Illazioni in margine ad una festa
"La festa di sant’Alfio è tornata a scandire gli anni, si tende a ricordare “l’anno in cui alla festa di sant’Alfio” accadde quello..."
“La tradizione è custodia del fuoco, non adorazione della cenere” (Gustav Mahler).
Vorrà pur dire qualcosa che siano donne/ragazze le sante patrone delle principali città della Sicilia. La santuzza Rosalia (Palermo), Agata (o Aita, Catania), la Madonna della Lettera (Messina), Lucia (Siracusa). Una preminenza dell’elemento femminile della Dea Madre di matrice pre-indoeuropea. Vengono poi santi maschi e femmine disseminate in tutta l’isola. Ogni città ha il suo patrono, momento identitario del luogo e nello stesso tempo metafora attorno cui si raggruppa la comunità - per rivendicare il diritto all’esistenza, per cercare protezione alle sventure o alle guerre. Vessillo per il quale lottare o attorno cui i vari ceti locali trovano un momento di unione (o motivo di dissidio). Venerare una “dea madre” rispetto a un “dio guerriero” non inficia le propensioni guerresche di una comunità. Che sia femmina o che sia maschietto, le comunità son pronte alla morte e a prendere le armi in nome e per conto del proprio patrono. Mentre Marx parlava di religione come “oppio” dei popoli, Bertrand Russell precisò che non di oppio si trattava, ma di cocaina (questa citazione non è mia, ma la riprendo da Hillman).
Vi è un solo santo che travalica l’ambito municipale e che abbraccia una realtà geografica addirittura inter-regionale. Un santo che in realtà sono tre: i tre fratelli Alfio Filadelfo e Cirino. Uno e trino (la teologia trinitaria cattolica ha spazio facile). Ma, soprattutto, questa inter-regionalità che ne fanno gli unici veri santi del Meridione italico. Non a caso, crediamo, il loro culto viene promosso quando l’isola e la penisola sono unificati politicamente. Sotto gli imperatori normanni e poi svevo, ma soprattutto nella lunga durata del Regno delle Due Sicilie. Più di qualsiasi altro santo, i tre santi Alfio Filadelfo e Cirino sono i santi unificanti del Meridione. Nativi della pugliese (o meglio: salentina, dato che lingua e luogo sono importanti) Vaste, hanno per sorte il lungo tragitto che li fa arrivare alla fine a Lentini, per la morte tragica (martirio, secondo il linguaggio cristiano).
Il luogo della morte, invece di essere additato a eterna dannazione, con tutti gli abitanti che quella morte osannarono e festeggiarono, viene eletto - dal curioso senso del paradosso proprio del cattolicesimo - a luogo per eccellenza della fede e della devozione verso quei tre massacrati. Attraverso il ricordo di una donna (danarosa) dell’epoca che li accudì e che permise il primo nucleo di cristiani nel luogo (Tecla che diventa santa ma non trova nessuna chiesa a celebrarla - se non nei recentissimi anni Ottanta e non a Lentini ma bensì nei nuovi territori di espansione di Carlentini, a Santuzzi). Sono vicende di culto sempre paradossali. Come l’assalto armato fatto da cittadini lentinesi al convento indifeso di San Fratello (luogo ora attaccato a Messina) per rubarne le reliquie che diventano proprietà dei lentinesi e della chiesa dedicata ad Alfio. Tra il primo momento (l’uccisione dei tre fratelli “giustiziati” dalla legge romana) e il furto passano quasi mille anni. In questo tempo, la cristianità diventa dominante anche a Lentini, ma non è Alfio il patrono della città. La città ha come cattedrale Santa Maria (Santa Maria La Vecchia o Santa Maria La Cava). E ad essere venerata è una Madonna nera custodita nel Castello antico (il Castellaccio) della città medievale. Il culto di Maria precede e diventa poi sotterraneo rispetto al culto di Alfio.
Nei pressi di Lentini esiste quello che viene considerato il più antico luogo di culto mariano dell’Europa occidentale. Si tratta dell’eremo dell’Adonai che sorge vicino a Brucoli, in quello che un tempo era l’ "isola" di Gisira (il nome arabo del monte significa appunto isola, tra Arcile e Brucoli). Qui scapparono i profughi cristiani provenienti da Lentini, e fu dipinta la Madonna Nera con bambino. Tra presenze nei secoli di templari e monaci, i monaci provenienti da Lentini hanno sempre "abitato" questi luoghi. Lentinesi che veneravano Maria. Primo vescovo di Lentini, secondo la tradizione, fu Neofito (uno di quelli scappati all’eremo dell’Adonai), che consacrò la Chiesa Madre alla Madonna il 4 Settembre del 261 d.C.. Una epigrafe ottocentesca sull’arcata della navata centrale del Duomo, dice: Leontina Ecclesia prima Deiparae Natalitia Dedit ante Concilii Ephesini Institutionem. La comunità dei fedeli di Lentini dice, rassicurando a se stessa e tramandandola ai posteri, che loro erano devoti mariani prima della decisione del concilio di Efeso che consacrò il culto mariano (prima i cristiani ufficialmente non veneravano Maria). (Su tutto questo cfr: LuoghiPensanti)
E’ tra poco prima del terremoto, e dopo il terremoto che le cose cambiano. Il terremoto fa pendere la bilancia da una parte, su contrasti e forze che erano in atto anche prima. Il terremoto distrugge l’antica cattedrale, e viene deciso che tutto dovrà essere trasferito nella nuova sede che viene eretta ampliando la pre-esistente chiesetta di sant’Alfio, localizzata in margine alla città, a nord del piazzale che accoglieva il mercato esterno della città, e che diventerà poi la piazza centrale dell’abitato post-terremoto. La nuova cattedrale viene chiamata: Chiesa Madre Santa Maria La Cava e sant’Alfio. Attorno alla nuova cattedrale su cui si comincia a lavorare nel Settecento, si coagulano ceti e gruppi di “uomini nuovi”, che si contrappongono a ceti e forze che trovano nelle altre chiese il loro punto di aggregazione.
Indicativo a questo proposito il documento, scoperto e pubblicato dall’ottimo Francesco Valenti, sulla diatriba che contrappone la chiesa di san Luca a quella di sant’Alfio: "La disputa dei canonici : clero e società a Lentini nel XVIII secolo" (Catania : CUECM, 1993).
Nel documento pubblicato da Valenti, si fa chiaro riferimento: alla lotta della parrocchia di san Luca contro la neonata collegiata, frutto dell’inclusione dei residui della ex chiesa Madre (santa Maria la Cava) con la chiesa di sant’Alfio; la collegiata diventa la chiesa principale, le altre provano a opporsi ma sono sconfitte. Prima del culto e della festa di sant’Alfio, era la festa di san Marco, collegata alla festa degli animali (che si svolgeva ad aprile) nella spianata Sopra la Fiera (ovvero, in quella che sarebbe diventata la villa “ra badda” ovvero antistante la scuola Vittorio Veneto). Una festa di poveri, propria del quartiere povero che stava dietro san Luca (il quartiere san Paolo). E’ strano che queste due cose rimandano a due chiese assenti: san Marco e san Paolo appunto. Erano chiese esistite fisicamente, poi decadute ed eliminate? san Luca sembra prendere l’eredità di queste chiese (o di questi culti), valendosi dell’antichità temporale della parrocchia nei confronti della più recente collegiata.
La predominanza (recente, in termini storici) di Alfio è una cosa che varrebbe la pena di essere indagata, dal punto di vista storico e sociologico/antropologico. La discriminazione operata nei confronti dei “minori” Filadelfo e Cirino potrebbe essere pensata anche come offensiva, da parte del pubblico dei fedeli / la comunità dei fedeli. Mai nessuno che in tutti questi anni abbia pensato di dedicare una chiesa a san Filadelfo (o Filadelfio) e/o san Cirino. L’unità non può essere divisa, l’egemonia di Alfio, il “maggiore”, non può essere discussa. E’ il principio di autorità che viene rimarcato.
La storia della festa di sant’Alfio è anche la storia di come una determinata festa assume l’egemonia e diventa “la principale”, mettendo in ombra tutte le altre feste, espressione di altri ceti e di altre esigenze, incorporando parzialmente esigenze delle altre feste che vengono soppiantate o ridotte in stato larvale. La storia della festa di sant’Alfio è la storia di come le tradizioni cambiano, si adattano ovvero sono adattate nel corso del tempo. Non sempre chi compie le mutazioni comprende appieno la mutazione che sta immettendo nella “tradizione”. L’effetto finale è quello di un patchwork, un insieme eterogeneo di tessere di puzzle, ognuna delle quali rimanda a tradizioni spezzate, residui, mondi culturali che sono stati sconfitti “dalla storia”. Tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento viene formalizzata l’iconografia generale dei santi siciliani (e del Meridione), così che tutte le statue dei santi che si vedono hanno la stessa fisionomia. E’ l’ideale di bellezza maschile/femminile del tempo, la stessa che è rinvenibile ad esempio nei pupi siciliani. Alfio, Lucia, Rosalia, Agata sono pupi dell’epopea popolare, e come tali hanno la stessa faccia. Da questo punto di vista si mostrano come emblemi archetipici. Al di là dell’immagine specifica e del santo particolare che viene offerto alla devozione delle singole comunità e dei singoli fedeli, ciò che alla fin fine si prega è un unico santo, un’unica immagine che “rimanda a”.
In ogni caso, i santi guerrieri soppiantano la madre originaria (la Dea Madre?), e i santi evangelici, e questo rimanda alla preminenza di ceti a carattere guerriero (o brigantesco), una società decisamente più pugnace di quella precedente. Lì dove si esaltano i “tre santi” la cosa non avviene in maniera innocente: alla base c’è una visione militarista, (violenta?), della realtà. I “fratelli” sono la banda, la cumacca. Siamo all’interno di una società feudale, in cui la solidarietà la si ritrova all’interno della “famiglia”: reale, allargata o putativa (la famiglia mafiosa) che sia. Il potere, lo Stato, è portatore di sopruso e di regole che non si condividono né si comprendono; ci si difende “tra di noi”, con la “famiglia” e con la “fede”. Un maschilismo e tornaconto femminale amorale che “fa resistenza” di fronte all’arbitrio incomprensibile del potere. In ogni caso, tra la fine del millennio e l’inizio del nuovo millennio, assistiamo a una ripresa del culto e della forza di aggregazione del cattolicesimo, all’interno di una società lentinese stagnante in una trentennale crisi economica (la crisi della monocultura dell’agrume). E una ripresa della forza aggregativa della parrocchia di sant’Alfio. Complice la deferenza delle amministrazioni locali ormai orbe dei partiti laici di riferimento, e che sperano di trovare nella base elettorale cattolica quella solidità che sentono sfuggire nel resto della città. Non a caso una delle ultime riflessioni di Zygmunt Bauman (pubblicate da Feltrinelli in una antologica a cura di Heinrich Geiselberger) riguardano la “grande regressione”.
In questa ripresa gioca certamente un ruolo sia la funzione coordinatrice del parroco a cui è affidata la Chiesa, ma anche la capacità aggregatrice dei fedeli. Nella chiesa di sant’Alfio agiscono due forze aggregatrici: quella degli scouts (a Lentini ci sono due nuclei di scouts: a sant’Alfio e a san Luca), e i fedeli organizzati nei Devoti Spingitori, confraternita legata al culto di sant’Alfio e attivi soprattutto in occasione della festa. Una organizzazione recentissima, fondata nel 1984, per ovviare ai problemi che davano gli operai (pagati) che spingevano la pesante struttura della "vara" (cfr: il sito dei Devoti Spingitori). Un ruolo importante in questi anni lo ha svolto Elio Cardillo, che è nei Devoti Spingitori, poeta, a lui si deve la ripresa a Lentini della tradizione delle novene che per qualche decennio era scomparsa (negli anni Ottanta fu lui il primo a riprendere l’usanza degli altarini montati per i nove giorni natalizi precedenti la nascita di Gesù, nella "sua" piazza Guida Rossa; l’usanza è stata poi per imitazione ripresa nei quartieri storici della città). Il momento di "ripresa della tradizione" dopo il "disprezzo della tradizione" (popolare e agrumicola) che è stato degli anni Sessanta e Settanta, è proprio qui.
Se negli anni Ottanta e Novanta l’altro polo della chiesa novecentesca lentinese, la parrocchia di Cristo Re, legata allo sviluppo moderno della città verso nord (Catania), si è sviluppata assieme al quartiere limitrofo alla via Etnea - avendo la sua evidenza con la festa di Santa Maria delle Grazie che ha conosciuto un trend di crescita considerevole, legata in origine all’immigrazione giambuliriota -, già all’inizio del nuovo millennio si è avuto una ripresa della chiesa e della festa di sant’Alfio. In parte legata al nuovo afflusso di soldi legati ai finanziamenti del Giubileo 2000 che l’aggregazione dell’Ulivo al potere a livello nazionale profuse nel tentativo di una alleanza con il Vaticano dopo il crollo del muro di Berlino; e con i finanziamenti del post-terremoto 1990 (13 dicembre, santa Lucia). Anche il passaggio dal vecchio parroco (padre Castro) al nuovo (padre Maurizio Pizzo), dopo un periodo di crisi, è stato segno della volontà di “ripresa”.
La festa di sant’Alfio è tornata a scandire gli anni, si tende a ricordare “l’anno in cui alla festa di sant’Alfio” accadde quello, “l’anno in cui alla festa di sant’Alfio” avvenne quell’altra cosa... Così nel 2016 quando i "giochi" pirotecnici causarono un incendio alla palma che sorgeva nel terrazzino sovrastante piazza Duomo; quasi a segnare in questo modo l’ultimo malaugurato anno della sindacatura di Mangiameli. Oppure l’anno 2017 in cui il prefetto minacciò di non far avvenire i botti finali (quelli tradizionali della notte tra giorno 11 e giorno 12 maggio). Ora, ai lentinesi puoi togliere tutto, anche la festa di sant’Alfio, ma mai i botti della festa di sant’Alfio. Nel giro di poche ore il prefetto rischiò una sollevazione popolare, per cui il provvedimento fu subito ritirato, e botti furono.
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