Terra e polvere

Tutto è fermo, il mondo si misura in passi, che lasceranno appena un disegno sulla terra. Ma qui tutto è fermo, si può solo attraversarlo. E tutto ci ignorerà, lo so, perché lo dice ogni cosa.

di Antonio Cavallaro - mercoledì 19 gennaio 2005 - 6538 letture

Il sole non lo abbiamo ancora visto, ma sappiamo che è giorno. Fuori c’è sempre la nebbia, bassa e fitta fa il mondo grigio, ci costringe al bordo della strada e ci tiene in allarme. Bastano solo cinque metri per cancellare un pellegrino, lasciando solo due gambe che pestano il terreno. Si seguono quelle, è facile perdersi e spesso si torna indietro in molti. A volte il sentiero scappa ai tornanti per attraversare la terra bagnata, spazi di solitudine da cui affiorano in superficie lunghi e grossi vermi neri che non sanno ritirarsi quando il bastone li sfiora. Ho visto qualcuno, infilzarli con la punta e poi costretto a fermarsi perché non venivano via, neanche dopo averli spiaccicati sulle pietre. Uno spettacolo disgustoso.

Tutto è fermo, il mondo si misura in passi, che lasceranno appena un disegno sulla terra. Ma qui tutto è fermo, si può solo attraversarlo. E tutto ci ignorerà, lo so, perché lo dice ogni cosa. Anche i cani che stanno sul dorso, immobili, davanti a un recinto o alla catena, muti. La diffidenza del gallego è anche quella del suo cane, mi tornano in mente le parole dell’ubriaco di Villafranca. Quello davanti al rifugio. Tutto ci ignora. Ma ben poco riesce a distogliere la mia attenzione mentre la Galizia si svela, grande potente e spaventosa a questi primi passi. Oltre il ciglio della strada, oltre la nebbia, comincia verde e rigogliosa. Nuove colline mi vengono incontro foriere di troppa bellezza, facendo di me ancora una volta un privilegiato. Il sole, nascosto qui, apre agli occhi spettacoli che paiono fatti apposta per me, istanti improvvisi e veloci, meravigliosi. I voli a vortice degli uccelli, scansano le foglie morte che il vento porta al cielo. Nei boschi un corso d’acqua mi accompagna, ma il suo scorrere impetuoso si contrappone al passo esitante. Gli alberi di questi boschi sono uguali a quelli usati nella meseta da Jesus Delgado per le sue opere, i tronchi sono irregolari e privi di grazia, ma questa loro natura li rende affascinanti e contorti. Se si fissano con attenzione si può immaginare un volto che sposa la fisionomia umana a caratteri vigorosi e mostruosi.

Scendendo si giunge a Tricastela. La attraverso come se fosse uno sfondo. Su una parte è disegnato in maniera da farlo apparire lontano dalla strada, un’albergue con una lunga fila davanti, dietro sembra che ci sia un grande giardino Siamo a meno di 130 chilometri, lo so perché entrando in Galizia ogni 500 metri una colonnina in pietra indica quanto manca a Santiago di Compostela. Ma noi oggi dobbiamo camminare ancora, anche se i chilometri fanno sempre più male, abbiamo scelto la strada più lunga, quella che porta a Samos e al suo monastero. Al quale si giunge una volta attraversati chilometri di boschi fra corsi d’acqua e rovi, scendendo le ultime colline si ha una vista dall’alto dell’abitato e si può dire che il cenobio, con la sua imponente struttura, eclissi il resto del borgo. Costruito nel VI secolo, il monastero crebbe grazie alle favorevoli iniziative della gerarchia religiosa, da sempre benevola nei riguardi della comunità eremitica di monaci benedettini che ancora oggi lo gestisce e lo abita. Nel 1910 il monastero venne danneggiato da un terribile incendio che distrusse in parte la ricca biblioteca, ma grazie al restauro che ne seguì, il pellegrino può ancora ammirare i due chiostri e trovare ospitalità per la notte.

L’ala destinata ai pellegrini sono in realtà due enormi stanzoni, in una ci sono i letti, nell’altra i servizi. All’ingresso c’è un monaco che si preoccupa di registrare i nominativi e tiene sotto controllo la situazione. C’è un forte odore di chiuso, i letti sono sporchi e impolverati, alcuni in fondo alla stanza danno l’impressione di non essere utilizzati da anni. Si sbattono materassi e cuscini e la polvere che si solleva rende l’aria irrespirabile. Le docce hanno un rubinetto solo che fa fuoriuscire acqua fredda, i gabinetti sono sporchi e diviene un gioco provare ad indovinare quale sia quello con lo sciacquone funzionante, un gioco che si può vincere o si può perdere. La porta d’uscita si affaccia sulla curva di una strada, di fronte ci sono delle scale adornate da siepi. Qui sono stati tesi dei fili per permettere ai pellegrini di stendere i loro panni.

Proviamo a sconfiggere la noia facendo una passeggiata vicino al fiume, seduti su una panca di legno restiamo ad ascoltarlo, è una pace a cui non so ancora abituarmi e non credo che ci riuscirò in questi ultimi giorni. Di tanto in tanto dal bosco esce qualcuno, seguendo una stradina in terra battuta si dirige in paese, qualcun altro torna per quella strada, io lo seguo lo sguardo, mi faccio domande e lascio correre la fantasia, Che ci fa questo e gli altri nel bosco? Veramente che cosa ci fanno? Magari saranno elfi, magari dietro questi alberi ci saranno complessi di villette a schiera unifamiliari con garage, prato all’inglese e antenne paraboliche sul tetto, magari niente di tutto questo. Lo guardo fino a quando non sparisce nel bosco. Non rimane che visitare il monastero, e poi a noi pellegrini, i monaci fanno uno sconto di cinquanta centesimi.

Suoniamo un campanello, il biglietto si fa nella stanza dei souvenirs ma dobbiamo aspettare che si trovi la chiave. Poi un monaco ci prende in consegna e comincia la visita dai due chiostri quello delle Neridas e quello dedicato al monaco scrittore Benito Feijoo, visitiamo anche la chiesa piena di icone dedicate ai condottieri della reconquista. Della parte superiore il monaco ci mostra degli affreschi realizzati dopo l’incendio che narrano la secolare storia del monastero, ne sottolinea più volte la bellezza ma in realtà sono molto grossolani e approssimativi. Ma è sulla parete delle fotografie che si sofferma più volentieri. Messe in fila ritraggono il monastero: prima dell’incendio, il giorno successivo ad esso, il lento restauro, fino al giorno in cui una cerimonia celebrò la fine dei lavori. "..per noi si può dire che anche quella fu una reconquista!" Indugia con piacere su queste ultime foto "…questo è un membro della famiglia reale e questo è un uomo che tante cose buone ha fatto e molto si è impegnato per la restaurazione del nostro monastero, il generale Francisco Franco". La sera tarda a venire, poi quando finalmente giunge il momento di spegnere le luci per un momento penso a tutta la bellezza che ho visto oggi, ma solo per un momento. Penso alla tabella, al lavoro fatto oggi, ai chilometri mancanti soprattutto.


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