia che permetterà ai discenti di diventare cittadini modello: l’educazione civica. Nel mosaico infinito di tradizionali curricola, ormai vetusti, l’educazione alla cittadinanza si colloca a metà fra materie classiche e momenti di forte aggregazione, legati a progetti extracurricolari generati da idee brillanti di insegnanti che, a volte, vogliono scopiazzare, secondo ferree indicazioni ministeriali, le metodologie anglosassoni, dal volto democratico ma dalla sostanza effimera.

I sindacati, per rappresentare al meglio i diritti dei lavoratori della scuola, dovrebbero preoccuparsi di più di quali sono i compiti precipui e irrinunciabili dell’insegnante e non del loro stipendio. I cani da guardia e gli alieni sono pagati anche troppo. Nel mondo della scuola, i veri insegnanti, quelli che si preoccupano di educare, faranno sempre più fatica a sopravvivere e continueranno ad avere stipendi inadeguati al proprio ruolo che resta delicato e insostituibile e funge da cardine per un’evoluzione pacifica e proiettata al futuro. L’opposizione al provvedimento è quantomeno noiosa: si parla di ritorno al passato. Ma come, nemmeno chi si oppone al provvedimento riesce a ribaltare la prospettiva? Basterebbe entrare in una scuola superiore per rendersi conto di come un provvedimento come questo sia, a dir poco, anacronistico.

Stanotte, vorrei fare un altro sogno nel quale obbligherei chi si occupa della scuola e di Scienze della Formazione di fare sperimentazione per un intero ciclo – cinque anni – nella scuola superiore. E non per poche settimane o mesi ma per ogni santo giorno dell’intero ciclo. Li obbligherei ad abbandonare le sperimentazioni nella scuola dell’infanzia ed elementare – quando va bene arrivano al secondo anno delle medie – per dedicarsi agli ambienti, diciamo così, un po’ più turbolenti. Anche se sarò tacciato di psicologia d’accatto, l’adolescente pone l’antagonismo verso gli adulti come regola di vita che, in alcuni casi, viene portata allo spasimo. Tutti lo dovrebbero sapere in quanto, comunque, ex adolescenti, a meno che non siano rimasti degli eterni adolescenti.

E poi obbligherei il ministro dell’istruzione e del merito a fare la stessa cosa per un periodo un po’ più breve, almeno un anno scolastico, non in un liceo però, in modo da rendersi conto di quello che è il mondo, la società che sta dirigendo dalla sua torre d’avorio. Perché un periodo più breve? Perché la sua fretta di percepire un lauto stipendio – se è già parlamentare, un doppio lauto stipendio – lo deve rendere edotto su cosa vuol dire percepire uno stipendio da cane da guardia o da alieno e lo deve stimolare a non emettere più decreti da operetta ma a fare una riforma, degna di quel nome, che stia al passo con i tempi e soprattutto con le novità tecnologiche che rischiano, ormai come sempre, di diventare i nuovi dèi consumistici per le nuove generazioni invece di essere portatrici di una società educata ad affrontare le sfide della vita reale.


- Ci sono 0 contributi al forum. - Policy sui Forum -