Concreto e astratto in Errico Malatesta
Errico Malatesta valuta il comunismo anarchico “forma di emancipazione radicale” all’insegna della concretezza. Concretezza e rivoluzione anarchica sono inscindibili.
La storia del Novecento filosofico è valutabile nella dialettica tra concreto e astratto. Il concreto filosofico è l’universale che contempla il sinolo di universale e particolare, ovvero di sostanza e individualità. L’astratto è la negazione dell’individualità, quest’ultima è definibile in relazione all’universale. Si può valutare una specifica persona nella sua individualità se la si riporta alla verità-natura. L’astratto dei nostri giorni esalta la individualità, ma nega la verità e ogni discorso sulla natura umana.
L’individualità resta così indefinibile e sempre in procinto di cadere nell’assurdo. Il soggetto fluido e metamorfico non osa pensarsi, in quanto è stato persuaso dai “trombettieri del mercato” che l’identità è solo un retaggio del passato, l’identità e la progettualità sociali sono bandite, al loro posto non vi sono che pulsioni e desideri. Il regno del caos è la sconfitta dell’individualità. La soggettività è in tal modo ripiegata su una infanzia interminabile: non ha forma, pertanto deve dipendere dai dispensatori (mercato globale) di “fluide forme” momentanee. L’obbedienza è la sola virtù che il mercato esige.
La nuova divinità in terra tutto può e soffia identità precarie decise dai padroni dei modi di produzione. L’individualità diviene così astratta da se stessa. Lo spettro che si aggira per il globo è “l’inganno identitario” che si conforma alla legge del mercato. La cui funzione è il conformarsi in modo pedissequo ai desideri del mercato. “Sono come tu mi vuoi” è lo slogan degli spettri globali. La battaglia del futuro e del presente per sconfiggere la violenza legalizzata è lotta tra concreto e futuro. Autori e pensatori che nel secolo breve hanno compreso la battaglia politica sono scomparsi dall’orizzonte di visibilità. Di loro non si conoscono i nomi, sono relegati nella dimenticanza ideologica.
Errico Malatesta [1] anarchico e comunista è tra i pensatori della prassi che compresero la necessità del comunismo anarchico, nel quale l’ordine e l’organizzazione è voluta dalle individualità concrete. Si è fratelli, se ci si riconosce nella comune natura umana e non si chiede all’altro di rinunciare a se stesso in nome di ideali astratti. Il comunismo anarchico è processo che pone in atto l’eccellenza dell’essere umano: la fratellanza solidale.
La via che porta al comunismo è l’anarchia. Errico Malatesta valuta il comunismo anarchico “forma di emancipazione radicale” all’insegna della concretezza. Concretezza e rivoluzione anarchica sono inscindibili. L’anarchia è riconoscimento dell’altro nella sua differenza, pertanto l’individuo per fiorire nella sua umanità deve disalienarsi da una serie di astrazioni che lo omologano per renderlo massa su cui il potere agisce. L’astrazione si presenta agli uomini e alle donne con parole suadenti: “popolo, classe lavoratrice e Stato”, sono un esempio dell’inganno dell’astratto. Il popolo e la classe lavoratrice riducono l’essere umano ad una generica presenza spogliandolo delle qualità personali, in tal modo la persona è solo una spettrale comparsa che deve subire scelte e leggi, le quali non sono d’ausilio alla sua crescita umana, anzi alla fine di questo processo di adattamento silenzioso alla volontà del popolo è disumanizzata.
Il comunismo sovietico è solo statalismo e capitalismo di Stato, in cui il soggetto-suddito deve obbedire all’astratta volontà del popolo espressa dal “governo che lo rappresenta”. Il diritto decreta la “dittatura del proletariato”, ma ancora una volta l’individuo è mutilato della sua realtà e della sua individualità personale. Non è soggetto politico, in quanto non ne è riconosciuta l’autonomia decisionale e la diretta partecipazione al governo comune:
“Potrebbe ora avvenire benissimo che, per il prevalere delle tendenze autoritarie tra coloro che si dicono comunisti, anche il comunismo appaia come l’opposto dell’anarchismo e che, nel linguaggio comune, i nomi di comunisti ed anarchici servano ad indicare due tendenze, due programmi, due partiti opposti: ma resterà vero lo stesso che il comunismo non può essere che anarchico, che senza l’anarchia, senza la libertà, si può concepire (in quanto a realizzarlo, specialmente in Italia, è un’altra cosa) si può concepire il convento dei cattolici, il regime dispotico-paternalistico dei gesuiti nel Paraguay, una qualsiasi despotia a modo asiatico, ma non un comunismo di uomini coscienti, civili, evoluti. Il comunismo è un ideale. Esso sarebbe un regime, un modo di convivenza sociale in cui la produzione è organizzata nell’interesse di tutti, nella maniera che meglio utilizza il lavoro umano per dare a tutti il maggior benessere e la maggiore libertà possibile, e tutti i rapporti sociali sono intesi a garantire a ciascuno la massima soddisfazione, il massimo sviluppo possibile materiale, morale ed intellettuale. In comunismo, secondo la formula classica, ciascuno dà secondo le sue capacità e ciascuno riceve secondo i suoi bisogni. Provatevi un po’ ad applicare questa formula autoritriamente, per mezzo di leggi è decreti emanati da un governo e imposti a tutti colla forza! Qual è la misura della capacità di un uomo e chi può giudicarne? Qual è il limite dei bisogni ragionevoli e chi può determinarlo ed imporlo?” [2].
Comunismo anarchico
Il comunismo è reale solo se è anarchico, poiché nelle comunità anarchiche federate, ogni individuo partecipa al governo con i suoi interessi e con i suoi bisogni, i quali sono contemplati nelle scelte generali. Non gli si chiede di rinunciare a se stesso in nome di ipostasi che gravano sulle soggettività, ma di realizzarsi in armonia con i suoi fratelli. Il male è il potere sempre. Dove vi è dominio oligarchico l’individualità è alienata nella sua natura razionale e comunitaria. L’anarchia è la piena realizzazione dell’universale filosofico che coniuga universale e particolare. L’uguaglianza è dunque partecipazione concreta al bene comune:
“Le facoltà degli uomini variano grandemente, e così pure i bisogni. Variano da località a località, da professione a professione, da individuo a individuo, da momento a momento. Come sarebbe possibile, pensabile, una regola applicabile a tutti? E chi sarebbe il genio, il Dio, che potrebbe dettar quella regola? È possibile un regime da caserma, in cui l’individuo è soffocato, in cui nessuno è soddisfatto, in cui l’eguaglianza è formale, apparente, ma vige in realtà la più esosa e la più stupida delle disuguaglianze; ed ancora la caserma può esistere solo perché i capi, coloro che sono riusciti ad imporsi, si sottraggono alla regola comune e dominano e sfruttano la massa. Ma non è possibile una società comunistica se essa non sorge spontanea dal libero accordo, se essa non è varia e variabile come la vogliono e la determinano le circostanze esteriori ed i desideri, le volontà di ciascuno” [3].
Il comunismo che nega le differenza in nome di ipostasi astratte è “un regime da caserma”. Nelle caserme si obbedisce e si è organici ad una immensa macchina, in cui il dissenso è bandito. Dove non c’è dissenso le individualità sono obliterate.
La libertà nell’anarchia non è ti tipo assoluto, in quanto essa coincide con le libertà di ogni soggetto con i suoi gusti e con le sue predisposizioni. La libertà assoluta è anch’essa una astrazione, poiché l’altro non è contemplato: il desiderio del più forte cannibalizza le personalità meno forti. La libertà assoluta è tipica del sistema capitalistico. Il diritto individuale diviene processo di negazione dell’altro, in quanto è il denaro a determinare la realizzazione dei desideri.
Chi ha più capitale compra più libertà a spese delle altrui libertà. Chi ha denaro può affittare il corpo di una donna per comprarne il figlio. Non c’è limite alla potenza del denaro e al suo uso. Si sottrae all’altro la possibilità di conoscersi, di nascere al mondo e a se stesso, è un crimine legalizzato.
La libertà concreta presuppone la crescita qualitativa delle soggettività in relazione, le quali si autoregolano e si autolimitano per permettere ad ognuno di “essere ciò che è”. La fratellanza si impara gradualmente, è processo lungo ma possibile, è l’unica rivoluzione reale, poiché in modo autonomo ci si dispone all’armonia nella quale la rinuncia non grava come un macigno, perché è volere individuale e comunitario.
La libertà concreta non è costituita di calcoli astratti e statistici ma è concretezza; ogni soggetto deve usufruire di ciò che gli permette di esprimersi:
“È purtroppo vero che gli interessi, le passioni, i gusti degli uomini non sono naturalmente armonici, e che dovevano vivere insieme in società è necessario che coascuno cerchi d’adattarsi e conciliare i desideri suoi con quelli degli altri ed arrivare ad un modo di vivere e di agire, che possa nel miglior modo possibile soddisfare sè stesso e gli altri. Questo significa limitazione della libertà, e dimostra che la libertà, intesa nel senso assoluto, non potrebbe risolvere la questione di una volontaria e felice convivenza sociale” [4].
L’anarchia di Errico Malatesta è etica, in quanto non persegue generiche definizioni di “bene” a cui ci si deve adattare. Il concetto di bene non chiede a nessun essere umano di rinunciare a se stesso, esso prende forma nella relazione politica, in cui i governi sono sostituiti dalle soggettività in dialettico riconoscimento-autoriconoscimento. Il bene è relazione politica concreta:
“Quando noi parliamo di bene o di interesse generale, intendiamo il bene di tutti, cioè di ciascun individuo e non già quel supposto interesse sociale che è stato sempre la menzogna con cui si sono giustificate tutte le tirannie. E questo bene di tutti non può raggiungersi che garantendo a ciascuno la più completa libertà individuale” [5].
La libertà è prassi, non è un semplice “volere”, è pratica nella quale le libertà in dialogo prendono forma, pertanto la libertà borghese-capitalistica fondata sulla rapina e sull’accaparramento è sostituita dalla libertà che necessita dell’essenziale per attualizzarsi nella comunità anarchica. La libertà è il volere-potere, non esiste libertà per diritto (astratto), la libertà è prassi individuale nelle comunità e nelle istituzioni:
“La libertà che vogliamo noi non è il diritto astratto di fare il proprio volere, ma il potere di farlo; quindi suppone in ciascuno i mezzi di poter vivere ed agire senza sottoporsi alla volontà altrui” [6].
Rivoluzione e conversione culturale
Errico Malatesta è assertore di una trasformazione culturale nella quale la valutazione etica diviene lo spirito che anima la comunità e i suoi membri. La rivoluzione comporterà un’assoluta conversione etica, se ciò non avverrà non potrà che fallire. Il capitalismo non ha etica, piuttosto la usa per assopire le coscienze dei subalterni, eesa è uno strumento di controllo e di dominio. Nell’anarchia invece è l’anima che unifica coralmente la comunità, essa è pratica che armonizza i gesti, le parole e le scelte di ogni suo membro. Senza la concretezza non c’è rivoluzione, ma solo nuove forme di oppressione non riconosciute.
Errico Malatesta non ha mai descritto in termini specifici il percorso che conduce alla rivoluzione anarchica e la sua organizzazione, in quanto la storia non è prevedibile e poiché gli uomini con la loro libera volontà dovranno stabilire l’organizzazione anarchica. Nessun pensatore può sostituirsi all’umanità che materialmente fa la storia. Ogni sistema politico e filosofico presuppone la verità che cala da un’altitudine siderale per schiacciare gli individui; Errico Malatesta fu testimone della libertà, fu il pungolo che invitava alla libera adesione all’ideale anarchico.
A Luigi Fabbri che lo presentò ad un incontro con il pubblico come il “Lenin d’Italia” rispose che i “Lenin” non sono la vera rivoluzione, in quanto riproducono logiche gerarchiche e di dominio che sono la “causa prima del male”:
“(…)Se diventassi il vostro Lenin come quel “ragazzo” desidera, vi porterei al sacrificio, diventerei il vostro padrone, il vostro tiranno; tradirei la mia fede, perché non si farebbe l’anarchia, e tradirei voi, perché con una dittatura vi stanchereste di me, ed io fatto ambizioso e magari convinto di compiere un dovere, mi circonderei di poliziotti, di burocrati, di parassiti e darei vita ad una nuova casta di oppressori e privilegiati dalla quale voi sareste sfruttati e vessati quanto oggi lo siete dal governo e dalla borghesia (…)” [7].
Egli voleva e desiderava solo la libertà per ogni essere umano. Fu coerente durante tutta la sua esistenza. È stato rimosso dalla cultura ufficiale, egli dimostra con la sua esistenza che l’essere umano non è il “fungo solitario” descritto da Hobbes nel De Cive privo di legami etici e sociali con le alterità, ma è un essere concreto; la concretezza è relazione nella libertà che tocca lo sguardo dell’altro. La concretezza anarchica ci insegna a gurdare l’essere umano oltre le “divise” che dividono. Le parole di De Andrè nella guerra di Piero del 1964 devono risuonarci per insegnarci a guardare con l’intelligenza dell’anima:
“E mentre marciavi con l’anima in spalle
vedesti un uomo in fondo alla valle
che aveva il tuo stesso identico umore
ma la divisa di un altro colore”.
L’anarchia comunista è questa rivoluzione dell’anima senza la quale ogni rivoluzione non può che fallire miseramente.
[1] Errico Gaetano Maria Pasquale Malatesta (Santa Maria Capua Vetere, 4 dicembre 1853 – Roma, 22 luglio 1932) è stato un anarchico e scrittore italiano, tra i principali teorici del movimento anarchico. Partecipò ai moti del Matese nel 1877, fu processato e difeso da Francesco Merlino. Passò più di dieci anni della sua vita in carcere e buona parte in esilio all’estero. Collaborò a un gran numero di testate rivoluzionarie ed è nota la sua amicizia con Michail Bakunin e con Luigi Fabbri.
[2] L’opinione di Errico Malatesta, in: Luigi Fabbri, Anarchia e comunismo “sciemtifico”, liberliber 2012, pp. 61-62
[3] Ibidem, pag.63
[4] Errico Malatesta, Fronte unico proletario, il biennio rosso, Umanità Nova e il fascismo 1919-1923, Zero in Condotta, Monza 2021 pag.291: Il concetto di libertà, in: Umanità Nova, 24 settembre 1920
[5] Ibidem, pag. 204: Anarchismo e Dittatura, in: Umanità Nova, 19 giugno 1920
[6] Ibidem, pag. 434: A proposito di libertà, in: Umanità Nova, 24 novembre 1921
[7] Ibidem, pag. 87: Luigi Fabbri, Malatesta e il pensiero, Catania, Edizioni della Rivista "Anarchismo", 1979, p. 36-38
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