Il quadro della settimana: “Pietà” di Giovanni Bellini

1460 circa. Tempera su tavola, cm 86 x 102. Pinacoteca di Brera, Milano.
Giovanni Bellini si avvia alla professione di pittore muovendosi in un ambiente già ricco di maestri del pennello. Infatti egli è figlio di Jacopo Bellini, fratello di Gentile e cognato di Andrea Mantegna (che aveva sposato Nicosia Bellini). Ne la “Pietà” intanto occorre soffermarsi sull’elemento del parapetto: esso , simil marmoreo, è inserito in primo piano e costituisce al contempo sia l’elemento di separazione che di comunicazione tra la dimensione pittorica e quella reale, alla quale appartiene lo spettatore.
Se, infatti, da una parte esso può apparire come una barriera invalicabile che delimita lo spazio della scena sacra, dall’altra, sostenendo la mano ferita di Cristo, ancora dolorosamente contratta, esso consente al pittore di indicare al fedele la strada da percorrere per accedere a questa sfera divina, ovvero la meditazione sul sacrificio affrontato da Cristo per la redenzione dell’uomo.
Le figure sembrano poter versare lacrime vere. Inoltre: la vicinanza della mano di Cristo alla scritta tracciata dal pittore (alla base del parapetto) instaura un ulteriore confronto tra la mano piagata del Salvatore, che mostra il segno del sacrificio affrontato per amore degli uomini, e la mano dell’artista, il quale esprime la propria devozione con un’opera così intensa e carica di sentimento.
L’immagine ha un taglio orizzontale: ciò consente al pittore di inserire a sinistra uno scorcio di paesaggio che si sviluppa alle spalle del gruppo sacro (un corso d’acqua, una strada in terra battuta, una chiesetta, un borgo). Le sottile sfumature in cui si articola il cielo mostrano che il pittore, a quella data, aveva già sviluppato una notevole capacità di osservare e riprodurre gli effetti della luce naturale.
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