A giocare con gli angeli ci si lascia le penne?
Il gioco dell’angelo / Carlos Ruiz Zafón, Mondadori 2008
Attenti a giocare con gli angeli, verrebbe da pensare leggendo il libro di Carlos Ruiz Zafón, Il gioco dell’angelo (El juego del ángel, 2008). Qualche anno fa in Italia abbiamo conosciuto un “dibattito sull’angelo”. Era allora uscito, nel 1986, un testo come L’angelo necessario di Massimo Cacciari che rimandava tra l’altro a Wallace Stevens, Rilke ecc.. Per un po’ sembrava di essere tornati a forme di angiologia perverse. In un paese grattatamente cattolico, la faccenda degli angeli è sempre sul filo: tra sospetta pruderié verso perversioni efebiche e tenaci fascinazioni per l’antitesi dell’angelo, il demoniaco.
Il romanzo di Ruiz Zafón posto cronologicamente come secondo ma terzo nell’ordine virtuale della tetralogia su cui sta lavorando lo scrittore barcellonese, non sembra sfuggire a questo clima demoniaco, la fascinazione per il maudit, per l’atmosfera non solo crepuscolare o decadente ma decisamente noir, a tinte fosche, mortifiera, goticheggiante. Protagonista è David Martín, scrittore, e alla base della storia vi è l’ossessione della scrittura - e la centralità della scrittura nella vita ossessionata, la scrittura che diventa borgesianamente (nel senso di Jorge Luis Borges) autoreferenziale, metanarrativa. Ancora una volta, come ne L’Ombra del vento, primo libro della quadrilogia, la “biblioteca” o “cimitero dei libri dimenticati” ("dove i libri che nessuno più ricorda, i libri che si sono perduti nel tempo, vivono per sempre, in attesa di arrivare tra le mani di un nuovo lettore, di un nuovo spirito", "ogni libro ha un’anima. L’anima di chi l’ha scritto e di quelli che l’hanno letto, vissuto e sognato") appare marginale all’interno della trama del romanzo. Una piccola deviazione sulla trama, che dà tuttavia il colore e un senso ulteriore alla narrazione.
Tutto il nero e il demoniaco che sprigiona Barcelona e il romanzo sembrano essere la premessa a ciò che avverrà di lì a poco in Spagna - la guerra civile e la dittatura franchista -, e nella vita dei diversi protagonisti non solo di questo romanzo ma della serie. Romanzo fascinoso, forse anche proprio per la capacità di riportare il lettore a ambienti e forme di scrittura pre-attuali, ottocentesche persino, atmosfere da incubo e una spruzzata di romanticismo. Decisamente riuscita la figura vispa e controcorrente di Isabella. Sull’atmosfera evocata da Ruiz Zafón aleggia L’angelo di Rilke:
Risvolto di copertina:
Nella tumultuosa Barcellona degli anni Venti, il giovane David Martín cova un sogno, inconfessabile quanto universale: diventare uno scrittore. Quando la sorte inaspettatamente gli offre l’occasione di pubblicare un suo racconto, il successo comincia infine ad arridergli. È proprio da quel momento tuttavia che la sua vita inizierà a porgli interrogativi ai quali non ha immediata risposta, esponendolo come mai prima di allora a imprevedibili azzardi e travolgenti passioni, crimini efferati e sentimenti assoluti, lungo le strade di una Barcellona ora familiare, più spesso sconosciuta e inquietante, dai cui angoli fanno capolino luoghi e personaggi che i lettori de "L’ombra del vento" hanno già imparato ad amare. Quando David si deciderà infine ad accettare la proposta di un misterioso editore - scrivere un’opera immane e rivoluzionaria, destinata a cambiare le sorti dell’umanità -, non si renderà conto che, al compimento di una simile impresa, ad attenderlo non ci saranno soltanto onore e gloria.
Una recensione:
"Questo posto è un mistero. Un santuario. Ogni libro, ogni volume che vedi, ha un’anima. L’anima di chi lo ha scritto e di quelli che lo hanno letto e vissuto e sognato. Ogni volta che un libro cambia di mano, ogni volta che qualcuno fa scorrere lo sguardo sulle sue pagine, il suo spirito cresce e si rafforza. In questo posto i libri che nessuno più ricorda, i libri che si sono perduti nel tempo, vivono per sempre, in attesa di arrivare tra le mani di un nuovo lettore, di un nuovo spirito..."
C’è ancora odore di zolfo nel nuovo ed atteso romanzo di Carlos Ruiz Zafón, Il gioco dell’angelo, che pare rielaborare e ripresentare parecchi temi, personaggi ed immagini che già erano apparsi ne L’ombra del vento. Anche in questo romanzo si parla molto di libri (per la gioia dei lettori accaniti) e di scrittori, anche ne Il gioco dell’angelo il protagonista fa una puntata al Cimitero dei Libri Dimenticati e anche lui, come il Daniel de L’ombra del vento, sembra vivere la vita di qualcun altro, scrivendo lo stesso libro - o quasi - che un altro aveva scritto.
Non proviamo neppure a riassumere la trama ricchissima del romanzo, ci limitiamo a raccontare lo spunto iniziale: un giovane e ambizioso scrittore, che si è messo in luce con dei romanzi d’appendice, riceve una proposta da un editore francese. Per un compenso esorbitante deve scrivere una narrazione religiosa, una sorta di Bibbia, tanto per intenderci, e può pescare a piene mani da tutto quello che è già stato scritto. E David Martín accetta, anzi, è forzato ad accettare perché muoiono, in maniera violenta e sospetta, entrambi gli editori che pubblicavano la serie de La città dei maledetti e che lo tenevano legato con un contratto a lontana scadenza.
Questo è il cuore del romanzo, quello che esala puzza di zolfo - chi è il misterioso Andreas Corelli che risulta essere morto almeno quindici anni prima, dovrebbe abitare a Parigi ma convoca David in una casa del goticheggiante Park Güell di Gaudì? qual è il gioco di quest’uomo che porta una piccola spilla con un angelo sul risvolto della giacca? non è il caso di ricordare che anche Lucifero era un angelo...E poi c’è una lunga scia di morti, soprattutto mentre ci avviciniamo alla conclusione del libro - alcuni di questi morti saltano fuori dal passato, sembrano quasi uscire dalle tombe del cimitero che è un altro luogo degli incontri tra David e Corelli, si nascondono dietro pareti celate da armadi; ci sono cadaveri che sanguinano ancora, altri che si sbriciolano al tatto, altri che guardano con occhi sbarrati sotto una lastra di ghiaccio. Mentre la polizia dà la caccia al colpevole: chi vuole che David paia essere l’assassino?
È una fortuna che ci siano altre storie intrecciate a questa, di un patto mefistofelico, che è la principale de Il gioco dell’angelo e che risulta un poco stancante nel finale da grand guignol con suggerimenti di eterna giovinezza alla Dorian Grey. Si allude spesso, nel romanzo, a Grandi speranze di Dickens: conosciamo l’infanzia di David, infelice quanto quella dell’eroe dickensiano; come Pip pure David ha la possibilità di realizzare le sue ambizioni con dei soldi ’sporchi’. In più ci sono altre scene, all’interno della fatiscente Casa della Torre presa in affitto da David, che ricordano quelle nella spettrale dimora di Miss Havisham, e poi c’è l’amore idealizzato di David per Cristina che ha qualcosa di quello di Pip per Estella. Il personaggio più bello di tutto il romanzo, tuttavia, è quello del libraio Sempere (ricordate il padre libraio di Daniel ne L’ombra del vento?), l’uomo dal cuore grande che morirà d’infarto, che accoglie David bambino in fuga dal padre che lo ha picchiato, che gestisce una libreria in perdita perché compera libri che andrebbero al macero, perché presta libri che non gli vengono restituiti... E, dopo di lui, quello dell’incantevole, spiritosa e brillante Isabella, apprendista scrittrice, innamorata di David anche se finisce per sposare Sempere junior.
In un libro così corposo è inevitabile che ci siano molti pregi e molti difetti. Se da una parte ci vien fatto di pensare che è vero che uno scrittore finisce per scrivere sempre lo stesso libro, dall’altra restiamo irretiti dalla ragnatela delle storie - perché Carlos Ruiz Zafón sa raccontare -, inghiottiti da quello che pare essere un romanzo dentro un romanzo che contiene un altro romanzo, thriller, feuilleton, romanzo gotico, storia d’amore.
Fonte: http://www.wuz.it/recensione-libro/2828/gioco-angelo-carlos-ruiz-zafon.html
Le prime pagine:
Uno scrittore non dimentica mai la prima volta che accetta qualche moneta o un elogio in cambio di una storia. Non dimentica mai la prima volta che avverte nel sangue il dolce veleno della vanità e crede che, se riuscirà a nascondere a tutti la sua mancanza di talento, il sogno della letteratura potrà dargli un tetto sulla testa, un piatto caldo alla fine della giornata e soprat¬tutto quanto più desidera: il suo nome stampato su un miserabile pezzo di carta che vivrà sicuramente più a lungo di lui. Uno scrittore è condannato a ricordare quell’istante, perché a quel punto è già perduto e la sua anima ha ormai un prezzo.
La mia prima volta fu un lontano giorno di dicembre del 1917. Avevo diciassette anni e lavoravo a "La Voz de la Industria", un giornale in rovina che languiva in un cavernoso edificio che una volta aveva ospitato una fabbrica di acido solforico e le cui pareti trasudavano ancora quel vapore che corrodeva i mobili, i vestiti, l’anima e perfino le suole delle scarpe. La sede del giornale si ergeva oltre la foresta di angeli e croci del cimitero del Pueblo Nuevo, e da lontano il suo profilo si confondeva con quello delle tombe di famiglia ritagliate su un orizzonte accoltellato da centinaia di comignoli e di edifici che intessevano un perpetuo crepuscolo nero e scarlatto sopra Barcellona.
La sera in cui sarebbe cambiato il corso della mia vita, il vicedirettore del giornale, don Basìlio Moragas, volle convocarmi poco prima della chiusura nell’oscuro cubicolo incassato in fondo alla redazione che fungeva da fumoir di sigari e da ufficio per lui. Don Basilio era un uomo dall’aspetto feroce e dai baffi rigogliosi che andava per le spicce e sosteneva la teoria secondo la quale un uso liberale degli avverbi e l’aggettivazione eccessiva erano cose da pervertiti e da persone con carenze vitaminiche. Se scopriva un redattore incline alla prosa fiorita, lo spediva tre settimane a stilare necrologi. Se, dopo la purga, il soggetto recidivava, don Basilio lo destinava alle pagine dei lavori domestici vita natural durante. Lo temevamo tutti, e lui lo sapeva. «Don Basilio, mi ha fatto chiamare?» mi affacciai timidamente.
Il vicedirettore mi guardò di sottecchi. Entrai nell’ufficio che puzzava di sudore e di tabacco, in quest’ordine. Don Basilio ignorò la mia presenza e continuò a rivedere uno degli articoli che aveva sulla scrivania, matita rossa alla mano. Per un paio di minuti mitragliò il testo di correzioni, quando non si trattava di amputazioni, masticando improperi come se io non ci fossi. Non sapendo che fare, notai una sedia appoggiata al muro e feci per accomodarmi.
La trama de Il gioco dell’angelo (da Wikipedia):
Nella Barcellona cupa e tumultuosa degli anni Venti, il giovane David Martín lavora come inserviente in un giornale locale e sogna di diventare uno scrittore. Grazie alla raccomandazione del conte Pedro Vidal, suo protettore da quando è rimasto orfano, Martin riesce a pubblicare un racconto sul giornale e il successo comincia ad arridergli. Sempre grazie a Vidal ottiene un contratto con un piccolo editore con cui inizia a pubblicare una serie di libri intitolata La città dei maledetti con lo pseudonimo di Ignatius B. Samson. Per mantenere i ritmi richiesti dalla sua nuova carriera di scrittore professionista Martin inizia a dedicarsi solo alla scrittura chiuso all’interno della sua nuova tetra dimora "la casa della torre" e trascurando la salute e i rapporti interpersonali. Le uniche persone con cui continua ad avere un rapporto in questo periodo sono il vecchio libraio Sempere, il suo mentore Vidal e la giovane Cristina, figlia dell’autista del conte, di cui Martin è da sempre perdutamente innamorato. Turbato dai suoi continui mal di testa Martin decide di andare da un medico scoprendo di avere un tumore al cervello e un solo anno di vita da vivere. Stanco di scrivere libri dozzinali sotto pseudonimo decide di lavorare per far pubblicare il primo libro col suo vero nome, dedicandovi anima e corpo. Nel frattempo, su richiesta di Cristina, riscrive segretamente le bozze del libro che il conte Vidal sta tentando di completare senza successo da vari anni. I due libri usciranno quasi contemporaneamente ma mentre il libro di Martin sarà un clamoroso fiasco, quello da lui scritto per Vidal si rivelerà un successo di pubblico e critica. A completare la depressione di Martin arriva anche la notizia del matrimonio fra Vidal e Cristina.
Perse ormai tutte le speranze, Martin decide di cedere alla proposta dell’enigmatico editore francese Andreas Corelli che gli promette 100000 franchi e la guarigione dal tumore in cambio del suo impegno per scrivere un libro che possa fungere da testo sacro per una nuova religione. Riconquistata la salute in seguito ad un enigmatico sogno durante una visita alla casa dell’editore Corelli, Martin torna alla sua casa e si mette all’opera, riguadagnando anche un po’ di buon umore grazie alla compagnia di Isabella, una giovane aspirante scrittrice raccomandatagli dal libraio Sempere che inizia a vivere con lui per imparare il mestiere. L’improvvisa morte dei suoi due vecchi editori, a cui era legato da un contratto capestro, fa però capire a Martin di essere andato a finire in una situazione poco limpida oltre a svegliare l’interesse del commissario Victor Grandes che inizia a svolgere indagini sul suo conto.
Anche Martin inizia a svolgere indagini sul suo inquietante "principale" Andreas Corelli e sull’avvocato Diego Marlasca, vecchio inquilino della "casa della torre", morto in circostanze misteriose dopo aver anche lui, molti anni prima, ricevuto da Corelli il compito di creare una religione. Mano a mano che l’indagine procede Martin scopre di trovarsi al centro di un complotto ordito dal vecchio Marlasca, che in realtà ancora vivo, cerca di ottenere salvezza per la sua anima sacrificando quella del giovane scrittore. Per centrare il suo obiettivo Marlasca non esita a causare la morte di numerose persone attorno a Martin, fra cui il vecchio Sempere. L’amata Cristina, che nel frattempo si era separata dal conte Vidal, verrà portata alla morte dal diabolico Corelli.
Martin, ormai solo e condannato alla dannazione per aver accettato l’offerta di Corelli, riesce infine ad uccidere Marlasca prima di abbandonare definitivamente Barcellona lasciando alle sue spalle la sua ex-assistente Isabella, che nel frattempo si è fidanzata con il giovane figlio del libraio Sempere. Il romanzo si chiude nel 1945 con Martin che vive su una spiaggia senza nome condannato ad un’eterna giovinezza da passare in solitudine. Qui incontra nuovamente Corelli che porta con sé una bambina che si rivelerà essere Cristina: Martin avrà la possibilità di rimediare agli errori che hanno causato la morte del suo amore, ma sarà anche condannato a vederla crescere, invecchiare e morire mentre lui rimarrà sempre giovane.
Nel finale del libro, in una lettera, Isabella afferma di avere avuto un figlio, Daniel Sempere, protagonista de L’ombra del vento.
Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Il_gioco_dell’angelo
Il libro:
Il gioco dell’angelo / Carlos Ruiz Zafón, traduzione di Bruno Arpaia. - Mondadori, 2008, pp. 684. - (Scrittori Italiani e Stranieri). - ISBN 978-88-04-58335-6
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