Dalla Columbia University nuovo allarme per l’uso di psicofarmaci
Il rapporto tra tentati suicidi di bambini ed adolescenti con il trattamento di antidepressivi è sempre più evidente. A rafforzare questo pensiero è il recente studio del collegio di Medicina della Columbia University e New York State Psychiatric Institute...
Il rapporto tra tentati suicidi di bambini ed adolescenti con il trattamento di antidepressivi è sempre più evidente. A rafforzare questo pensiero è il recente studio di Mark Olfson, del collegio di Medicina della Columbia University e New York State Psychiatric Institute. Olfson, insieme al suo gruppo di ricerca, ha predisposto uno studio “case control”, utilizzando i dati certificati dai centri di servizio medico. Lo scopo è stato quello di valutare il rischio di suicidi tra i giovani pazienti che hanno seguito una “procedura di scarico” (terapia di uscita) dopo l’ospedalizzazione per depressione. Tutti i casi di tentato, e spesso riuscito suicidio, sono stati catalogati sulla base di molteplici criteri di controllo: età, sesso, razza, residenza, data di uscita dall’ospedale, sostanze usate, eventuali precedenti tentativi di suicidio e recenti trattamenti con farmaci psicotropi o antidepressivi. I risultati di Olfson hanno evidenziato che, nel periodo di tempo esaminato, 263 bambini e adolescenti hanno tentato il suicidio riuscito, peraltro, in otto casi.
Lo studio “ha confermato - si legge in un comunicato di ‘Giù le mani dai bambini’ (per il comunicato competo visitare il sito: www.giulemanidaibambini.org), prima campagna di farmacovigilanza in Italia - come bambini ed adolescenti che avevano usato antidepressivi sono significativamente più soggetti a tentativi di suicidio di quelli che non ne hanno usati”. Il rapporto sfavorevole è schiacciante se si esaminano solo i casi di suicidio riusciti anche se, secondo Olfson, occorrerebbe un ulteriore approfondimento statistico. Risultati che, avverte, suggeriscono “l’utilità di maggiori precauzioni e monitoraggi durante l’uso di tali sostanze su minori seriamente depressi”. I risultati del ricercatore americano non fanno che giustificare i “warning” lanciati ripetutamente in Italia da “Giù le mani dai bambini”.
“I produttori - dichiara Luca Poma, portavoce nazionale di ‘Giù le mani dai bambini’- condizionano quotidianamente la ricerca, pubblicando solo gli studi favorevoli al profilo commerciale degli psicofarmaci, studi finanziati da loro: ogni qual volta la ricerca universitaria, davvero indipendente, si attiva vengono evidenziati chissà perché risultati esattamente opposti”. Per Poma (nella foto) “l’utilizzo disinvolto di questi farmaci psicoattivi su bambini ed adolescenti è assolutamente da censurare: chi non lo fa e tace davanti a queste evidenze scientifiche - ammonisce Poma - si assumerà la responsabilità di questi suicidi e di ogni altro eventuale danno cagionato ai bambini italiani”.
Diversa la posizione della ”Associazione italiana famiglie ADHD’ e dell’Istituto di Ricerca Farmacologia ‘Mario Negri’ di Milano che, in una lettera inviata al ministro Livia Turco (reperibile sul sito www.aifa.it) , sollecitano “l’attivazione del Registro” nazionale dell’ADHD da parte del Consiglio di Amministrazione dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa). “Il protocollo e le procedure operative del registro - si legge ancora nella lettera - vincolano la prescrizione dei farmaci per il trattamento dell’ADHD in età pediatrica alla predisposizione di un piano terapeutico semestrale da parte di un Centro di riferimento”.
Certo, si legge in una nota a firma di Maurizio Bonati (vedi il comunicato completo su: www.marionegri.it) “il primo intervento terapeutico è rappresentato dalla terapia psicologica che in molti casi (i medio-lievi) è efficace nel ridurre e controllare i sintomi. Nei casi più gravi è invece necessario ricorrere anche al farmaco (che va quindi aggiunto alla terapia psicologica, anche familiare, e che non rappresenta, se non in rari casi l’intervento di prima scelta)”.
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