Quando la storia prese una direzione sbagliata

La morte di Mikhail Gorbaciov ultimo leader sovietico e "inventore" della perestrojka
C’è stato un momento della storia per noi recente, in cui forse ci saremmo potuti salvare, la storia avrebbe potuto avere un senso e una direzione diversa. Invece di imboccare immediatamente quel corso accidentato che ha portato al nostro attuale presente. La storia non la si fa con i "se" e con i "ma" e neppure con i "forse", dicono. Ma certamente tra il 1985 e il 1990 "la storia" ebbe una improvvisa accelerazione. E noi - noi occidentali soprattutto, gli Stati Uniti che guidavano allora (come anche ora, parzialmente) il mondo - non abbiamo saputo affrontare la situazione. Non abbiamo avuto il coraggio di uscire dai nostri ristretti interessi particolari e pensare a un mondo nuovo e organizzato. L’Europa non ha saputo avere né una leadership né la consapevolezza che era il momento di poter giocare un ruolo terzo, perseguire una terza via: che era quella che Gorbaciov tentava in Russia. Abbiamo preferito il profitto e l’espansione della cultura occidentale plagiata dalle ideologie thatcheriane e reaganiane (il profitto dei neolerci e delle élite). L’Europa che tentava all’epoca una sua strada, ma accecata dalla corruzione dei vecchi ceti dirigenti (da noi in Italia doveva ancora arrivare tangentopoli), perse l’unica occasione reale che aveva. La Russia fu travolta dagli immani problemi di una economia al collasso e dalla fine (già da tempo) della fase propulsiva proveniente dall’ambizione di una modernizzazione nella libertà (perché questo poteva essere l’istanza socialista e la palingenesi comunista) invece di essere una fallita modernizzazione nell’oppressione sociale.
- Gorbaciov e Raissa
La vicenda Gorbaciov è l’atto finale di una crisi che, negli Stati soggetti alla modernizzazione - cioè allo sviluppo industriale "occidentale" - si trascinava dagli anni Settanta del secolo scorso. Fino ai primi anni Settanta la Russia e l’Est europeo ancora riuscivano a reggere il passo. Poi la grande crisi "petrolifera" in occidente ha riplasmato quelle economie (le nostre economie: lacrime e sangue per l’Italia, in cui intere linee produttive furono cambiate, il nostro Paese visse tra strategia della tensione, espansione della mafia e inflazione...) lasciando al passo i sistemi produttivi dell’Est europeo. Negli anni Novanta, davanti alla nuova crisi, l’Est europeo aveva una struttura economica e sociale ante-crisi, l’Ovest un apparato rinnovato. La guerra economica fu vinta dall’Occidente, che però a parte qualche analista o "pensatore" statunitense (filoni di pensiero "imperiali" cioè pronti a pensare a un mondo USA-centrico), con dei ceti politici assolutamente impreparati a "pensare in grande".
Quella di Gorbaciov è anche la vicenda della impossibilità di una "terza via". Se vogliamo, il più europeo dei leader europei del tempo. Con Enrico Berlinguer e Olof Palme. Una terza via che non andava giù né agli apparati e alle oligarchie esistenti - anche all’interno dei rispettivi "partiti", si pensi alla solitudine di Berlinguer negli ultimi anni della sua vicenda politica anche all’interno del PCI - né al contesto della lotta tra Stati, servizi segreti e Impero. Eppure, per alcuni anni fu un raggio di luce - Gorbaciov e la giovane moglie Raissa, un impatto pubblico simile a quello di Kennedy e sua moglie. L’Europa dell’Est usciva dal mondo paludato e gerontocratico della nomenklatura sovietica - la lunga parabola senescente dei Brežnev e compari: da noi il mondo fossilizzato della nomenclatura democristiana e del sistema di potere del "pentapartito" -, e mostrava il volto "europeo" e democratico, leale e comunicativo. Per un attimo, davanti alle miserie dei nostri Paesi, abbiamo sperato. La storia ha preso un altro corso. Il tentativo di golpe, la realtà di miseria e di arretratezza dell’ex impero sovietico. L’incapacità da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati di "pensare il mondo" in maniera diversa.
Gorbaciov è stato lasciato in vita. Fino ad ora. Quasi come un monito: vedete? una terza via è impossibile. Non si scappa dalla logica del denaro e dall’oligarchia del capitale. La sua morte, oggi, significa che anche questo nostro mondo ha il suo termine, e ci troviamo - ineluttabilmente - in un nuovo mondo. "L’era dell’abbondanza è finita" annuncia il nanoleader Macron. La transizione è finita, ora iniziano i guai veri.
Morto Mikhail Gorbaciov: ultimo leader sovietico e "inventore" della perestrojka
Le sue politiche portano alla caduta del Muro di Berlino. Nel 1990 fu insignito del Nobel per la pace. Aveva 91 anni ed era malato da tempo
È morto all’età di 91 anni, Mikhail Gorbaciov. Lo ha reso noto l’agenzia russa Tass, citando l’ospedale dove era ricoverato: era malato da tempo. Ultimo leader sovietico, fu insignito nel 1990 del Nobel per la pace “per il ruolo di primo piano nei cambiamenti radicali delle relazioni fra Est e Ovest.”
Ultimo segretario generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica dal 1985 al 1991, appena entrato in carico lancia un processo di riforme noto come ’Perestrojka’ (in russo ricostruzione) che trasformerà radicalmente le dinamiche politiche interne ed i rapporti di Mosca con gli altri paesi, aprendo in pratica al dialogo con l’Occidente. Di straordinaria importanza gli accordi per la riduzione dell’arsenale nucleare firmati con il presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan. La sua azione politica portò alla fine del lungo periodo di guerra fredda cominciato subito dopo il secondo conflitto mondiale e, in ultima istanza, alla caduta del Muro di Berlino nel 1989.
Il 15 marzo del 1990 il Congresso dei rappresentanti del popolo dell’Urss lo elesse alla nuova carica di presidente dell’Unione Sovietica: fu il primo e l’unico perché l’Urss si dissolse di lì a poco. Gorbaciov infatti trovò una forte opposizione ad alcune sue riforme economiche e nel dicembre del 1991, quattro mesi dopo un fallito colpo di stato nei suoi confronti, si dimise.
Gorbaciov, secondo le sue volontà, sarà sepolto nel cimitero Novodevichy a Mosca, accanto alla moglie Raisa Titarenko.
Fonte: RaiNews
È morto Michail Gorbaciov
L’ultimo presidente dell’Unione Sovietica e artefice della perestrojka aveva 91 anni
È morto a Mosca Michail Gorbaciov, l’ultimo presidente dell’Unione Sovietica e uno dei leader politici più influenti della Seconda metà del Novecento: le sue scelte politiche contribuirono alla fine della Guerra Fredda e alla dissoluzione dell’URSS. Aveva 91 anni e secondo le agenzie di stampa statali russe, che ne hanno annunciato la morte, era malato gravemente da tempo.
Gorbaciov nacque il 2 marzo 1931 a Privolnoye, un villaggio di campagna nel Caucaso del Nord. La sua famiglia era molto povera, benché suo nonno fosse a capo di un kolchoz, una fattoria collettiva. Dopo la Seconda guerra mondiale l’Unione Sovietica affrontò un periodo di carestia, ma un anno ci fu un raccolto particolarmente abbondante: in quell’occasione il padre di Gorbaciov e lui stesso – che già aiutava nel lavoro agricolo – ricevettero una medaglia dal regime, che allora era guidato da Josif Stalin.
Grazie ai voti eccellenti che prendeva a scuola e al riconoscimento ricevuto dal regime, il giovane Gorbaciov riuscì a entrare nella migliore università della Russia, la Statale di Mosca. Studiò legge, laureandosi con il massimo dei voti e riuscendo presto a colmare il divario che lo separava dagli studenti di città. Tuttavia, al lavoro nelle procure preferì la carriera politica, entrando nella Lega della gioventù comunista – la Komsomol – e scalando velocemente i ranghi nell’amministrazione locale della regione di Stavropol, di cui era originario. Nel giro di dieci anni diventò capo della sezione locale del partito, che significava essere a capo dell’intera regione. Aveva 39 anni.
In questo ruolo ottenne alcuni successi che ebbero risonanza nazionale, come l’inaugurazione del canale di Stavropol, all’inizio degli anni Settanta. Nel giro dei dieci anni successivi si guadagnò la fiducia del leader sovietico di allora, Leonid Brezhnev, elogiandolo spesso nei suoi discorsi pubblici. Nel 1978 Gorbaciov venne nominato Segretario del Comitato Centrale del partito.
Dopo la morte di Brezhnev, ci fu quello che venne poi definito l’«interregno» di Andropov e Cernenko, due leader molto anziani e che morirono pochi mesi dopo essere diventati Segretari del Partito Comunista, la massima carica sovietica. Quando nel 1985 morì Cernenko, a fare il nome di Gorbaciov fu Andrei Gromyko, funzionario di lungo corso ed “eterno” ministro degli Esteri dal 1957 in poi. Inaspettatamente, il Politburo, cioè la massima assemblea sovietica, lo appoggiò e Gorbaciov venne eletto all’unanimità capo dell’Unione Sovietica, il più giovane della storia. Aveva 54 anni.
L’Unione Sovietica arrivava da un ventennio di immobilismo e conservatorismo politico. Il potere era gestito da una burocrazia ministeriale diventata negli anni enorme e inefficiente, e da una struttura di partito che aveva da tempo perso dinamismo e che non riusciva più a dare impulso all’economia. Le tensioni interne nelle varie repubbliche socialiste, che chiedevano maggiore indipendenza, erano sempre maggiori, e c’erano estesi problemi sociali come l’alcolismo, che aveva raggiunto dimensioni preoccupanti.
I problemi, insomma, erano molti, e Gorbaciov tentò di affrontarli con un esteso piano di riforme sintetizzabili in tre parole d’ordine: glasnost, perestrojka, uskorenie. La prima – traducibile con “pubblicità” o “trasparenza” – indicava la volontà di ammettere, dopo decenni in cui il regime aveva edulcorato la realtà, la presenza di gravi problemi strutturali che andavano risolti. Viene associata anche al graduale tentativo di Gorbaciov di rendere la gestione delle informazioni più democratica e meno opaca, concedendo maggiore libertà di espressione. Perestrojka, che significa grossomodo “ricostruzione”, si riferiva all’enorme piano di riforme economiche di Gorbaciov, che avevano l’obiettivo di modernizzare il sistema economico sovietico introducendo elementi dell’economia di mercato e lasciando più autonomia alle imprese. La terza parola, presto dimenticata, indicava l’esigenza di accelerare la produzione per recuperare il blocco Occidentale.
Sia la glasnost che la perestrojka ebbero effetti collaterali inaspettati e catastrofici per il regime. Da un lato l’apertura a una maggiore libertà di espressione causò un ulteriore aumento della spinta centrifuga in tutte le repubbliche socialiste, in particolare nel Baltico. Dall’altro le riforme calate dall’alto non fecero altro che aggravare la crisi economica, lasciando il sistema sovietico a metà strada tra un’economia pianificata e un’economia di mercato. Come scrisse lo storico Nicolas Werth, «pur rompendo i meccanismi dell’economia pianificata istituita, essenzialmente, negli anni Trenta, la perestrojka non seppe definire chiaramente nuove regole del gioco, né proporre ai lavoratori nuove motivazioni».
Tra il 1990 e il 1991 la crisi politica ed economica arrivò a un punto di non ritorno. Alcune repubbliche socialiste come la Georgia e le repubbliche baltiche dichiararono la propria sovranità, mentre dentro la Russia si stava costruendo un potere parallelo a quello sovietico, guidato dal presidente eletto Boris Yeltsin. Contro questo potere, e contro Gorbaciov stesso, i vertici dello stato sovietico tentarono un colpo di stato nell’agosto del 1991, istituendo lo stato di emergenza. Era il loro estremo tentativo di mantenere il potere, ma il colpo di stato fallì soprattutto per l’opposizione popolare e per la mancanza di un vero appoggio da parte dell’esercito. La sua maggiore conseguenza fu quella di decretare la fine politica di Gorbaciov e di accelerare inesorabilmente il processo di disgregazione dell’Unione Sovietica, sfruttato da Yeltsin che prese il potere nella neonata Federazione Russa.
«Per capire che giudizio dare sulla figura di Gorbaciov, bisogna tenere presente che la valutazione occidentale della sua epoca è molto diversa da quella che si ha nei paesi dell’ex Unione Sovietica», spiega Marcello Flores, storico esperto di comunismo, di genocidi e di diritti umani. «Gorbaciov sapeva fare politica, era affabile e aveva buoni rapporti internazionali, perciò i leader occidentali vedevano di buon occhio le sue riforme. Ma i risultati in patria non furono molto positivi».
Secondo Flores, Gorbaciov non capì fino in fondo quello che stava avvenendo nelle repubbliche socialiste. L’ideologia comunista e federalista non aveva più presa sui popoli dell’Europa orientale, perciò «i leader locali dovettero trovare un nuovo schema per non perdere il potere, un nuovo patto con i cittadini, basato non più sull’ideologia comunista ma sul nazionalismo». Un altro punto debole di Gorbaciov erano le sue posizioni moderate, “centriste”. «Gorbaciov fu preso in mezzo da chi voleva un ritorno alla vecchia repressione dura del partito e chi invece voleva riforme e aperture più radicali».
Andrea Graziosi, docente di storia contemporanea all’Università di Napoli ed esperto di Unione Sovietica, ritiene che si debba distinguere il giudizio storico sull’uomo da quello sul politico. «Le intenzioni di Gorbaciov erano buone», dice Graziosi. «E sicuramente il giudizio storico è in parte positivo perché rifiutò l’uso della violenza, il che è già un gran risultato. Pensiamo a quello che successe con le guerre in Jugoslavia, solo per fare un esempio. Però il giudizio sulle riforme non è altrettanto positivo, perché Gorbaciov non aveva capito che era il sistema socialista a non funzionare. Andava cambiato per intero, come fece Deng Xiaoping in Cina che fece delle riforme profonde e radicali, molte delle quali ciniche e assolutamente non condivisibili, ma che portarono allo sviluppo economico cinese che conosciamo».
Fonte: Il Post
Gorbaciov, l’Italia e Giovanni Paolo II
Era membro della segreteria del Pcus, la prima volta che arrivò a Roma in veste ufficiale per i funerali di Enrico Berlinguer. Nel 1989 arrivò a Roma come presidente dell’Unione Sovietica e fu il primo leader dell’Urss ad entrare in Vaticano
Era il 1984 e Mikhail Gorbaciov guidò la delegazione ufficiale del partito comunista sovietico che giunse a Roma per rendere omaggio alla salma di Enrico Berlinguer. Possibile pensare che già in quelli anni Gorbaciov sentisse delle affinità con il segretario del partito comunista italiano già così lontano dal rigorismo sovietico a cui molti suoi compagni di partito erano ancora molto vicini.
Un anno dopo Gorbaciov, l’11 marzo del 1985, viene eletto all’unanimità segretario generale del partito comunista. Ha 54 anni, nel suo curriculum una brillante e immacolata carriera di dirigente. Era entrato nel partito a 21 anni occupandosi dei problemi agricoli delle terre dove era nato, a ridosso del Caucaso.
I suoi rapporti con l’Italia diventano sempre più stretti: Bettino Craxi, presidente del Consiglio e Sandro Pertini, presidente della repubblica, scambiano con il leader sovietico reciproci gesti di cortesia. Gorbaciov guardava l’Occidente sempre con più interesse.
A differenza dei suoi predecessori, Gorbaciov viene ritenuto nei paesi europei l’uomo che potrebbe rompere con la vecchia guardia.
Gli ottimi rapporti con il nostro paese sono suggellati con il viaggio di Gorbaciov a Roma nel 1989. Lui e la moglie arrivarono in una mattinata di sole del 29 novembre ricevuti sotto l’Iliushin 62 dell’Aeroflot dal presidente del Consiglio, Giulio Andreotti. Il presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, sta aspettando al Quirinale. I romani lo accolgono con applausi per le vie del centro di Roma. Con la moglie Raisa visita il Colosseo.
Durante il pranzo di stato offerto da Cossiga, Gorbaciov dice che “La guerra fredda è terminata, o sta terminando, non perché ci sono vincitori e vinti, ma perché non ci sono più né gli uni né gli altri”.
Il 1 dicembre un presidente sovietico entra per la prima volta in Vaticano ricevuto da Giovanni Paolo II. Si tratta del primo faccia a faccia tra un Papa cattolico ed un Presidente dell’est, alla vigilia dell’inizio del crollo dell’impero comunista. Gorbaciov annuncia l’intenzione di stabilire relazioni con la Santa Sede e la volontà di invitare il Papa a Mosca. Visita che non avverrà.
Fonte: RaiNews
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