Aborto: 2/Il “concepito” secondo la scienza e la bioetica
La scienza, dato il bagaglio di conoscenze accumulato, può agevolmente descrivere tutti i passaggi dal concepimento alla nascita dell’individuo, ma entra in enorme difficoltà se deve dare delle definizioni che necessariamente implicano parametri filosofici e ancora più a monte scelte valoriali a sfondo etico.
A partire da quale momento il concepito può ricevere il riconoscimento della qualità di essere umano, per avere ormai acquisito i caratteri dell’individualità, del “tode ti” aristotelico, e conseguentemente essere tutelato come persona?
La scienza, dato il bagaglio di conoscenze accumulato, può agevolmente descrivere tutti i passaggi dal concepimento alla nascita dell’individuo, ma entra in enorme difficoltà se deve dare delle definizioni che necessariamente implicano parametri filosofici e ancora più a monte scelte valoriali a sfondo etico.
Il concepito è il frutto del concepimento, l’unione delle due cellule sessuate - i gameti (lo spermatozoo quella maschile, l’ovocita quella femminile) - nello zigote. La singamia, il processo di fusione dei due nuclei dei gameti (pronuclei) in un nucleo unico (lo zigote), dura ventiquattro ore. Dal secondo fino al quinto o sesto giorno avviene la blastocistogenesi: lo zigote si segmenta fino a sessantaquattro cellule, formando la blastocisti; ogni cellula, il blastomero, è totipotente, perché ciascuna, se separata dalle altre, può autonomamente proseguire il processo di divisione e moltiplicazione finché lo sviluppo dell’organismo cui dà vita non si completa. Dal sesto giorno, però, le cellule diventano unipotenti, assumendo connotati che ne consentono solo uno sviluppo finalizzato alla creazione di determinati apparati od organi. Lo sviluppo delle blastocisti conduce il quattordicesimo giorno alla comparsa della stria primitiva, il primo abbozzo del sistema nervoso. Superata la fase della formazione degli organi, iniziata dopo la quarta settimana, al compimento dell’ottava settimana dal concepimento si può parlare di feto, una volta definiti ormai i caratteri tipici della specie umana.
Nel mondo scientifico è, tuttavia, controverso stabilire quando possa iniziarsi a parlare di embrione, ossia di un nucleo di vita ormai irreversibilmente individuale. Alcuni studiosi definiscono embrione in senso proprio il prodotto del concepimento dopo la trasformazione dei blastomeri in unipotenti, altri fissano il dies a quo dalla formazione della stria primitiva, altri ancora dallo sviluppo del sistema nervoso, mentre taluno retrocede la nozione addirittura alla singamia.
Se si pone l’accento sulla unicità del patrimonio genetico, esso è già acquisito all’atto della fecondazione e, pertanto, fin da quando ha inizio il processo della vita si ha un individuo. Se si ha riguardo all’unità organica dell’essere, quest’ultima sorge al quattordicesimo giorno, allorché l’embrione non può più scindersi né fondersi con altri. Se, invece, si privilegia la concezione dell’individuo come essere cosciente, è la prima configurazione del sistema nervoso che segnerebbe il passaggio alla vita umana vera e propria.
La ricaduta bioetica delle diverse concezioni è tutt’altro che indifferente.
Chi accede alla tesi che prima del quattordicesimo giorno (o del sesto giorno, allorquando le cellule diventano unipotenti) non vi sia ancora una persona, afferma che su quel materiale biologico può esercitarsi pienamente la libertà di ricerca, così come del tutto eticamente lecito appare l’uso della cosiddetta “pillola abortiva” in quel lasso di tempo.
Di contrario avviso è il pensiero cattolico, secondo cui la vita umana non può che essere tutelata fin dal primo attimo del concepimento: lo zigote, infatti, contiene già in sé una piattaforma genetica specifica e unica, il cui sviluppo senza soluzione di continuità attraverso le diverse fasi della gravidanza darà vita all’individuo; l’unicità genetica esiste già quando si mette in moto il processo della vita, per cui fin da subito l’embrione va considerato persona e non può essere manipolato né oggetto di aborto.
All’orientamento cattolico si contrappone l’opinione di chi è convinto che all’embrione non possa essere applicato lo statuto della persona per molteplici ragioni. Parlare di coscienza tipica dell’uomo per il solo fatto dello sviluppo del sistema nervoso e dell’organo cerebrale non tiene conto che le funzioni sensitive e nervose sono comuni al regno animale e non in assoluto distintive della specie umana rispetto alle altre. Che già all’embrione - e addirittura al feto per una parte della gravidanza - possa attribuirsi un’attività cerebrale paragonabile a quella dell’essere umano cosciente è senz’altro contestabile, come pure è discutibile ritenerlo entità individuale autonoma se non ha possibilità di vita al di fuori dell’alvo materno, dal momento che solo il feto alla ventiquattresima settimana è dotato di autonomia vitale. Del pari, è suscettibile di smentita il parere della Chiesa per cui l’embrione va rispettato perché costituisce, in un’ottica di continuità, l’inscindibile base di evoluzione del futuro individuo. Non tutti gli zigoti completano il ciclo ontogenetico, molti nemmeno attecchiscono nell’utero o (in una percentuale che può anche superare il 20%) abortiscono spontaneamente ancor prima che si mostrino i segni evidenti della gravidanza perché inidonei al potenziamento vitale: in altre parole, è già la natura ad operare uno sterminio di embrioni.
Come si vede, la questione è talmente delicata e problematica che neppure un organismo come il Comitato Nazionale per la Bioetica, istituzionalmente deputato a dare risposte chiarificatrici in materia, è riuscito a risolverla. Nel documento approvato il 22 giugno 1996, si perviene alla soluzione di “riconoscere il dovere morale di trattare l’embrione umano, sin dalla fecondazione, secondo i criteri di rispetto e tutela che si devono adottare nei confronti degli individui umani a cui si attribuisce comunemente la caratteristica di persone, e ciò a prescindere dal fatto che all’embrione venga attribuita sin dall’inizio la caratteristica di persona nel suo senso tecnicamente filosofico, oppure che tale caratteristica sia ritenuta attribuibile soltanto con un elevato grado di plausibilità, oppure che si preferisca non utilizzare il concetto tecnico di persona e riferirsi soltanto a quell’appartenenza alla specie umana che non può essere contestata all’embrione sin dai primi istanti e non subisce alterazioni durante il successivo sviluppo”.
Come dire: se il dubbio rimane perché nessuno ha criteri oggettivamente inconfutabili, è uno solo il principio guida cui ci si può affidare: “in dubio pro homine”.
(2-continua)
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nel dubbio mai farsi venire in mente che è la donna l’unica a sapere se sarà in grado di fare in modo che quel grumo di cellule e di sè si possa sviluppare al pieno delle sue possibilità o se sarà costretta dalle circostanze a farne un infelice già da prima della nascita, visto che conosce le possibilità che qualcuno le dia una mano in questo senso?
Il dono più grande ke ci è stato dato è quello del mistero della vita. Quando questo si compie è sempre gioia e festa. Il problema dell’uomo è sempre quello: il peccato originale, cioè egli vuole essere come Dio. Solo Dio può dare o togliere la vita.