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Quei maniaci racconti di Sozi

"I racconti di Sergio Sozi sono frutto di un’attenta e scrupolosa ricerca linguistica che fa tornare alla mente nobili precedenti, Gadda, Palazzeschi, Landolfi e geniali contemporanei come il Pennac del ciclo Malaussène..."

di Redazione Zerobook - domenica 22 luglio 2007 - 4993 letture

In occasione dell’uscita in tutta Italia (marzo del 2007) dell’esordio narrativo di Sergio Sozi, con il libro ’’Il maniaco e altri racconti’’ (Valter Casini Editore, Roma), presentiamo l’autore umbro fornendo di seguito qualche opinione critica a riguardo.

Sergio Sozi è nato a Roma il 3 marzo del 1965 e ha vissuto dal 1969 al 2000 in Umbria, prima a Spello poi a Perugia, dopo trasferendosi in Slovenia, dove attualmente risiede. Dal 1989 si occupa di letteratura, giornalismo culturale, insegnamento e traduzioni fra Perugia, Trieste e Lubiana. Nel 1995 ha fondato e diretto il trimestrale letterario perugino ’’I Polissenidi’’, collaborato lungamente con il Giornale dell’Umbria e, in veste di caporedattore della Cultura, con l’emittente TelePerugia. Come poeta, ricordiamo la raccolta ’’Oggetti volanti’’ (Perugia, 2000. L’omonima silloge venne segnalata dal Premio Sandro Penna nel 1999 – presidente prof. Walter Pedullà). Suoi racconti e poesie sono stati premiati in diversi concorsi (ricordiamo fra gli altri il Premio F. Mauri di Spello, il Concorso Scritture di Frontiera di Trieste e il concorso del periodico letterario sloveno Primorska Srecanja). Fra le altre principali collaborazioni, menzioniamo quelle con il quotidiano L’Unità ed il settimanale Avvenimenti, con il mensile triestino Trieste Arte e Cultura, il mensile lubianese Nova revija, il quotidiano sloveno Dnevnik, la Radio Tre slovena e la casa editrice Studentska Zalozba – per la quale ha curato nel 2005 il volume antologico di racconti italiani (1989-2003) ’’Carta e carne’’ (’’Papir in meso’’, SZ-Beletrina, Ljubljana 2005). Suoi pezzi culturali sono presenti anche nei siti www.idealia.it, www.lafrusta.com , www.italialibri.net, www.pedro.it, www.progettobabele.it, www.filidaquilone.it , www.cinemaniaci.it ed altri. Finora ha pubblicato colloqui con Dacia Maraini, Sebastiano Vassalli, Diego Marani e Claudio Magris.

A proposito del Sozi narratore breve, ricordiamo i giudizi dello scrittore Diego Marani (Bompiani): ’’Una bella scrittura, raffinatamente gaddiana’’, del romanziere Roberto Pazzi (Frassinelli): ’’Le sue fantasie mi hanno lietamente accompagnato per piú di una mezz’ora di lettura. Lei sa scrivere perché cattura l’attenzione con immediatezza’’ e della critica Cristina D’Andrea (Agenzia Letteraria Herzog): ’’(…) Un gioco ardito, attraverso una narrazione vivace e mai scontata’’. Altri apprezzamenti provengono dagli scrittori Attilio Del Giudice (Minimum Fax, Leconte): ’’Straordinaria intelligenza e elegante scrittura’’ e Paolo Maurensig (Mondadori), il quale si esprimerà sul risvolto di copertina de ’’Il maniaco e altri racconti’’.

L’editore Valter Casini di Roma, nel proprio sito, lo presenta come segue: ’’I racconti di Sergio Sozi sono frutto di un’attenta e scrupolosa ricerca linguistica che fa tornare alla mente nobili precedenti, Gadda, Palazzeschi, Landolfi e geniali contemporanei come il Pennac del ciclo Malaussène. Il risultato è un livello stilistico di grande vivacità espressiva che coniuga magistralmente inventiva, ricerca e tradizione’’.


L’incipit di "Domitilla", di Sergio Sozi

Per gentile concessione dell’autore, riportiamo di seguito l’incipit del racconto ’’Domitilla’’, che sarà compreso nella raccolta ’’Il maniaco e altri racconti’’ (Valter Casini Editore), in vendita nelle librerie italiane a partire da marzo del 2007.

In riva al mare è un’altra cosa, sempreché qualche rèfolo di antica poesia sia rimasto, ballerino, sulla battigia: per far innamorare i granchi e le acciughe della luna e sposare questa al firmamento. Si abbottonò la leggera bruna giacca da mezza stagione. Era spiegazzata, notò, nonostante la semicaligine notturna del luogo che, a quell’ora notturna, avrebbe potuto anche concedere al modesto specchio d’acqua qualche centìgrado in meno. Il mare è spregiudicato, pensò, percorso da ben altre fantàsime estive: i fiati razzolanti e maleducati, accartocciatori d’ogni stoffa e viso.

Nel torrido, spento fiato lacustre, il carabiniere piuttosto fiaccamente si accucciò sopra un bianco pietrone, levigato più, immaginava, dai turbini invernali, che per via di quel montano catìno àcqueo. Il vento gli sembrava ovvio che giocasse a nascondino, nell’immote sera e la sua tana doveva essere lontano.

È acqua dolce questa, eh, certo… L’inevitabile sigaretta sfiaccolò fra indice e medio come a voler bruciare certe vaghe ma invadenti rimembranze: gabbiani, sabbia ustionante, luce; forse un gabbiano, sempre quello, siciliano, ed una sabbia, sempre quella, avvolgente e materna: la grande madre meridionale con cui bisogna far attenzione a come si guarda, a come si spargono volatili parole e alìgere movenze palmari. Perché, quando uno sbaglio approda all’occhio e alle dita, nel Sud si resta nudi e a niente vale cercar di mascherare la malapensata con scaltre trame di parole, come provò a fare – invano – Penelope, che meridionale era par ecsellàns. Invece qui, nel nero, folto e profondo pelo degli Appennini, le chiacchiere sostituiscono i nostri gesti rivelatorî; chissà, forse perché, dicono, il freddo imperversa sugli uman corpi, rattrappendo tutti gli arti eccetto la lingua.

Una vacanza umbro-marchigiana extra (e dopo vedremo perché), comunque, quella di Santonastasio, seppur funesta per torrida atmosfera: roba né settentrionale né sudista, pensò egli ancóra, acciaccando sui sassi il mozzicone, nella solitudine di quelle inusuali tre antemeridiane; robba da matti ’sta liquidificante insistenza del fuoco solare anche noctetempore ed anche qui, a mille metri di quota e sessanta chilometri in linea d’aria dall’Adriatico.

Cercando, ora con vera disperazione, una ulteriore via di fuga dai suoi insistenti gabbiani trinàcri, il capitano provò per un istante a guardare intorno: il Lago di Pilato era ad un palmo da lui e sarebbe dovuto restare supino, umile, sotto l’alta chierica del Monte. Il Monte della Sibilla, lì sopra, a poca distanza, con anfratti e spechi d’intonsa tetraggine fra la nigra sparuta vegetazione. Ad un paio di chilometri sarebbe dovuto rimanere anche il giaciglio, cioè la affumicata casa in pietra del gentile suo ospite.

Oh, bene: la accecante Sicilia è finalmente scomparsa e quindi tacciono i gabbiani; chiusi gli occhi delle salde madri; assorbita nella forza dell’oggi la morbida rena che fu.

Incamminandosi nuovamente per la stradina imbrecciata che aveva fatto per giungere alla solinga riva, Euterpe tornò a ringraziare, tutto sommato, le circostanze, per le quali, il quindici agosto del Duemilaquattro, egli si trovava ad odorare l’aspra cima del Monte sibillino invece che le sòlite ottimistiche facce venete improfumate quanto teatrali. Sono finte tucùr, piuttosto, direbbe un franco d’oggi, le belle sode fisionomie cui certa levantina Italia deve molta aziendale invidia. Su questo rifletteva Santonastasio mentre, ad occhio e croce per via del buio, avviavasi all’ospital rifugio. E però ancora non si sa come egli sia ivi finito, attorniato da poche, quasi alpestri, presenze e forse anche da una pletorica quantità di saltellanti lemures e larvae – gli imponderabili vicini che la materia mai non mostra, altresì détti spiriti troppo liberi. Comunque il Nostro, presa la strappata mulattiera sotto ai piedi – fettina lunare osservante – diede abbrivio agli stanchi pié desiderando esplicitamente dirigersi a Montemonaco; anzi da Vincenzina, sarebbe più esatto riferire. Da lei… Vincenzina…

Vincenzina della casa ch’è un nido, una baita, una masseria, un casolare… boh! Vincenzina l’amica dell’amico, ecco. Chi se ne frega di che cosa sia quella costruzione: è antica e tanto basta per collocarla fra i nostri discorsi e sentimenti e appenniniche cogitazioni. Una casa in pietra biancosporca, è, e bando ai linguistici monstri.

Eppoi, questo, Euterpe non lo pensa proprio adesso, oramai, poiché s’è sdraiato e ronfa nel sacco a pelo come uno scaut. A tre centimetri dalla negra Sibilla appena appena poderosamente innevata in su la cima, tozza e massiccia com’è, ma nel complesso frigida quantunque cinta da valligiani e presumo anche mezzacostali calori. Bruciori moderni il cui assedio vorrebbe spremere qualche bestemmia al nostro carabiniere. Anzi carabbenière. Ma dorme, lui, quindi non bestemmia, graziaddìo. (…)



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