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Competizione e deformazione della natura umana

L’iscrizione alle Università diviene il marchio di Caino: ai giovani studenti e alle giovani studentesse si insegna la selezione con i test di ingresso. Devono competere senza sosta sin dagli esordi della vita universitaria, l’altro è il nemico...

di Salvatore A. Bravo - martedì 23 luglio 2024 - 324 letture

La tragedia del tempo presente non ha un centro, non è identificabile una causa prima da cui far discendere con chiarezza logica e adamantina soluzioni e obiettivi. Il nichilismo crematistico è la logica che permea e si infiltra maligno in ogni istituzione. Non c’è un centro, è ovunque, come il dio di Cusano è in ogni punto vivente della realtà storica e contingente. Siamo tutti direttamente coinvolti, benché siano diversi i livelli di consapevolezza e di responsabilità.

Bisogna prender atto che non vi sono istituzioni che possano essere laboratori dove si pensa il tempo storico in cui siamo implicati, si colgono le contraddizioni e si elabora un’alternativa.

L’istituzione predisposta a tale operazione etica e politica dovrebbe essere l’Università nella quale si formano le future classi dirigenti. L’istituzione universitaria, invece, è parte sostanziale del problema. Al baronato si aggiunge l’adattamento servile al capitalismo e allo scientismo. Essa è l’istituzione nella quale il sistema si riproduce con la fede sempiterna nella forma mentis dell’economicismo aziendale e nel nichilismo crematistico conseguente.

Le giovani generazioni sono addestrate a scegliere le facoltà secondo un ordine e una priorità esclusivamente economica e individualistica. La professione futura è scelta in funzione del reddito. La logica crematistica impera sovrana con i suoi processi di patologizzazione depressiva dell’intero organismo sociale. La si incentiva, la si consolida con l’abitudine alla competizione selettiva. L’iscrizione alle Università diviene il marchio di Caino: ai giovani studenti e alle giovani studentesse si insegna la selezione con i test di ingresso. Devono competere senza sosta sin dagli esordi della vita universitaria, l’altro è il nemico, se cade, si hanno maggiori possibilità di ingresso e di carriera. Le facoltà senza test d’ingresso, sono facoltà irrilevanti per il sistema. Si scoraggia l’iscrizione ad esse, non hanno test d’ingresso, e dunque, non sono appetibili per il mercato.

Senza il marchio di Caino si è perdenti in partenza. La prassi politica e la critica sociale trovano nelle nuove generazioni un limite, esse sono state deformate da decenni di libero mercato. La famiglia, i partiti, le ideologie e la chiesa sono stati abbattuti in nome dei desideri individuali. Ogni limite etico al desiderio indotto è stato rappresentato come “un limite” al desiderio. Le nuove generazioni sono state allevate dal mercato, quest’ultimo ha loro insegnato che il denaro decreta la capacità di soddisfare ogni desiderio. La grande campagna per i diritti individuali si riduce al semplice “ho denaro, me lo posso permettere, nessuno mi può o deve giudicare”. Se qualcuno osa valutare i processi crematistici o i desideri, è giudicato “moralista”. Se guadagni puoi tutto, il mondo è sono un mezzo da usare, la nuova sinistra comunitaria e comunista deve scontrarsi contro tale tremenda realtà a cui si aggiunge una sostanziale ignoranza. Le scuole pubbliche sfornano voti altissimi nell’azione competitiva per attrarre i clienti-studenti, questi ultimi sono persuasi dal voto ingannatore di “sapere”. Il “sapere di non sapere” è rigettato dal dispositivo sociale che deve ingannare per consolidare il dogmatismo crematistico.

Il marchio di Caino è impresso sulla pelle e nella vita psichica, gli studenti devono disimparare ogni barlume di vita comunitaria e solidale. Si insegna loro, una volta superato il test a guardare al mercato globale come ad una possibilità immensa e indefinita di occupazione e carriera. La globalizzazione è intesa come trionfo cosmopolita delle opportunità per i migliori. Naturalmente, spesso, i migliori sono gli studenti e le studentesse che per censo possono attingere alle Università che rispondono maggiormente alle richieste del mercato globale. Quest’ultimo non è fuori l’istituzione, ma è già all’interno. Nelle facoltà si vive secondo i desiderata del mercato, sono amministrate con criteri imprenditoriali: lo studente è un cliente, è un bonifico annuale da conservare. Le Università sono, dunque, parte del problema, da esse, in generale non possiamo aspettarci l’elaborazione di un contro-pensiero. Sono piegate e sussunte alla religione del mercato. Non formano la classe dirigente, ma sudditi fedeli ed eticamente anonimi.

Per agire sul disastro antropologico in cui siamo gettati, in questo momento storico bisogna sollecitare la critica sociale e unirsi coralmente alle forze etiche residuali che criticano il sistema. Le nuove generazioni sono state addestrate alla menzogna ideologica, mostrare loro che oltre le belle parole c’è solo il mercato delle armi e l’egoismo decretato a virtù dal sistema è un compito immane, poiché la loro vita psichica non conosce che il linguaggio della “notte del mondo” in cui siamo caduti. La notte del capitalismo non è eterna, ma affinché l’alba possa mostrare la sua luce de-reificante, dobbiamo cominciare ad immettere nel sistema nuove parole e linguaggi che possano condurre fuori dalla distopia disumanizzante naturalizzata in cui siamo caduti. Nuove parole dunque per tracciare la verità nel tempo del capitalismo totale, esso è fenomeno storico e di classe, bisogna svelarlo nella sua materiale storicità.

“Filologia filosofica”

Potremmo aspettarci un sussulto di vita critica dalle facoltà di filosofia, invece, in esse impera la filosofia analitica e l’allevamento al nichilismo. Il relativismo è rappresentato come liberatorio e inclusivo, in realtà è un’abile operazione ideologica. Se le prospettive si eguagliano, se non vi è un alto o un basso, se tutte le prospettive hanno la loro ragion d’essere, la verità è solo una chimera del passato. L’immobilità politica è coltivata con il relativismo, in quanto prospettive interscambiabili rendono impossibile con la critica radicale la fondazione di un’alternativa al sistema vigente. L’ostilità verso Hegel e Marx ne è la dimostrazione. Tali autori sono ammessi al simposio delle facoltà di filosofia solo se scientemente decaffeinati. Tale deriva è intrinseca all’affermarsi del capitalismo, in Nietzsche vi troviamo la sua chiara codificazione e concettualizzazione. Nietzsche denuncia la sottomissione delle facoltà di filosofia alla religione tradizionale sostituita, oggi, con la religione neoliberista:

Sulla filosofia delle università.

Il danno prevale.

1. Il governo non assume gente che contraddice la religione.

Conseguenza: conformità tra la filosofia delle università e la religione del Paese: il che scredita la filosofia.

Esempio: lo hegelismo e la sua caduta.

Scopi del governo nell’assumere professori di filosofia: l’interesse dello Stato.

Conseguenza: la vera filosofia viene misconosciuta e passata sotto silenzio” [1].

La vera filosofia è radicale, non conosce feticci, ma è iconoclasta. Nelle facoltà di filosofia si erigono feticci, si dogmatizza il tempo presente rappresentandolo come eterno. Si uccide la passione creativa, l’eros platonico, si insegna e si studia ad occhi bassi. Il mercato è ovunque non possiamo che prenderne atto. Si è installato in ogni punto del sistema istituzionale. In questo modo ha la certezza di prodursi e autoriprodursi con docile certezza. I sudditi sono formati al guinzaglio gerarchico. L’azione è talmente radicale che nelle facoltà tutte si uccide la passione per le materie di studio con l’approccio analitico.

Ogni esperienza didattica è curvata all’analisi, alla divisione ossessiva in funzione della specializzazione. Si perde la visione del tutto che dona la bellezza e il senso di una disciplina. L’analisi senza la visione d’insieme riduce sia un testo e sia un corpo ad anatomia senza senso e bellezza. L’Università è un immenso obitorio.

L’approccio è di tipo filologico, la parte è astratta dal tutto, la parola o l’organo è solo un corpo morto. La visione d’insieme che viene a mancare addestra a non guardare la realtà sociale e storico in cui si è situati. Si insegna l’atomistica dell’analisi che diviene modo di vivere e di pensare. Il soggetto impara a dividersi dal tutto, la comunità è sostituita con l’individualismo astratto. Si pone in atto una vita senza bellezza e senza prassi, poiché bellezza e politica sono nello sguardo che coglie l’insieme. Siamo in un’epoca specialistica e filologica, in cui non vi è né politica né bellezza né passione:

“Aspettarsi dai filologi il più vivo godimento dell’antichità è come aspettarsi dallo scienziato (Naturforscher) il più vivo senso della natura e dall’anatomista il più raffinato senso della bellezza umana” [2].

L’elaborazione di una critica radicale e di un progetto alternativo non verrà dalle Università, malgrado vi siano eccezioni, ciò ci deve indurre a un atteggiamento saggiamente anarchico. Solo fuori delle istituzioni lontani dal guinzaglio del politicamente corretto sarà ed è possibile porre in atto la prassi.

Questa è un’epoca di catacombe, in cui la verità dev’essere elaborata e diffusa all’ombra e nel silenzio, in attesa che la critica e la fondazione veritativa possa trovare le condizioni storiche per un’ampia circolazione. Per poter essere veicolo di verità ed emancipazione dobbiamo liberarci del marchio di Caino dell’utile e della competizione, senza tale esodo interiore dalla distopia del presente ogni operazione di prassi non può che essere mera apparenza senza effettualità alcuna. Ciò è il compito che ci attende.

[1] Friederich Nietzsche, Appunti filosofici 1867-1869 –Omero e la filologia classica, Adelphi, Milano, pag. 162

[2] Ibidem, pag. 202


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