Spazi liminali, il libro fotografico di Alessandra Condello

L’Abruzzo interno, con le sue valli silenti, i borghi sospesi nel tempo, le montagne che paiono eterni testimoni di una storia al contempo personale e universale, si offre come scenario ideale per esplorare il concetto di liminalità. Il termine, mutuato dall’antropologia e reso celebre dagli studi di Arnold Van Gennep e Victor Turner, descrive quello stato interstiziale in cui l’essere si trova tra due condizioni: il noto e l’ignoto, l’antico e il contemporaneo, il reale e l’immaginario. Nei suoi “spazi liminali”, l’Abruzzo rivela non solo una geografia fisica ma anche una geografia dell’anima, capace di evocare la vertigine della soglia, il brivido del passaggio.
Alessandra Condello con una delle foto pubblicate in questa raccolta e riprodotta in copertina, ha vinto l’edizione 2023 del premio annuale fotografico “Un luogo per ZeroBook” quinta edizione) dedicato ai luoghi abbandonati dell’Italia che meriterebbero invece di essere recuperati e ri/conosciuti.
- Copertina di Spazi liminali, di Alessandra Condello
Dalla prefazione di Ernesto Di Renzo
Se c’è una ‘cifra d’autore’ che caratterizza gli scatti di Alessandra Condello, che li impregna, che li satura, che li totalizza e li fa traboccare di senso celato questa è l’elogio dell’assenza. Vale a dire la prevalenza visiva del dismesso sull’operante, dell’inattuale sull’efficiente, del vuoto sul pieno. Una vuotezza, soprattutto umana, che affiora evidente, rumorosa, insistente, sfrontata. Una vuotezza che parla, allude, strepita e che forse racconta di una emotività d’artista racchiusa, o dibattuta, tra le pulsioni dell’Es e le ragioni del Super-io.
Una vuotezza che forse non ha nulla della casualità, della necessità estetica, o del segno stilistico, ma che rivela l’attraction fatal dell’Autrice verso la dimensione degli ‘spazi-tempo’ sospesi tra reale e illusorio, ora e allora, presente e passato. ‘Spazi-tempo’ dove la relazione intercorrente tra i segni materiali dell’agire dell’uomo – divani rotti, finestre murate, accessi incatenati, muri in rovina, insegne desuete – e l’assenza totale della sua presenza, sembra rinviare a una nozione di ‘non-più-umano’ che (però) non corrisponde esattamente a quella nozione di ‘post-umano’ di cui la Condello subisce irretitamente il fascino (e che costituisce il cardine concettuale e la vena poetica della sua ricerca d’artista). Una nozione che, distante dai concetti di post-umanità teorizzati da Robert Pepperell, Jeffrey Deitch e Derrick de Kerckhove, sembra contenere quelle tratteggiature di pensiero cui allude Peter Sloterdijk allorché si domanda se “c’è una speranza di padroneggiare le attuali tendenze all’imbarbarimento dell’uomo” di cui le rovine, i disfacimenti, i resti sono i significanti inequivocabili.
Ma tutto questo, urge sottolinearlo, resta solo un forse. In quanto, mettendo da parte un’ intellettualizzazione troppo antropologicamente spinta dei soggetti fotografici, può darsi che l’assenza della testimonianza umana all’interno degli scatti rappresenti soltanto il riverbero di una carenza, di una separazione, o di un abbandono di cui l’autrice vuole inconsciamente dirci qualcosa. Magari collegandola all’immagine di una donna bianco-vestita riflessa in uno specchio messo a bella posta sul bordo di un pavé.
A ben guardare, però, la vuotezza della presenza umana non costituisce l’unica impronta crittografica che le fotografie offrono all’attenzione di chi le osserva con l’intenzione di coglierne i contenuti extra-visivi. Ve ne è infatti un’altra che balza all’evidenza in maniera macroscopica, eccedente, reiterata ed è quella che rimanda al bisogno/volontà di ritrarre le soglie: soglie di porte, di finestre, di recinzioni, di edifici, di vani.
Le soglie sono il limen, il confine, la frontiera, il varco che, al di là del presente album fotografico, Alessandra Condello esplora di continuo in tutta la sua opera di artista cercando di capirne il contenuto. Quel limen che, come le teorie di Van Gennep e di Turner hanno cercato di interpretare in ottica transculturale, separa e nello stesso tempo unisce, introduce e contemporaneamente espelle, apre e insieme preclude. Il limen è lo spazio interrotto, indeterminato, misterioso, dove tutto può accadere, dove tutto è in discussione, incerto, sfuggente. È il non-luogo simbolico dove non c’è verità, certezza, univocità, ma solo contraddizione, ambiguità, possibilità. È la condizione spazio-temporale, ma anche umano-esistenziale, dove, trovandovisi, non si è più ciò che si era ma ancora non si è ciò che si potrà essere. È la situazione sospesa dove “dio gioca ai dadi con il mondo” e dove i principi aristotelici dell’identità e della non contraddizione rivelano i loro limiti concettuali cedendo il passo all’indeterminatezza e all’imponderabile. È dunque il transitus che, nel suo essere àmbito intermedio, si configura come scenario del possibile in grado di aprire a qualunque aspettativa di cambiamento, di trasformazione, di completamento. Rivelando, in ciò, la sua dimensione di fieri che esprime le qualità germinative proprie delle cellule staminali.
“Ma che cosa meravigliosa è il limen”, si sarebbe quasi autorizzati a pensare!
Non solum, sed etiam. A contrassegnare i tematismi che fanno da filigrana ai presenti scatti fotografici, scatti che fungono da trama a un racconto afono di verbalità e pletorico di metafore, sineddoche, metonimie, litote, ricorre in Alessandra Condello la volontà di esprimere un senso personale dei luoghi dove la geografia interiore sembra coincidere con la geografia esistenziale che scandisce le sue “opere e giorni”. Una geografia che, per chi è in grado di rintracciarne le coordinate visive, parla di Marsica, di Fucino, di aquilano. Parla di Abruzzo! Questo malgrado la Condello riveli nelle sue relazioni personali e nei suoi interessi di lavoro un’aspirazione irrinunciabile alla extra-regionalità, alla extra-nazionalità e al de-radicamento culturale (temperato dal bisogno “assillante” di appropriarsi dei folklori locali e di praticare il senso della restanza oltre ogni ragionevole e utile convenienza).
E l’Abruzzo che l’autrice lascia trasparire nelle sue fotografie si configura come una quinta nudamente scarna e volutamente priva di orpelli. Una quinta che sembra far coesistere la drammatica rappresentatività pittorica di un Teofilo Patini con la dolente narratività letteraria di un Ignazio Silone. Un posto dell’anima, uno spazio discosto, un mondo a parte. Ma anche una waste land dove un re pescatore, o meglio una regina pescatrice, cerca (forse) di redimere colpe (mai) commesse in un passato che ritorna incessantemente. Colpe la cui cicatrice, o la cui ferita viva, similmente alla trafittura inferta dalla lancia di Longino a un costato innocente, aspetta di incontrare un Parsifal o un Galahad che la sani e che le redima nel sacro Graal della verità.
È pur vero, però, che non tutti i soggetti ritratti in pixel alludano a una “terra desolata” di eliotiana ispirazione. Alcuni, quelli in cui non c’è traccia visiva del ‘non-più-umano’, lasciano trasparire luoghi e recessi dove la natura mantiene forme di autentica significatività e dove la quiete dei paesaggi si manifesta nei suoi connotati visivi e sensoriali. Una quiete fatta di canali d’irrigazione, di altipiani brumosi, di sottoboschi dai tratti ossianici dove pare che il tempo si sia cristallizzato in un lungo, fugace istante capace di offrire un salutare respiro alle ansie, alle angosce, ai fantasmi interiori. Una quiete che forse non sarà mai capace di esaudire le irrequietezze che l’essere artista ineffabilmente impone. Ma che predispone alla scoperta del lathe biosas dove poter sperare di trovare il senso interiore delle cose.
Ernesto Di Renzo
Università di Roma Tor Vergata
Alessandra Condello è un’architetta e artista transmediale e multimediale di origini abruzzesi, la cui ricerca si concentra sull’interazione tra l’uomo e l’ambiente, esplorando il rapporto tra forme naturali, ambiente sociale, folklore e tecnologia, con un focus sull’evoluzione postumana. Una delle sue fotografie, scattata a Scanno, è stata pubblicata sul New York Times, confermando il suo sguardo attento alla memoria e alla trasformazione dei luoghi.
I libro di Alessandra Condello è distribuito in formato epub in tutti gli ebook-store italiani, e in formato cartaceo con il sistema print on demand.
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