Il dovere d’INFORMARE. Intervista a PETER GOMEZ

Delle sue inchieste difficilmente sentirete parlare al telegiornale. Peter Gomez, giornalista per L’espresso e Micromega, scrive di temi insidiosi e scottanti...

di Giulia Zaccariello - martedì 16 giugno 2009 - 2398 letture

Delle sue inchieste difficilmente sentirete parlare al telegiornale. Peter Gomez, giornalista per L’espresso e Micromega, scrive di temi insidiosi e scottanti. Intrecci tra mafia e politica, connivenza, legami tra partiti e alta finanza. E sebbene sappia che in Italia denunciare corruzione e malcostume non paga, persiste con passione e tenacia a smascherare i potenti. L’abbiamo incontrato al Festival del Giornalismo di Perugia, dove ci ha spiegato perché un giornalista ha sempre il dovere d’informare. Ad ogni costo. Con buona pace di chi vuole mettergli il bavaglio.

Cosa significa oggi mafia?

Quello che significava in passato, la mafia si può definire tale solo se intrattiene rapporti con la politica e con le istituzioni. Se non li ha è semplicemente gangsterismo. Oggi abbiamo una maggiore conoscenza della mafia militare, ma non sappiamo niente della “zona grigia”, ossia dei rapporti con le amministrazioni locali e con i parlamentari.

È colpa anche del giornalismo?

Certo. Quando bisogna trattare certi argomenti si finisce per parlare anche della classe dirigente e di grosse aziende del Nord Italia. E questo può avere ripercussioni sugli editori, che spesso possiedono anche altri interessi. Come si fa a portare in televisione i rapporti tra mafia e politica, quando tre reti appartengono a un leader politico e le altre tre sono inserite nel sistema dei partiti? Perché processi come quelli a Dell’Utri o Andreotti non sono seguiti come quello di Cogne?

Quali sono le prospettive del giornalismo dopo l’approvazione della legge sulle intercettazioni?

Il giornalismo investigativo si può fare indipendentemente dagli atti giudiziari. Si tratta di un problema di democrazia: ci vogliono impedire di pubblicare gli atti non più coperti dal segreto. E lo scopo, si intuisce, non è di certo proteggere la privacy. È una vera vergogna. Noi non facciamo una valutazione in base al segreto, ma rispetto all’interesse pubblico di una notizia. Ad esempio: la legge stabilisce che le intercettazioni illegali debbano essere distrutte, ma se io vengo in possesso di intercettazioni illegali che attestano un progetto per un colpo di stato, cosa faccio? Forse non lo rendo pubblico? Pagherò lo scotto, andrò in prigione. Non mi interessa delle regole che impongono, perché i giornalisti non hanno nessun diritto. Hanno un dovere, che è il dovere di esercitare un controllo sull’operato delle classi dirigenti. Perché solo grazie a questo controllo la democrazia può crescere. Un cittadino che vota e sceglie deve essere informato. Loro, quelli del Palazzo, vogliono agire con le mani libere e io, finché mi lasceranno scrivere, lo farò.


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