Pippo Fava e le sue scarpe
In un libro di Enzo Consoli la vicenda di Pippo Fava, la fine di una speranza e l’impegno per ricominciare quella lotta.
Scarpe di camoscio / di Enzo Consoli. - Roma : Ed. Onix, 2004. - 12,00 euro.
"Alle otto, Pippo era ancora al Teatro Rosina Anselmi, dove stavano provando un suo nuovo testo sulla violenza perpetrata dalla mafia. Era ancora lì perché si era messo a litigare con il regista. Guardò l’orologio e disse che doveva andare. Il regista lo trattenne ancora e gli disse qualcosa che lo mandò su tutte le furie. Pippo uscì dalla sala sbattendo la porta. Corse alla macchina e vi salì. Si accese una Gauloises e fece per avviare il motore. Sentì bussare sul vetro della portiera. Si girò e vide un giovane che aveva affiancato l’auto con la sua moto e che fece segno a Pippo di abbassare il vetro. Lui convinto che l’altro volesse un’informazione, lo abbassò. Ma quello invece di dire qualcosa , gli puntò la canna di una pistola alla tempia. Due colpi e Pippo si accasciò sul volante. La moto ruggì e partì a gran velocità. Il suono persistente del clacson che il petto di Pippo stava schiacciando, richiamò l’attenzione dei passanti. Qualcuno uscì dal teatro e si portò le mani ai capelli. La vendetta era arrivata. Quella di Arenco? Non solo. Difatti fu sempre difficile stabilire chi potesse essere il vero mandante. Certo è che quanto veniva scritto sulle pagine de "I Catanesi" aveva esasperato gli animi di parecchia gente. Gli Arenco erano ormai tanti. E forse tutti insieme si erano tolto quella spina dal fianco. Ma per molti altri, quella tragedia rappresentò la fine di una speranza. Quella di continuare a lottare contro un male inesorabile. Quella di non subire passivamente la prepotenza di pochi. Quando tutti gli amici, compreso Nico, si trovarono davanti al feretro di Pippo Famà, Angelo sussurrò ad Orazio: "Una lampadina che si fulmina all’improvviso fu… e che ti lascia all’oscuro". Infatti nel buio di quegli anni, Famà rappresentava l’unico lumicino acceso nelle coscienze dei catanesi. Ed ora quel buio che tornava ad oscurare la città, si sarebbe propagato nel resto dell’isola fino a raggiungere distanze infinite".
E’ questo l’epilogo del volume di Enzo Consoli: "Scarpe di camoscio" edito dalla Onix editrice di Roma nel 2004. Le figure ed i personaggi anche se con nomi diversi (Famà rievoca Fava ed " I catanesi" sta per "I Siciliani" ) rievocano personaggi e fatti reali della Catania degli anni sessanta, raccontata per descrivere sentimenti ed emozioni, attese e speranze dei giovani che aprivano i loro occhi incerti e spauriti dinnanzi al boom economico che avanzava impetuoso all’indomani della guerra e si rifugiavano nel "branco" gruppo ora politico, ora associativo, ora contestatore e anarchico, che anticipa e prepara la rivoluzione del ’68. Comprare un paio di scarpe nuove e di camoscio in Via Etnea era il sogno di tanti ragazzi dei quartieri di Nesima, di Cibali o di Picanello, dopo aver trascorso un’infanzia segnata dai sacrifici e dalla povertà del periodo bellico.
I giovani di allora, oggi persone mature, si ritrovano nella storia romanzata di Nico e Sandra e rileggono le problematiche e le ansie di una libertà da conquistare e da gestire, di una democrazia da conquistare e di una mafia da combattere. Presentando il volume al Piccolo Refettorio dei Benedettini, alla vigilia di Natale, il prof. Antonio Di Grado dell’Università di Catania, ha affermato che "Scarpe di camoscio" racconta l’autobiografia della città di Catania e dice quel che Brancati non poteva dirci. Al pudore elegiaco di una Catania profumata di zagara e di gelsomino si contrappone la ricerca impetuosa dei giovani che corrono verso il nuovo, inciampano nella rete della mafia ed alla Catania di luce di Brancati si contrappone il grigio ed il buio di Consoli che accompagna l’ansia dei giovani ora politicanti e ribelli, ora rivoluzionari e conservatori, ora anarchici e perdenti.
Costruito a medaglioni che man mano s’allargano ad ampie e prolungate dissolvenze, il volume ripercorre la vita catanese cara e nota a molti cinquantenni di oggi nella ricostruzione di un ricordo che diventa memoria e lezione di vita per le giovani generazioni.
La rivisitazione dei luoghi della Catania di ieri, del caffè Lorenti, della scogliera ancora selvaggia e affascinante, dei paesini etnei con le botteghe semplici e rustiche, dove si andava a mangiare i legumi, oggi appare solo nei dipinti degli artisti siciliani che Maria Teresa Di Blasi ha saputo scoprire ed accostare al volume di Consoli, sfogliando le pagine del libro con le illustrazioni dei paesaggi di Roberto Rimini, Gaetano Longo, Francesco Messina, Emilio Greco.
Lo stile incisivo e puntuale, connotato da frasi brevi e taglienti, ricco d’immediatezza ed essenzialità rende il volume di gradevole lettura e consente di rivedere come in un film una storia non molto lontana, ma che adesso è profondamente mutata. L’autore che vive a Roma, ha scritto diciotto lavori teatrali, è autore di diversi romanzi, commedie e testi per il teatro ed ha un’ottima dimestichezza con il cinema ed il teatro, ricoprendo il ruolo di direttore di doppiaggio, presso la N.D. di Roma.
L’espressione citata "Una lampadina che si fulmina all’improvviso fu… e che ti lascia all’oscuro". Infatti nel buio di quegli anni, Famà rappresentava l’unico lumicino acceso nelle coscienze dei catanesi. Oggi nel ventunesimo anniversario di Pippo Fava resta un’immagine viva e dinamica, che nella memoria risveglia non solo ricordi, ma suscita speranza ed impegno a ricominciare e continuare il cammino già tracciato.
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