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Addio Ashley Cooper

A 83 anni ci lascia uno dei più forti tennisti del periodo classico di questo straordinario sport.

di Piero Buscemi - venerdì 22 maggio 2020 - 2640 letture

Le racchette erano di legno, le corde di budello. Le palline erano bianche e il gesto sportivo era una pluralità di elementi che andavano dall’eleganza al tocco raffinato che dava al tennis un’immagine di signorilità riservata a pochi. In campo si scendeva con il classico maglioncino smanicato a V. Erano gli anni dei grandi campioni della scuola australiana. Neale Fraser e Rod Laver, quest’ultimo poi monopolizzò le attenzioni della stampa sportiva da adombrare qualsiasi altra impresa, australiana o internazionale che fosse.

Ashley Cooper non era apprezzato per un particolare gioco dove la classe e la genialità facesse la differenza. Era un tennista molto più solido e concreto rispetto al già citato Laver o a un Ken Rosewall, prediligeva le superfici veloci dove ha riscosso i più importanti successi, ma non sfigurava sulla terra battuta.

Si fece notare nel 1957 con la vittoria agli Australian Open poco più che ventenne. Vincere gli AO per un giocatore australiano era di quanto meglio si potesse desiderare per una intera carriera, senza considerare che la vittoria in questo slam rappresentava il salto di qualità nel tennis che conta. Ripeté l’impresa l’anno seguente ma il 1958 è anche ricordato come l’anno della grande impresa del campione australiano che nello stesso anno si aggiudicò anche Wimbledon e gli US Open, arrivando ad un passo dal Grande Slam eliminato al Roland Garros dal cileno Luis Ayala in semifinale.

ashley-cooperNel bienno 1957-58 fu registrato come numero uno del mondo. Intendiamoci, non era l’era degli astrusi calcoli al computer per stilare la classifica, ma i quattro slam conquistati non mettevano in dubbio che lo fosse. Tecnicamente sarà ricordato per il suo splendido rovescio che ha fatto scuola per i campioni dei decenni successivi e che per gli intenditori, rimarrà il gesto tecnico d’espressione di eleganza e plasticità che il tennis offre allo spettatore.

Nel due anni su menzionati dell’apice raggiunta da Ashley John Cooper, occorre ricordare nel 1957 le due sconfitte in finale in altri due importanti slam, rispettivamente a Wimbledon a spese di un altro grande australiano Lew Hoad (morto nel 1994), e agli US Open da un altro connazionale Malcolm Anderson. Nel 1958 si aggiudicò gli AO e gli US Open ai danni proprio di Anderson, Neale Fraser battuto l’anno precedente agli AO, fu il finalista del trionfo a Wimbledon di Cooper.

Erano altri tempi, sicuramente. Migliori o peggiori non spetta a noi giudicare, e forse nessuno ne ha veramente il diritto di farlo. Un’espressione molto lontana ed un’interpretazione diversa di uno sport che, come abbiamo sottolineato in altre occasioni, è talmente mutato da rischiare col passare del tempo di snaturare completamente lo spirito che lo ha fatto nascere.

Rimaniamo dell’idea che gli anni di Cooper, di Laver, di Rosewall, ma anche del nostro Pietrangeli sono stati quelli che hanno dimostrato che per praticare questo sport occorreva una completezza su tutti i colpi fondamentali che il tennis implica. Oggi, spesso, ci capita di assistere a campioni che oscillano nelle prime posizioni della classifica mondiale potendo contare solo su un paio di fondamentali.

Ashley John Cooper era nato a Melbourne il 15 settembre 1936 ed è deceduto il 22 maggio 2020.


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