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Indagine del Cineas: per gli italiani gli ospedali sono insicuri

di Vincenzo Raimondo Greco - mercoledì 24 maggio 2006 - 3757 letture

Cosa fare quando si deve scegliere un ospedale dove farsi curare? Dove reperire le informazioni utili a scegliere la struttura sanitaria più adatta alle esigenze del paziente?

E’ il grande cruccio degli italiani che hanno bisogno di cure. Manca, infatti, “l’accesso ai tassi di mortalità standardizzati o di infezioni ospedaliere delle singole strutture mediche”, scrive Altroconsumo che, nel gennaio scorso, ha chiesto a “1000 medici di indicare gli ospedali che, secondo loro, forniscono le cure migliori per un paziente con un problema molto serio e difficile”.

Un tentativo per colmare il gap informativo sulla qualità dei servizi ospedalieri. “Ad oggi infatti non esiste un sistema pubblico che, attraverso criteri condivisi, sia utile al consumatore per confrontare la qualità degli ospedali”, dicono ad Altroconsumo. E i recenti avvenimenti che hanno portato agli onori della cronaca alcuni ospedali italiani dimostrano che le preoccupazioni degli italiani hanno ragion d’essere.

Ad avvalorare queste preoccupazioni, giungono i dati del Cineas (Consorzio universitario per l’ingegneria nelle assicurazioni) del Politecnico di Milano diffusi durante il convegno “L’ospedale sicuro: realtà o miraggio”.

Quattordici mila persone ogni anno muoiono in ospedale e 320mila, pari al 4 per cento dei circa 8 milioni di italiani ricoverati in 12 mesi, sono vittima degli errori in corsia. Le cause di risarcimento intentate ai medici sono dodici mila e sono in aumento (+184% nell’ultimo decennio).

L’indagine è stata condotta su 100 direttori sanitari, direttori generali ed esperti di gestione del rischio di ospedali (76%) e Asl (24%) in sei regioni (Campania, Emilia Romagna, Lazio, Lombardia, Piemonte e Sardegna).

Entrando in un ospedale, 3 italiani su 10 si sentono “poco o per niente” sicuri, 5 si considerano solo “abbastanza” sicuri mentre appena 1 su 10 trova la determinazione per dichiararsi “molto sicuro”. Quasi 8 su 10, inoltre, ritengono “probabile” o “certa” l’esistenza di alcune fasi o momenti nei quali c’è maggiore probabilità che si verifichi un “evento avverso”.

Dopo aver sollevato il problema con un documentatissimo dossier (“Quando l’errore entra in ospedale”), nel quale era stata anche raccolta l’opinione dei medici e del personale ospedaliero attraverso una ricerca, oggi Cineas (www.cineas.polimi.it )che si occupa di formazione e cultura del rischio, torna sul problema dando voce ai pazienti.

Con questa nuova esplorazione del complesso sistema del cosiddetto errore ospedaliero - spiega Adolfo Bertani, Presidente di Cineas - abbiamo voluto offrire il nostro contributo di conoscenza su un problema per il quale secondo noi oggi esistono strumenti che consentono certamente di ridurne gli effetti. E’ chiaro, infatti, e lo conferma la ricerca, che al di là dell’ambito dell’errore umano, sul quale in ogni caso è possibile incidere, rimane un’aria grigia relativa all’organizzazione del lavoro e alle procedure sulla quale è possibile agire in chiave di analisi, valutazione e prevenzione con risultati sicuri".

Ma a chi attribuire colpe e responsabilità per una sanità inefficiente?

Per 6 italiani su 10 la colpa è dei medici e degli altri operatori, mentre 2 italiani su 10 puntano il dito su problemi legati all’organizzazione del lavoro e alla logistica delle strutture ospedaliere. I più accaniti contro i medici sono le donne (65,3%), i 45-54enni (68,3%) e i residenti nelle isole (67,8) e nei centri con oltre 30 mila abitanti (60%).

Continuando a scorrere i risultati della ricerca Cineas/Cirm, è interessante notare che il 42,1% degli intervistati ritiene che certamente ci sono delle fasi della degenza ospedaliera nelle quali l’errore è considerato più ricorrente, mentre per il 35,6% questo è solo più probabile.

La fase più esposta a rischio è, sempre secondo i degenti, quella relativa all’intervento in sala operatoria (46,8%), mentre il 22,8% guarda con maggiore apprensione alla degenza post operatoria, il 15% a quella pre operatoria e “solo” il 18,3% indica il pronto soccorso come area maggiormente critica all’interno di una struttura ospedaliera. Il 14,6% individua invece potenziali pericoli nella fase diagnostica, con una curiosa punta del 21,2% tra gli intervistati residenti nelle isole.

Ma come risolvere il problema? Una prima soluzione potrebbe essere il ricorso all’ Hospital risk manager che, spiega Adolfo Bertaninon è un tuttologo ma piuttosto un coadiutore del medico che promuove una cultura dell’errore, lo studia, lo valuta e lo cataloga allo scopo di non ripetere mai più nulla del genere”.

L’Hospital risk manager, conclude Bertani, “migliora la gestione delle problematiche di sicurezza e protezione in termini sia di salute dei pazienti che degli operatori. Ma per ottenere questo risultato occorre che il managment ospedaliero decida d’investire nella formazione di una competenza che oggi non esiste. Prevenire il rischio in un ambiente così difficile e particolare, infatti, è un mestiere che non s’improvvisa”.

La praticabilità della strada Hospital risk manager è certamente possibile per il 24% degli intervistati mentre il 45,9% ritiene che lo sia, ma a patto che i medici diano la loro disponibilità a collaborare con un professionista che potrebbero vedere, in un certo senso, come un controllore piuttosto che - come in realtà accade - un ottimizzatore di processi e procedure.

Resta il capitolo della prevenzione e dei suoi costi. Secondo l’indagine del Cineas, per gli italiani, è il Ministero della Salute (53,3%)a doversi sobbarcare il peso economico; mentre solo l’11,5% considera l’investimento di diretta competenza delle aziende ospedaliere, l’11,1% fa riferimento alle Regioni e un 10,1% accetta che l’onere ricada, genericamente, sulla collettività.


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