Quasi lontano

Arrivare a Melide è stato come farlo di nascosto. Negli ultimi chilometri sono rimasto dietro Alessandro senza che lui se ne accorgesse o meglio, senza avere la forza di raggiungerlo ne lui quella di voltarsi, di Luigi non ne sapevo più niente dopo una sosta a Palais de Rei...

di Antonio Cavallaro - mercoledì 2 febbraio 2005 - 8762 letture

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Bastano cento chilometri per ottenere l’indulgenza compostelana, quattro o al massimo cinque giorni comodi di cammino, per molti è sufficiente, se si infila dentro un sabato e una domenica occorre solo potersi staccare qualche giorno dalla consuetudine, per una settimana diversa.

Gruppi di mezza età, dove gli uomini che sembrano tutti professionisti affermati e le donne a formare un gruppo nel gruppo, parlano, scherzano, impeccabili nelle loro tenute. E poi giovani coppie che si tengono per mano, ognuna vestita in maniera simile, con i loro completi in gore - tex dai coloro coloniali; ogni tanto si fermano e si scambiano un bacio, raccolgono un fiore o curano la posa di una fotografia.

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Molti non dormono negli alloggi per pellegrini, passano dagli albergue solo per un sello che attesti il loro cammino, c’è poi, chi non li fa neanche cento chilometri, percorrendo lunghi tratti in furgone, accontentandosi di sfilare soltanto per i teatri più pittoreschi. Al collo hanno telecamere o macchine fotografiche digitali e il loro equipaggiamento è quanto ci possa essere di meglio nel settore, pieni di bretelle e cinture i loro zaini aderiscono alla schiena come una seconda pelle e sono piccolissimi, al massimo contengono giusto un cambio, e addirittura c’è chi non ne ha, portandosi dietro una tracolla per l’acqua e qualche panino, e tutti poi, sono sempre pronti a salutarti.

Io non rispondo mai ai loro saluti. Quando li incontro cerco di lasciarmeli dietro il prima possibile, un’assurda pretesa d’integrità si mischia ad un sentirsi superiore ed ho scoperto di non essere il solo a comportarsi in questo modo. E’ stupido lo so, ma è come se mi rubassero la strada, se sporcassero il quadro che è ogni sguardo gettato intorno, assurdo l’avevo gia detto. Quei vestiti puliti, i volti ben rasati, le unghie curate delle donne con un soffio di trucco in viso, come se tutto quello che è stato, la sofferenza, i dolori patiti potessi farne solo questa piccola cattiveria.

Ma sta per finire e anche loro, pensieri che arrivano e poi mi lasciano, tutto sta per finire. Lo fanno i chilometri, le pagine mancanti delle guide, quasi ogni cosa sa di commiato e le giornate, sempre diverse nel loro susseguirsi, pare che il Cammino ne abbia esaurito la gamma e ormai siano rimaste solo quelle belle. Dopo Cebreiro c’è stato sempre il sole, alto a illuminarci ed a illuminare mentre il percorso si è tirato fuori dai boschi, finendo in strade dove non passano automobili e si attraversano corsi d’acqua sopra ponti in pietra costruiti ad un solo arco e intorno vedere finalmente esplodere la primavera, sentirselo in faccia.

Qualcosa di simile è accaduto anche con i galiziani, il sole ne ha illuminato l’aspetto cupo dissipandolo, come se la gente scendendo di quota avesse perso la spigolosità, dimostrandosi cordiale e molto cortese, rendendo l’impressioni dei primi giorni un altro commiato. Una donna anziana oggi ha attraversato con me il suo paese, ripetendomi che anche se c’era scritto il contrario, l’acqua delle fontane era potabile. "La gente la beve da sempre e qui campa fino a 94 anni" diceva, e che non dovevamo spaventarci a berla, "fino a 94 anni" non faceva altro che ripetere. All’uscita del paese un uomo che doveva essere il figlio ci ha raggiunti, e sorridendomi ha chiesto alla donna se voleva arrivare pure lei a Santiago.

Più avanti siamo andanti incontro ad un tratto di strada completamente bagnata, un sottilissimo strato d’acqua ne velava la superficie, non so perché lo fosse. L’acqua rifletteva il cielo ai nostri piedi e più camminavamo più ci allontanavamo da ogni altra cosa, eravamo immersi nel blu e fissarlo mi dava le vertigini, potevo vedermi lì sospeso in cielo, vedermi volare. Mi sono fermato, poi con un balzo ho oltrepassato una nuvola. Ho pensato che in tutto il nostro pellegrinare non eravamo mai stati così in lontano, pensieri che arrivano e poi ti lasciano.

Arrivare a Melide è stato come farlo di nascosto. Negli ultimi chilometri sono rimasto dietro Alessandro senza che lui se ne accorgesse o meglio, senza avere la forza di raggiungerlo ne lui quella di voltarsi, di Luigi non ne sapevo più niente dopo una sosta a Palais de Rei. Zoppicando vistosamente ci siamo trascinati fino in centro, fino a perdere di vista le frecce gialle.

Gli abitanti indicavano direzioni sempre diverse, rimanendo a discuterne anche dopo che li avevamo lasciati. Poi una traversa ci ha portato dietro l’albergue da dove si affacciava un piccolo cancello in ferro, lo abbiamo schiuso senza pensarci un attimo imboccando un vialetto che dava sulla lavanderia e costeggiava delle aiuole, siamo finiti davanti all’ingresso dove ci sono cascati addosso gli sguardi meravigliati di chi era la davanti, abbiamo esitato un po’, poi c’ è stato un applauso, era la signora olandese che sorrideva e si congratulava con noi, anche lei aveva fatto oggi i suoi 39 km. Da settimane ogni giorno ci incontravamo in strada o nei rifugi, ci ripetevamo sempre quanto fosse dura e facevamo un accenno alla strada o al tempo per rompere il ghiaccio. Mai ancora una volta che le avessi chiesto come si chiamasse. "Ormai è fatta", ci dicevamo solo questo abbracciandoci.

A corpo morto su due sedie, abbiamo atteso che l’hospitalera ci registrasse, proprio in quei momenti è entrata la polizia, due agenti le hanno chiesto quanti pellegrini fossero arrivati. E’ stato strano e per un attimo ci ha spaventati. A noi due hanno chiesto il paese di provenienza e da dove arrivassimo, bueno hanno risposto e andandosene anche loro ci hanno fatto i complimenti.

Luigi è arrivato quando stavamo per andare sopra, siamo rimasti non so per quanto tempo ancora seduti su quelle sedie, a farci i complimenti e a ridere dei nostri dolori.

Entrando in camera nessuno ci ha salutato o ci ha chiesto come fosse andata, nessuno sa chi siamo. Tutto li dentro era fermo, ognuno aveva assunto una posa e pareva essere riuscito a congelarne il gesto, ma ad ogni nostro passo potevo cominciare a sentirne lo scricchiolare. Ho cominciato a muovermi sempre più piano, sempre più piano ma un suono metallico è scappato per la stanza quando mi sono seduto sul letto, non trovando l’uscita è rimasto ancora un po’ con noi muovendosi per la stanza, fino a prendere per mano la preghiera di due donne.

Avevo quasi dimenticato che fosse un pellegrinaggio religioso. Pregavano e lo facevano in Italiano, recitando i salmi del pellegrino da uno di quegli opuscoletti che nei rifugi vengono adagiati sopra un bancone assieme ai volantini pubblicitari dei taxi, dei centri massaggi e dei ristoranti. Ho poi scoperto che le due donne facevano parte di una comitiva proveniente dal Friuli.

Mi sono sdraiato e sono rimasto a sentirle e guardarle. Stavano di fronte alla finestra, una era seduta su una sedia l’altra si poggiava sul bordo del letto, il loro riflesso sul vetro si circondava del tramonto arancione del sole e del verde degli alberi in strada. Si alternavano nella lettura dei versi ripetendo "amen" alla fine di ciascuno, era solo la loro voce nella camera. Quella immagine ne evocava in altre, d’altrettanta pace e vigore come solo ho visto in una qualsiasi delle vetrate della cattedrale di Leon. Sono rimasto a fissarle, immobile, aggrappato a quelle parole prive di scintille e alle loro palpebre che socchiudevano gli sguardi sulle pagine, hanno continuato e ho continuato, almeno fino a quando un gruppo di ciclisti entrando in camera ha aperto una breccia col mondo, portando dentro i suoni delle voci, di passi stanchi trascinati.

Improvvisamente è come se tutto li dentro si fosse destato, piccoli movimenti scaturiti da quella gran confusione entrata dalla porta, piccoli movimenti attorno alla frenesia dei ciclisti in cerca di letti vuoti, avanti e indietro per la camera rullando i passi sul pavimento, urlando per ogni posto trovato. Non si preoccupavano di cercare volti conosciuti fra chi era in camera, i ciclisti viaggiano sempre in gruppo ed è raro che facciano amicizia perché ogni giorno fanno sempre troppa strada. Sono tornato a guardare in direzione della finestra dove prima pregavano le due donne, dal vetro era sparito ogni riflesso e adesso si poteva vedere solo quello che c’era oltre.


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