La questione delle aree interne

Il poeta Franco Arminio può scrivere e parlare di aree intense per quello che esprimono e rappresentano in storia, in cultura, in natura, in beni e in valori umani...

di Luigi Boggio - lunedì 26 agosto 2024 - 1057 letture

Sono il futuro quando si parla delle zone interne. Ma non è così visto il flop del piano 2014-2020. Il poeta Franco Arminio può scrivere e parlare di aree intense per quello che esprimono e rappresentano in storia, in cultura, in natura, in beni e in valori umani. Una ricchezza da valorizzare, ma che non trova il suo giusto sblocco a causa di una classe dirigente incapace da non saper coniugare idee, progetti, realizzazioni.

Dei 480 milioni per la strategia delle aree interne 2014-2020 finora ne sono stati impegnati 266 milioni e spesi 185. Riguardano 72 aree interne, aggiunte altre 56 per il ciclo di programmazione 2021-2027, che ancora non è partito in quanto la lista dei territori è stata definita alla fine del 2023.

Chi ne capisce nutre dei seri timori per l’approccio dirigista e centralista del governo Meloni senza spazi di coinvolgimento dei luoghi reali. Non è l’unico caso anche i programmi del Pnrr e della Zes sono finiti nelle diverse regie di cabina di Palazzo Chigi. Si pensava per farle comunicare tra di loro e per avere un quadro sempre più aggiornato dell’avanzamento dei programmi. Nulla di tutto ciò, con ritardi notevoli e verifiche che portano sempre ad un aggiornamento dei programmi.

Si aggiorna tagliando. Altro che piani quinquennali sovietici come va dicendo in giro il ministro Giorgetti. Credo che sia una battuta per non entrare nel merito e non sciogliere la contraddizione tra fautore dell’autonomia differenziata e il centralismo dirigista del governo in cui fa parte.

Le contraddizioni di questo governo sono tante su alcune di queste dovrebbero farle esplodere le realtà locali rivendicando il loro protagonismo nelle scelte e nelle realizzazioni, anche nelle difficoltà in cui si trovano. Difficoltà reali per mancanza di personale e bilanci non floridi.

Non bisogna mollare per una semplice ragione democratica e partecipativa per non finire in mano in continui regimi commissariali. Che vengono e vanno, lasciando quasi sempre i nodi da sciogliere a chi verrà. Soprattutto i comuni delle aree interne per evitare lo svuotamento e di dire addio ai propri paesi dovrebbero cercare di fare l’impossibile per trovare degli obiettivi comuni e forme partecipative allargate non chiuse nelle stanze dei palazzi municipali o all’ombra dei campanili.


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