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Il sogno di un’epoca

Siamo di fronte a un nuovo contesto culturale: la ricerca del senso non avviene più mediante argomentazione ma mediante narrazione dai caratteri mitici. (Paolo Benanti)

di Evaristo Lodi - sabato 28 dicembre 2024 - 351 letture

E se cambiassimo la narrazione mitica su tutto ciò che ci circonda?

Non vorrei essere banale ma la necessità di un cambiamento è urgente, non è procrastinabile. Il mondo è cambiato e, sotto gli occhi di tutti, questo mutamento della realtà ci crea tensioni, ci disorienta e ci spaventa. Il cambiamento d’epoca a cui stiamo assistendo ci rende quasi impotenti nei nostri puerili tentativi di analisi.

L’esercizio perverso del potere, a ogni livello, è diventato endemico su tutto il pianeta, è un fattore globalizzante. Chiunque si aggrappi alla propria funzione sociale con piglio politico tende a schiacciare e far soccombere il proprio sottoposto, il proprio suddito, il proprio schiavo; sia questo un’entità fisica singola sia, al contrario, un’entità politica e sociale fino a soggiogare un’intera popolazione.

“Possiamo affidare a una macchina la selezione di chi è degno di nascere e chi no? Può un sistema statistico decidere quali vite sono degne di vivere e quali no? Non stiamo forse realizzando una delle peggiori distopie che la letteratura ha ipotizzato nei racconti fantascientifici?” [1]

Da questo sono generate le guerre e i genocidi che ci circondano senza che si possa concepire o attuare una qualche forma di protesta. Dai campus universitari americani la protesta si era diffusa nelle piazze universitarie europee e non posso nascondere una simpatizzante lacrimuccia nostalgica per i tempi che furono. Il problema sembra proprio questo. Le società democratiche occidentali ma anche le più feroci dittature assorbono le proteste più svariate come se nulla potesse essere messo in discussione. Il risultato? Una prigione a cielo aperto dove ognuno cerca un’autoaffermazione consumistica per poter emergere ed esercitare il proprio potere acquisito.

Ripeto, questo accade a ogni livello e la dilagante, degradante e devastante burocrazia si espande a macchia d’olio fino a inquinare e infettare ogni angolo del pianeta, con buona pace della globalizzazione. La burocrazia si espande perché non si sa come governare i nuovi processi, la nuova epoca che sembra voler cancellare in pochi decenni tutto ciò a cui ci siamo aggrappati. È sorta una forma di rassegnazione strisciante che non risparmia i popoli ma che viene giustificata e accettata come ineluttabile, sia che si professi la difesa della patria, sia che si glorifichi il nostalgico prestigio imperiale, sia che si voglia estirpare dal mondo il terrorismo, sia che si voglia esportare il proprio modello sociale e politico con le armi. Questa nuova epoca ci impone di cambiare e ribaltare le prospettive di analisi e di proporre soluzioni originali.

Ma il Problema è proprio questo. Giorgio Gaber cantava:

“Un’idea, un concetto, un’idea finché resta un’idea è soltanto un’astrazione. Se potessi mangiare un’idea Avrei fatto la mia rivoluzione” [2]

Il fatto è che le idee sono state tutte globalizzate, metabolizzate, digerite: in ogni luogo dove si respiri una parvenza di democrazia le idee rimangono astrazioni anche un po’ noiose e prive di costrutto. In ogni gruppo che si sia formato o che si formi in questo istante (dai gruppi di potere a quelli sui social media) l’auto-referenzialità regna incontrastata e soffoca qualsiasi impeto spontaneo e originale. Come fare? È giusto ribellarsi allo status quo? Le domande rischiano di rimanere senza risposta e, se va bene, ci permettono solo di elaborare un’illogica utopia.

Fino al momento in cui la lotta di classe era una realtà incontrovertibile, ci si poteva schierare, si poteva prendere una posizione, si poteva sperare di rovesciare il nemico, credendo a una profetica fase rivoluzionaria che permettesse anche solo di immaginare un futuro migliore. Ma la cultura americana ha stuprato le vecchie e nuove culture procedendo, in ordine sparso, da quella europea alle nascenti società, fino ad arrivare nei luoghi più remoti del pianeta. Tutti i paesi si sono lasciati conquistare dalle affascinanti figure degli yankee che, come il canto di una bellissima e intrigante sirena, si sono insinuati sornioni nelle società fino ad assoggettarle all’orrido Moloch del consumismo.

L’American Dream, il Sogno Americano ci ha cullati per quasi ottant’anni nel suo rassicurante messaggio di protezione dall’orda sovietica che minacciava la democrazia. Ci ha illuso di appartenere a un mondo vincente, gioioso e perennemente concentrato verso uno sviluppo economico irrefrenabile che ha privilegiato gli enormi squilibri generati dal consumismo selvaggio, quasi fosse un mondo oscillante fra le frivolezze di Barbie e le inutilità maschiliste di Ken [3]. Il comunismo sovietico è crollato sotto questa mannaia e la Russia o la Cina di oggi sono il processo ineluttabile che si sta svolgendo sotto i nostri occhi increduli. Non riusciamo a capacitarci come questo colosso americano sia fondato su piedi d’argilla.

Abbiamo vaneggiato e vagheggiato che ci avrebbe condotto verso un futuro radioso: ricordo la felicità dei miei genitori per ogni successo consumistico che riuscirono a raggiungere. Non erano certo ricchi, ma il solo prolungare di una settimana il periodo di ferie agostane, oltre i canonici quindici giorni, permetteva loro di toccare il cielo con un dito.

Il sogno americano era penetrato nella mente delle popolazioni europee che appartenevano all’influenza, cosiddetta occidentale. Il processo era iniziato con il periodo della ricostruzione, subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, con l’enorme evoluzione economica degli U.S.A. che generò un’inarrestabile ventata consumistica: l’onda del Piano Marshall dilagò e noi ci illudemmo di poterla dominare con una semplice tavola da surf [4]. Si pensò che quell’onda fosse un’esclusiva della società americana e delle società ad essa alleate ma nascondeva una diffusione decisamente più capillare e globalizzante, tale per cui oggi possiamo recarci nel punto più remoto del pianeta, per trovare gli stessi stili di vita, più o meno diffusi, che serpeggiano fra popolazioni ignare delle conseguenze globali. Quando la sete di ricchezza, benessere e prosperità del secondo dopoguerra confluirono in quella sete di conoscenza, l’immaginazione si sostituì al sapere per interpretare i fenomeni reali e concreti. Il mito divenne una componente fondamentale dell’esperienza umana e lo è diventato per tutte le società del pianeta anche se poche lo identificano ancora con il modello americano.

Non voglio sottrarmi a questo processo anzi, a dire il vero, da studente fui profondamente affascinato, direi folgorato, dal Sogno Americano, fino a credere che la democrazia americana fosse il simbolo di qualsiasi prosperante regime democratico opposto a qualsiasi dittatura. Tutto questo senza voler attribuire al meccanismo del mito giudizi morali o di valore ma comprendendo come questo processo tenda, a ogni costo, verso il raggiungimento dello scopo prefissato. Il mito come strumento di modificazione dell’ambiente nel momento in cui detto scopo viene raggiunto. Nel momento in cui si raggiunge lo scopo, il mito subisce sempre un’evoluzione anzi sarebbe meglio dire un’involuzione, una decadenza oppure viene rielaborato fino ad assumere nuove valenze e nuovi obiettivi che snaturano completamente il suo carattere originario. L’American Dream sembra diventato un terrificante Nightmare, un incubo.

Oggi la società a stelle e strisce si sta contorcendo su sé stessa, sta soffocando attorno a quelle spire che essa stessa ha generato e diffuso. La società americana crede ancora di essere l’unico baluardo della democrazia contro la tirannide e l’insistenza retorica dei suoi presidenti ci rende impotenti perché ormai siamo convinti che il benessere consumistico sia l’unico modello di vita degno di essere vissuto. Nel finale dell’ultimo osceno film di Ridley Scott [5] un ribelle gladiatore (oggi alcuni direbbero terrorista) arringa le truppe opposte ma pur sempre soldati dell’impero romano con frasi del tipo: Un sogno, un ideale per cui lottare, combattere. Il sogno è perduto ma noi lo ricostruiremo assieme.

Gli americani sognano di fondare una nuova società basata sui vecchi ideali democratici su cui era sorta due secoli e mezzo fa, grottescamente in linea con le nuove chiese, sedicenti cristiane [6], che spopolano in molte parti del globo: il sogno americano è diventato un incubo. Stiamo assistendo alla fine di un impero o dell’ennesima gigantesca, planetaria prova di forza di un potere schiacciante, di un’Apocalisse a rate [7].

[1] Paolo Benanti, Oracoli. Tra algoretica e algocrazia, 2018, Luca Sossella Editore.

[2] Giorgio Gaber, Un’idea, 1972

[3] Greta Gerwig, Barbie - il film -, 2023

[4] John Milius, Big Wednesday, Un mercoledì da leoni, 1978

[5] Ridley Scott, Il Gladiatore II, 2024

[6] Editoriale Orbi et urbi, rivista Domino, n.12 – 2024: [la Chiesa cattolica] A differenza del passato, non simboleggia più la modernità neppure tra le popolazioni extra-occidentali, superata dalle chiese evangeliche, annuncianti le delizie (e il machismo) del sogno americano.

[7] Roberto Barbolini, Apocalisse a rate, FuoriAsse, Torino, 2024


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