A Nino Manfredi, a dieci anni dalla scomparsa
Rimane l’attore fra i più grandi della commedia, un viso drammatico che sapeva infondere tenerezza e ilarità. Dieci anni dalla sua scomparsa: la sintesi del suo immenso racconto fatto di teatro e televisione – prima – e poi di immenso cinema, diretto dai più grandi della commedia e un po’ anche da se stesso (“Per grazia ricevuta”, “L’avventura di un soldato”), con l’immagine di mille personaggi la potremmo racchiudere nell’ispettore (ispirato a Gogol) che sale dagli inferi urbani di “Anni ruggenti” (di Luigi Zampa) e il giovane soldato con la vedova nel treno (eros innocente e ordinario) da lui stesso diretto e ispirato da un racconto di Italo Calvino.
Due personaggi chiave di un attore straordinario che dava sempre un’anima di purezza ad ogni movimento (Geppetto di Comencini e il patriarca “Brutti sporchi e cattivi” di Scola). E il sarcasmo clericale della Roma papalina di Gigi Magni, e il nostalgico coerente di “C’eravamo tanto amati”. Tanti, troppi i registi che l’hanno diretto e che hanno carpito l’immensità di questo personaggio singolare (anche cantante ispirato a Petrolini di “Tanto pe’ cantà”) e fino all’amarezza striata sul volto nell’uscita dalla galleria dello sfortunato emigrante in Svizzera (“Pane e cioccolata” di Franco Brusati”). Per il 25° anniversario di questo film avemmo la fortuna di parlargli per invitarlo nel CineClub “De Sica” (in Basilicata), ci avrebbe tenuto a venire perché – diceva – la Lucania assomigliava un po’ alla Ciociaria…
Ora, questi versi del poeta irpino Gabriele De Masi riescono forse meglio a conferire con grazia e sagacia l’espressione di un attore che ha regalato attimi di infinito nel candore popolare.
A Nino Manfredi
Non erano i tuoi, quegli occhi
stanchi, dietro lenti ampie
che ne svilivano lo sguardo
e ben vedevano più in là,
convinto che attore si è,
comunque, anche se
il passo è lento e la voce
guadagna fiato nel parlare;
potevi farlo perché la maschera
non vinceva sull’uomo, tu
interprete di mezzo sguardo, più
verso il basso che per l’alto,
e il sorriso giusto e triste,
arcuato sotto accurati
baffi di quinta, drappi
a chiudere presto la scena
divertita delle labbra, anche
perché sapevi che la vita
richiama sempre realtà più amare,
e nei semitoni misurati e franchi
d’una postura ingobbita
o nell’espressione appena mimata,
c’è tutto lo spazio d’autenticità
d ‘istante, che ricerca l’uomo
e, ben facendo teatro, lo ricrea
trovandolo acquietato ad aspettare
in un recondito angolo dell’anima;
e sempre lì lo trova, sapendo
di non commettere plagio.
(Gabriele De Masi)
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