Villafranca

Quando diciamo basta e la risalita comincia, qualcuno pronuncia una frase, comprendo solo una parola: O’cebreiro. Cerco di riprenderla ma ormai è andata perduta.

di Antonio Cavallaro - mercoledì 1 dicembre 2004 - 5969 letture

Ponferrada è più grande di quello che possa sembrare e la mattina quando è deserta lo sembra ancora di più. Le strade larghe del centro, negozi ed uffici non si animeranno prima delle 10, per i più il nuovo giorno non comincia prima, ma non per i pellegrini che a quell’ora saranno da un’altra parte. L’antica città dei templari ha spostato il suo centro dalla zona del vecchio castello, continuando a crescere verso ovest, divorando chilometri e chilometri di campagna. Ponferrada finisce, o meglio pare non finire mai su un lungo viale dove non si incontra nessuno e porta dritto dritto al cuore di questa crescita, dove i palazzi non sono ancora tutti completamente abitati e poche sono le macchine che aspettano sotto, dove le piazze spoglie attendono il fiorire delle loro giovani aiuole. Padiglioni universitari, un ospedale. I muri sono intonsi; cancelli, porte, finestre dai colori ancora troppo vivi ed intensi perché possano tradire i segni del tempo. Tutto parla di questa crescita. Cantieri si susseguono l’uno con l’altro e all’esterno, pannelli informativi sottolineano il ruolo dei contributi dell’Unione europea, sopra ognuno si ergono imponenti Gru. Sono questi i campi in cui fioriscono le croci di ferro visibili prima dell’ingresso in città. Nella città che lenta comincia a svegliarsi il lungo viale accompagna la nostra macia, che sempre meno assomiglia ad una veglia man mano che le strade si riempiono e le saracinesche si alzano, preoccupandosi di abbandonarci ai fertili campi del Bierzo solo alle prime avvisaglie di traffico, come una guida premurosa.

Il percorso si rivela più affascinante di quello che aveva lasciato intendere la prima parte snodandosi tra vigneti e fitte selve di alberi, dove la luce del sole non filtra e la terra è sempre umida. Intervallato da piccoli ma particolari paesi, il percorso prosegue arrampicandosi su colline costeggiandone i fianchi, affacciandosi pericolosamente sulla strada nazionale, benché forse, l’attenzione maggiore occorra prestarla alla frecce gialle evitando di perdersi. Entriamo a Villafranca del Bierzo ancor prima delle tre. Potremmo fare ancora altra strada, ma il bottiglione d’acqua di ieri ha esaurito i suoi effetti miracolosi e i ragazzi avvertono nuovamente dolore alle ginocchia e alle caviglie, così decidiamo di fermarci per oggi. Non ho ne voglia ne interesse a proseguire solo. Assieme domani saliremo fino a O’Cebreiro uno degli ultimi se non l’ultimo scoglio sul Cammino, ed entreremo in Galizia.

L’albergue si trova proprio all’ingresso del paese, poco distante s’incontra la chiesa di San Giacomo famosa per il suo portale "La Puerta del Perdon", a cui il Papa Callisto III conferì la prerogativa dell’indulgenza per tutti quei pellegrini che, ammalati o moribondi, non potendo sperare di arrivare a Compostela, oltrepassandola potevano considerare concluso il loro pellegrinaggio. Purtroppo è chiusa e questo ci impedisce almeno un passaggio a titolo precauzionale, possiamo rimanerci solo davanti, così malgrado le condizioni fisiche, ci diciamo che è un segno e che dobbiamo arrivare per forza alla città che non vogliamo nominare. Un po’ alla volta arrivano anche gli altri, ormai ci conosciamo un po’ tutti, specie con quelli partiti dalla Navarra; Mattias e Martin sotto questo punto di vista sono quelli che più degli altri possiamo considerare "amici di vecchia data", le loro barbe possono ingannare ma sono molto più giovani di quello che possano sembrare e quando ci incontriamo non perdiamo mai un’occasione di celebrare un qualche Italia - Germania su qualunque cosa. Da qualche giorno viaggia con loro un ragazzo spagnolo di nome Carlos.

Carlos ha la faccia di quello che una volta si sarebbe definito "un monello", a rafforzare questa immagine contribuisce non poco, e fa veramente sorridere, quel suo baschetto nero con visiera e la sua maglia bianca a righe orizzontali azzurre che lo fa sembrare un anacronistico Giamburrasca, chissà se se ne rende conto anche senza aver mai conosciuto Rita Pavone. Ogni volta che qualcuno scatta una fotografia piega il braccio sopra la testa e con le dita si fa due corna dietro la testa.
- "Ehi, mi prendi in giro?"
- "No Carlos, non ti sto prendendo in giro". Con i suoi occhietti piccoli e la bocca sempre pronta, racconta di essere in giro da un anno e mezzo e che non si fermerà a Santiago, ma si spingerà fino a Fatima per poi fare ritorno. E’ la terza volta che fa il Cammino. Appena saputo che noi tre siamo siciliani, ha raccontato d’esser stato vicino Caserta e lì ha conosciuto molti napoletani, i napoletani che lui definisce i più furbi d’Italia, ma i baschi sono i più furbi di tutti ed "io sono basco"!
- Lo sappiamo Carlos! - Ieri ha raccontato una storia: arrivato a Villafranca sarebbe andato dal Curato - El Cura, come lo chiama lui - gli avrebbe spiegato che a causa del sopraggiungere del fine settimana era impossibilitato a scambiare in banca un assegno in suo possesso, ed essendo rimasto senza neanche i soldi per mangiare avrebbe chiesto al prete un prestito, affidandosi credo alla generosità dell’uomo della chiesa cattolica e sul suo status di pellegrino. Pomeriggio mentre ci troviamo tutti assieme è venuto a raccontarci la seconda parte della storia, e questa, anche se non lo dice espressamente prevede la nostra interazione. La storia comincia così…
- Non ho trovato il Curato, evidentemente chiude anche lui come le banche il fine settimana.
- Vabbé Carlos, non ti faremo morire di fame.
- Si lo so, ma non posso stare due giorni senza soldi. … ed è gia finita. E’ chiaro che ci sta provando. Ed è chiaro anche a Luigi, quando dopo trascorsa qualche ora gli darà 20 euro che i suoi soldi non li rivedrà mai più. Ma Luigi è fatto così. Spero che proprio Carlos non sia l’unico rimasto all’oscuro di tutto e del perché di quel gesto.
- "Ehi, mi prendi in giro?"
- "No Carlos, non ti sto prendendo in giro".

Il sole è discreto qui e nel pomeriggio concilia il recupero del sonno, Luigi ha trovato posto e riposo in un letto, l’ultimo dalla porta il più vicino al balcone, il primo ad essere immerso nella luce di un sole calante. Dal collo di una bottiglia scende vino, in alto si levano calici. C’è il pomeriggio dentro questi bicchieri che io ed Alessandro facciamo tintinnare l’uno contro l’altro prima di portarceli alla bocca. Ben presto oltre al vuoto di un pomeriggio senza chilometri, stipiamo ogni cosa dentro questi bicchieri: aneddoti, i ricordi, quelli di sempre; l’amicizia, le intenzioni, i progetti.

Anche la sera scivola dentro a dei bicchieri, i primi sono quelli dell’albergue e fanno da contorno alla cena. Luigi si è svegliato, anche lui adesso ha un bicchiere dentro cui far scivolar qualcosa e lo ha unito ai nostri. Aumenta presto il numero dei bicchieri che si incontrano a mezz’aria per un breve scontro, ci sono quelli di Mattias e Martin, di Carlos e altri ancora. Ma sono i bicchieri dell’albergue e ogni pellegrino che si ferma per la cena ha diritto a far scivolare dentro loro qualcosa di proprio. La porta dell’albergue non verrà chiusa e saperlo fa crescere la notte e ci spinge fuori, alla ricerca di altri bicchieri. Che troviamo appena scesi in paese, dentro un bar che assiste ad un’altra sconfitta del Real Madrid e poi in mezzo a folle che riempiono locali che sembrano sbucati fuori dal nulla. Quando diciamo basta e la risalita comincia, qualcuno pronuncia una frase, comprendo solo una parola: O’cebreiro. Cerco di riprenderla ma ormai è andata perduta. Anch’essa è scivolata via come l’amicizia, i progetti, i ricordi, il vino che scende e che sale, i bicchieri, gli applausi, Italia - Germania; stanno tutti qui e attorno e non smettono di girare, girare, girare e girare.

E’ lenta e faticosa la risalita, ed inesorabile si arresta proprio sulle scale appena qualche metro prima del silenzio e del buio dell’albergue. Ci trattiene un ubriaco, un altro, che ci urla in faccia le qualità dell’ hombre galiciano, fermandosi solo per chiarire che lui, un ombre galiciano non è! Stremati ci sediamo e lo stiamo a sentire. "Il galiciano è un uomo forte, sincero, può sembrare chiuso ma è solo diffidente. Se fai simpatia ad un galiciano lui con te sarà la persona più generosa del mondo. Il galiciano come nel mondo c’è…". Sotto in paese, un clacson suona e mi scuote. Cerco i volti degli altri, ognuno ha lo sguardo perso, lontano, da un’altra parte tutta sua. Dietro me con una porta comincia il buio dell’albergue. L’ultimo sguardo è per il cielo, l’ultimo scatto è per un respiro. E’ tutto quello che è rimasto di me a scivolare nel buio portandosi dentro la notte.


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