Tempo e memoria in Massimo Bontempelli
Tempo e memoria del filosofo e storico di Massimo Bontempelli è riflessione attenta e profonda sulla natura umana. L’essere umano si umanizza nella temporalità. La storia è lo spazio-tempo nel quale l’essere umano viene al mondo nel tempo.
Tempo e memoria del filosofo e storico di Massimo Bontempelli è riflessione attenta e profonda sulla natura umana. L’essere umano si umanizza nella temporalità. La storia è lo spazio-tempo nel quale l’essere umano viene al mondo nel tempo.
Massimo Bontempelli filosofo e storico pisano è stato un grande pensatore e un attivista della sinistra comunista, è stato disorganico al potere mediatico, pertanto la scure del silenzio è caduta sulla sua produzione filosofica e storica. Nel nostro tempo segnato dal capitale e dalle sue profonde cicatrici vi sono nicchie di resistenza editoriali che preparano la svolta politica.
Pubblicare opere di autori che sono stati grandi, ma restano sconosciuti per i contenuti non assimilabili dal sistema è gesto rivoluzionario, in quanto si immettono energie politiche e parole vere all’interno del corpo marcescente del capitalismo. Il tempo nel modo di produzione capitalistico è aggiogato alla produzione e allo sfruttamento, è spogliato della qualità e di ogni fine etico per essere solo ritmo produttivo che conduce al niente. La reificazione è il tempo della coscienza saccheggiato del suo senso ultimo: l’umanizzazione dell’io.
- Copertina di Tempo e memoria, di Massimo Bontempelli
Il saggio Tempo e memoria ha già nella bella copertina il senso concettuale del testo raffigurato mediante Il Giocoliere di Chagall opera del 1943. Non è un dato secondario, spesso i lettori guardano velocemente le copertine dei testi senza soffermarsi sul loro valore concettuale.
In copertina campeggia l’orologio accanto ad una figura antropomorfa con ali e testa di uccello e con il corpo umano, all’interno si intravedono altre figure. Accanto alla figura vi è un orologio; la verità si rivela nel tempo storico, l’eterno è nella storia.
Il tema del tempo e la sua “manchevole definizione concettuale nel tempo del capitale” ci apre la possibilità di comprendere il nichilismo contemporaneo. L’essere umano è temporalità incarnata nella storia. La coscienza è temporalità creante, pertanto la definizione del concetto di “tempo” ci dona la categoria teoretica con cui valutare la contemporaneità.
Massimo Bontempelli con la lucidità filosofica che lo contraddistingue sintetizza il nichilismo nell’epoca della derealizzazione. Dietro la patina del progresso con il suo incalzare produttivo e tecnologico non vi è che il vuoto metafisico che alimenta con la produzione l’onnipotenza distruttiva, la quale ha la sua ragion d’essere nel panico dinanzi al divenire. Ci si consegna al tempo, se si rinuncia a donare ad esso “il significato”, in tal modo si è divorati da “Crono”, mentre il tempo oggetto di significazione è ripensato e creato mediante il concetto:
“Nichilismo è infatti, in ultima analisi, la scelta del tempo contro il significato” [1].
L’essere umano vive nella temporalità storica, ma il tempo della storia derealizzato si trasforma “nel niente”. La speranza, in tal modo, tramonta e con essa la prassi e i fini senza i quali si è solo una triste e malinconica comparsa che si inabissa nel “nulla della successione temporale”. Ad un essere umano a cui si toglie la speranza, non resta che la nuda vita, malgrado l’abbondanza nella quale consuma i suoi giorni. Il silenzio cala sulla storia e la derealizzazione diviene la legge che attraversa ogni esistenza:
“La fine totale di ogni speranza, infatti, uccide, perché toglie quell’orientamento dinamico oltre il presente di cui la vita consiste” [2].
Genesi e definizione del tempo
Per uscire da tale condizione è necessario procedere secondo la dialettica filosofica. La filosofia non è un puro ciarlare da salotto, essa ha il compito di condurre fuori dall’acqua stagnante del “dicitur” mediante la definizione. La chiacchiera è la lingua de nichilismo, la filosofia pratica, invece, il concetto. La chiarezza teoretica definisce e chiarisce la genesi dei problemi in modo da consentire la prassi.
Il tempo è stato consegnato alla scienza con la Rivoluzione scientifica, pertanto è stato ridotto a semplice quantità senza qualità. Riducendo il tempo a semplice quantità, esso è destoricizzato e desocializzato. La passiva accettazione del tempo astratto in ogni ambito non può che condurre alla necrosi della prassi. Quest’ultima è attività dialettica finalizzata a rispondere alle forze dissolvitrice della crematistica, è il katechon che elabora percorsi per la prassi sociale mediante la concettualizzazione delle contraddizioni sociali. Si è dunque perso “il senso” del tempo, è decodificato soltanto attraverso la quantificazione numerica dei moti. Ogni attività è quantificata, ciò che “appare concreto” in realtà è astratto, poiché la quantificazione è muta, nulla dice del “senso” del movimento temporale, è vuota ripetizione dell’eterno eguale:
“Vi sono cioè moti, altri moti, e misure degli uni per mezzo degli altri. Non c’è invece il tempo. O, più esattamente, c’è una statica astrazione quantitativa della dinamica temporale, e questa astrazione è chiamata tempo” [3].
La soluzione al riduzionismo scientista, secondo Massimo Bontempelli, non è il percorso effettuato da Bergson, in quanto la “durata” è esperienza intima ed interiore che non si lascia “definire”. Il tempo interiore è deficitario del tempo storico e della prassi sociale.
Il filosofo intraprende un diverso percorso, in quanto la definizione di “tempo” razionalizza con l’oggetto della sua analisi anche il nichilismo contemporaneo svelandone l’irrazionalità dietro l’apparente razionalità produttiva e tecnologica. Il tempo senza significato divora non solo il futuro ma anche il passato, in quanto la dimensione del futuro non è che una possibilità iscritta nella memoria, la quale è rivissuta nel tempo futuro secondo modalità, azioni e significati assolutamente “nuovi”. Il tempo codificato nella Rivoluzione scientifica mostra ora il suo carattere reazionario in quanto è stato strumentalizzato dal capitalismo:
“Ogni soggetto, singolare o collettivo, ha una propria storia, che è insieme la manifestazione e la radice della sua identità. Essa non è affatto costituita dal tempo trascorso da quel soggetto, perché il tempo trascorso è semplicemente il suo niente più, ma è la trama dei significati vissuti che quel soggetto ha salvaguardato come parte integrante di se medesimo, percependone la distanza temporale, e fissandola come cronologia” [4].
Speranza e tempo
Per poter disegnare la speranza è necessario attingere alla memoria viva. Sappiamo che vi è stata la Rivoluzione russa nel 1917-1918, conoscere il significato concettuale di tale evento ci consente di sperare in altre rivoluzioni e ci motiva alla prassi. Il futuro non è la ripetizione del passato ma la sua vitalità creativa. Il passato con i suoi significati genera il nuovo. Per poter sperare necessitiamo di esperienze concettualizzate che ci indicano la possibilità che il passato possa continuare a vivere nel presente e nel future in modalità assolutamente nuove. Il concetto non è sclerotizzato nel passato, ma è la fonte da cui il tempo prende forma per diventare orizzonte di senso:
“Il futuro, dunque, è una sorta di linea di confine e di congiunzione tra eternità e tempo. Esso è contiguo all’eternità, perché ne trae l’essere che lo costituisce come dimensione dell’aver-da-essere e della speranza, ed è momento del tempo, perché il suo essere non diventa effettuale se non convertendosi in una destinazione a sparire, e spingendo alla sparizione le effettualità che sostituisce facendosi presente. Ma dove il futuro trae l’essere che lo apre che lo apre dinanzi ad ogni presente come sua speranza? Quel che si chiede con una tale domanda è che cosa costituisca la mediazione tra l’eternità ed il futuro, perché l’essere aperto dal futuro è nell’eternità” [5].
La storia non è il luogo-temporale della mummificazione di ciò che fu, essa è la fonte originaria da cui scaturisce il senso pensato del futuro. Ogni dittatura ha tentato di cancellare la storia o di riscriverla. Il tempo presente connotato dalla cultura della cancellazione dimostra la sua verità totalitaria mediante le riflessioni acute del pensatore, oggi più vere che mai:
“Il futuro, dunque, è insieme la determinazione della speranza e l’indeterminatezza della controfinalità inattesa, lo spazio della creazione e il momento della perdita. (…) Quanto più individui e popoli disperdono le loro memorie, tanto più il loro futuro è indeterminatezza, vuoto, puro e semplice invecchiamento. E, inversamente, quanto più rinunciano alla speranza di realizzare gli eterni valori dell’essere, impoverendo il loro futuro nell’indeterminata ripetizione del presente, tanto più sono incapaci di custodire il loro passato rammemorato, e perdono memoria storica” [6].
Il nostro tempo è irrazionale, in quanto nega la capacità umana di porre fini etici e politici e, dunque, nega la prassi con cui risolvere contraddizioni e lacerazioni. La negazione del tempo creante non può che comportare il pessimismo antropologico. L’essere umano è comparato agli altri animali che non conoscono la dimensione della storia cosciente. L’infelicità generale è nella negazione della natura umana. La razionalità è nella progettualità temporale, la quale ha il suo punto nodale nella speranza, la cui radice è nel passato pensato nel presente:
“Il tempo scorre nella nostra percezione attraverso il futuro che ci viene incontro e il passato che si allontana da noi. Il futuro è il momento temporale di apertura alla dimensione della speranza. Esso rappresenta infatti lo spazio vuoto del non essere ancora, incontrando il quale incontreremo una presenza diversa da quella a partire dalla quale gli siamo andati incontro. Perciò orienta i nostri desideri al di là delle situazioni penose di cui subiamo la presenza” [7].
Conclusioni
Le riflessioni di Massimo Bontempelli sono preziose anche per l’analisi etimologica delle parole afferenti al campo semantico del tempo, e specialmente per l’excursus filosofico all’interno della storia della filosofia su tale tematica. Massimo Bontempelli pone a confronto Agostino d’Ippona, Platone, Heidegger ed Hegel. Rilevanti sono le riflessioni su Heidegger al quale riconosce di aver compreso il senso del tempo: il futuro è possibile, se si contempla il tempo originario del passato.
La “morte” è l’esistenza inautentica che si arena nella chiacchiera e nell’alienazione; la “vita” è esistenza autentica, è porre fini, è vitalità concettuale con cui trascendere le innumerevoli esperienze di “morte” che si incontrano e che nella società a misura di capitale sembrano prevalere:
“Ci si identifica con la morte, portandola agli altri e facendo così morire anche le parti di se stessi, perché se ne ha terrore e se ne vuole fuggire la consapevolezza, o se ne vuole mantenere una consapevolezza disperata. La vera polarità tra l’esistenza autentica e quella inautentica distingue un’esistenza che sceglie la vita conoscendo la morte, da un’esistenza che, oscurando oppure enfatizzando la morte, la agisce nella vita” [8].
La lettura del testo ci pone dinanzi al dramma in cui siamo implicati e gettati e consente di chiarire uno dei rompicapi filosofici più ardui: il tempo, esso è problema tra i più complessi della storia della filosofia e del nostro essere uomini. Dove vi è filosofia vi è l’essere umano, pertanto, se si espunge la riflessione sul significato del tempo non resta che il rovinare nella derealizzazione. La lotta del tempo presente è volta a riconquistare le coscienze storiche troppo a lungo umiliate e offese dalla violenza del capitalismo. La chiarezza concettuale del problema consente di riconoscere i processi di alienazione e di sottrarsi ad essi.
[1] Massimo Bontempelli, Tempo e memoria, Petite Plaisance, Pistoia, 2007, pag. 107
[2] Ibidem, pag. 17
[3] Ibidem, pag. 35
[4] Ibidem, pp. 108-109
[5] Ibidem, pp. 116-117
[6] Ibidem, pag. 119
[7] Ibidem, pag. 17
[8] Ibidem, pag. 54
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