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A Lisbona, l’altro 25 aprile

Appena usciti dalla metropolitana ci siamo trovati immersi nel sole e nella confusione di Praça Marquez do Pombal. Qualche bandiera rossa, ad ogni passo una donna o un ragazzino vendevano garofani.

di Lorenzo Misuraca - mercoledì 20 aprile 2005 - 9872 letture

Il 25 di aprile del 1974 il Movimento delle Forze Armate MFA, rovesciò il regime della dittatura che da 48 anni opprimeva il popolo portoghese. Restituendo la Libertà ai Portoghesi, con la Rivoluzione dei garofani, i militari di aprile posero fine all’isolazionismo al quale il Portogallo era stato condannato da anni. Risolvendo il problema coloniale, dando origine a nuovi paesi indipendenti, la Rivoluzione dei garofani fu il movimento pioniero di enormi trasformazioni democratiche in tutto il mondo e dimostrò che le Forze Armate non sono condannate ad essere uno strumento di oppressione potendo, al contrario, essere un elemento di liberazione del popolo. Democratizzare, decolonializzare e svilupparsi fu il punto che fece ritornare il Portogallo nel circolo delle nazioni libere e amanti della pace.

Vasco Lourenço Associação 25 de Abril

Appena usciti dalla metropolitana ci siamo trovati immersi nel sole e nella confusione di Praça Marquez do Pombal. Qualche bandiera rossa, ad ogni passo una donna o un ragazzino vendevano garofani. Ho provato una strana sensazione di straniamento: in Italia questo fiore era irrimediabilmente associato al capo del partito socialista più a destra del mondo, allora fuggiasco in Tunisia. Ma lì, a Lisbona, nel sole del 25 aprile di tre anni fa il garofano era il simbolo di una rivoluzione: a revolução dos cravos (dei garofani, appunto). Non credo alla Cabala, ma mi hanno sempre affascinato le coincidenze dei numeri. Ricordo la sorpresa e il piacere quando un portoghese mi fece scoprire casualmente che l’Italia e il Portogallo si erano risvegliate dal sonno della ragione, liberandosi dalle rispettive dittature lo stesso giorno, il 25 di aprile. Nel 1945 in Italia, nel 1974 nel paese di Vasco de Gama e Fernando Pessoa. Erano giorni movimentati in Italia. Era il 2002: il paese si muoveva in massa contro Berlusconi. La Cgil portava tre milioni di persone in piazza a Roma e riempiva il circo massimo di padri e figli che traboccavano nelle vie circostanti. Dai giornali italiani comprati in un’edicola di Roxio, il salotto buono di Lisbona, scaduti da un giorno e rigorosamente in bianco e nero, apprendevo delle manifestazione ripetute e delle dichiarazioni allarmate di pezzi di istituzione e di cultura. Da così lontano, dal molo occidentale del continente, mi sembrava di perdermi un pezzo di storia. Credevo, addirittura, che il governo sarebbe potuto cadere da un momento all’altro. Potevo seguire tutto a distanza da internet e dal telefono, nulla più.

Allora partecipare all’altro 25 aprile, a quel 25 abril, era una sorta di risarcimento che concedevo a me stesso. Con il garofano in mano (che essiccato e pieno di polvere conservo ancora) giravo per la piazza. Mi colpiva una cosa: c’erano tanti vecchi, un buon numero di quarantenni e pochi giovani. Chiedevamo alle persone presenti, ci rispondevano che “Os jovens jà esqueceram, tèm outras coisas para fazer”, i giovani avevano già dimenticato e avevano altro da fare. Pensavo ai 25 aprile passati marciando per le strade in Italia, gridando “ora e sempre resistenza” tre una ragazzina coi rasta e una mamma col passeggino e mi chiedevo se non fosse vero che il prezzo della democrazia è una costante vigilanza, come disse qualcuno.

Partimmo per Avenida da Liberdade. C’erano cartelli, bandiere e un sole bellissimo. Io e Gianluca tirammo in alto orgogliosi il cartello preparato a casa con due fogli di cartoncino. C’era scritto: 25 abril 1945. Liberação da Italia do fascismo. E grande, che tutti lo potessero leggere, Resistir Resistir Resistir. Era la frase che aveva detto il magistrato Borrelli in un suo discorso ufficiale contro l’abbattimento dell’indipendenza della magistratura portato avanti da Berlusconi. Lo facevamo nostro e lo offrivamo ai portoghesi, senza soluzione di continuità dall’insurrezione proclamata dal Cnl nel ’45 al fascismo strisciante del presente in occidente passando per i garofani che i lisboeti misero nei fucili dell’esercito che aveva appena liberato il paese da Salazar.

E gridavamo “Berlusconi, Berlusconi, Vaffanculo!”. Si univano a noi gli amici francesi e gli spagnoli. Ricambiavamo il favore mandando a quel paese anche Aznar e Chirac. La gente ci guardava incuriosita e divertita. In breve fummo in praça do Roxio. Ci fermammo e cominciammo a cantare “Grandola villa morena” l’inno della rivoluzione dei garofani. Poi ognuno rimase o andò via, in gruppo o da solo, come più preferiva, che il dovere di ricordare era stato compiuto.


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