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Cosa avrebbe detto Pasolini? Il comune senso del pudore

Anche oggi e ancora una volta, Pasolini si scontrerebbe contro i carnefici e non contro le vittime (da intendersi sia in chi subisce violenza, sia in chi la genera) di questa libertà sessuale regalata dal potere.

di Evaristo Lodi - venerdì 1 dicembre 2023 - 427 letture

Su cosa si scagliava quel poeta friulano: sui borghesi e sui fascisti; sulla cultura italiana imperante che, attraverso la scuola dell’obbligo, omologava le masse verso un benessere diffuso; sui giovani rampolli degli “italioti” ricchi e benestanti che si scontravano con la polizia; sul comune senso del pudore e su molto altro.

Rimasi basito quando uno studente minorenne mi rivelò di aver visto il capolavoro postumo di Pasolini “Salò o le 120 giornate di Sodoma”: non è certo un film adatto alle nuove generazioni di adolescenti.

Dopo la prima uscita nelle sale cinematografiche, la censura di Stato, democraticamente eletta, ordinò di bruciare le copie in circolazione per vietare ed evitare uno scandalo così ostentano. L’odio viscerale che ne scaturì fu solo velato da un benpensante atteggiamento tollerante di parte della sinistra italiana. Ma non bisogna dimenticare che il gruppo dirigente del Partito Comunista (anni Cinquanta) costrinse il nostro a rinunciare all’iscrizione al partito a causa della sua propensione sessuale verso i ragazzi.

A rivedere oggi quel film faccio fatica a non assopirmi anche se le violenze mostrate, continuano a schiaffeggiarci senza sosta e ci dimostrano che una barbarie come quella è sempre dietro l’angolo e anzi direi che domina il nostro Villaggio Globale (definizione di Marshall McLuhan degli anni Sessanta del secolo scorso).

Lo andai a vedere con alcuni amici la sera dell’11 marzo 1977. Come faccio a ricordarmi la data? Nel pomeriggio era stato ucciso Francesco Lorusso e quella sera il centro di Bologna era in mano alle violenze delle autonomie rivoluzionarie che devastarono alcune strade con barricate, incendi e devastazioni di locali. Il cinema era proprio nei pressi della rivolta e ricordo che ci fecero uscire da una porta laterale mentre in lontananza le sirene della polizia ruggivano e le forze dell’ordine e alcuni reparti dell’esercito stavano per riconquistare e imporre quella strana calma borghese che, come diceva Pasolini, era una calma fascista, mascherata dal consumismo conformista che stava dilagando.

Il corpo nudo ostentato dal grande regista provocava scandalo e il comune senso del pudore, spalleggiato dalla censura, si agitava follemente come un’anguilla nella melma dei propri escrementi. Ma era la violenza gratuita ed efferata che scaturiva da quei fotogrammi a provocare l’indignazione dei benpensanti ricchi borghesi ma anche dei proletari, integrati negli ingranaggi del consumismo.

Eppure nell’ultima scena un giovanissimo repubblichino in divisa balla con una ragazza al ritmo lento e struggente di una canzone, immagino in voga in quegli anni di distruzione assoluta. Incuranti della feroce barbarie che si consuma nel cortile della villa, i due ragazzi fanno conoscenza sperando che il loro domani possa trascorrere lieto, negli abbracci amorosi di due giovani adolescenti che si stavano affacciando alla vita.

Ripensare a quel periodo mi fa rabbrividire anche se, in realtà, lo scoprire un mondo nuovo, un nuovo benessere e nuove opportunità, per un adolescente figlio unico come me, non era poi tanto male. Il tempo sembra essersi fermato e la storia sembra ripetersi quando vediamo bambini che riescono a giocare fra la macerie di una Guerra Grande che non sembra avere fine.

Ma il comune senso del pudore dov’è andato a nascondersi?

Oggi provare a fare scandalo attraverso il sesso sarebbe come voler appiccare un fuoco con l’acqua. Oggi il coming out è accettato e solo alcuni irriducibili omofobi e bacchettoni vogliono farci credere che il sesso ostentato sia esecrabile. Sono sempre meno numerosi anche nella nostra cattolicissima penisola. Poi ci si confessa in gruppo e sui social su tutto: dal modo di cibarsi, al modo di amare; dal modo di fare sesso, al modo di fare figli, dal modo di superare le malattie, al modo di drogarsi con sostanze più o meno leggere. E si potrebbe continuare all’infinito.

Al contrario, Pasolini era una voce fuori dal coro, da qualunque coro, e ho il terrore che, se vivesse oggi, non susciterebbe nessuna reazione, nemmeno nei giovani adolescenti. La tolleranza sessuale dilaga in ogni rivolo della nostra vita e, quando mi è capitato di fare riferimento a scuola a Pier Paolo Pasolini, come intellettuale e omosessuale dichiarato, la reazione più diffusa è stata quella di una fragorosa risata, anche se, sempre più spesso, i casi sono evidenti agli occhi di tutti e le effusioni omosessuali si notano anche nelle aule scolastiche. Sembra essere un gioco che spinge gli adolescenti a non tirarsi indietro. Non era però così negli anni Settanta e Pasolini pagò con la vita quella sua ostentazione e quella sua arte che, per tanti, era degenerata.

Penso di essere diventato sordo: non sento più voci fuori dal coro e, quelle poche esternazioni, vengono immediatamente metabolizzate dal sistema che ormai digerisce anche i sassi.

Un esempio: il bel film di Paola Cortellesi, elegante, raffinato, pieno di citazioni cinematografiche, ricco di uno stile registico originale e per niente scontato, rischia di sparire nel marasma mediatico e politico che si sta scatenando. Forse se non si concludesse con quelle didascalie che ricordano il periodo confuso della storia italiana che usciva massacrata dalla seconda guerra mondiale, sarebbe solo un evento cinematografico e culturale di grandissimo livello. D’altronde il voto alle donne ha permesso tante conquiste femministe ma ha fatto sì che oggi, per la prima volta nella storia della Repubblica, ci sia un Presidente del Consiglio donna anche se provoca un violento e sterile stracciamento di vesti da parte della sinistra italiana (la vogliamo ancora chiamare così?). Se il comune senso del pudore di oggi si fosse evoluto e avesse maturato una coscienza profonda dell’errore giudicante in qualsiasi situazione (Chi sono io per giudicare?, sono le parole di Papa Francesco), non gioiremmo tanto per la “conquista” del confuso ordinamento giuridico che ha stabilito che il femminicidio sia un delitto efferato mentre l’omicidio ha una sua giustificazione quasi atavica. Forse la conquista vera, non solo per le donne ma per tutta la società italiana, fu l’abolizione del delitto d’onore avvenuta solamente nel 1981.

Pasolini era già morto ma avrebbe sicuramente condannato la società italiana per i delitti culturali che si commettevano all’ombra del comune senso del pudore.

E oggi? Che una ragazza venga massacrata dal fidanzato purtroppo non è più una novità. Come anche per tanti troppi orribili delitti che si consumano in giro per il mondo, l’assuefazione e l’indifferenza prendono il posto, più o meno velocemente, rispetto al sacrosanto sentimento d’indignazione che dovrebbe guidare le nostre coscienze. Le motivazioni che sembrano scaturire da quest’ultimo evento di cronaca nera, si concentrano sulla premeditazione. Sarebbe preferibile concentrarsi sulle motivazioni sociali: gli adolescenti (l’adolescenza si prolunga ormai fino a quarant’anni, in alcuni casi) vivono una vita che non è la loro e le reazioni saranno sempre più indirizzate verso un rifiuto esasperato di quei pochi valori che la società e la famiglia (non la scuola) hanno loro trasmesso. Peccato che quei valori siano ridotti al lumicino e il comune senso del pudore sia svanito come un bell’incubo che venava i sogni di qualche generazione fa.

Sono confuso, non so immaginare Pier Paolo Pasolini che si confronta con il comune senso del pudore che governa i nostri tempi (molto probabilmente è sparito). Allora sono convinto che si scaglierebbe contro chi ha permesso che questo sacrale pudore sia stato relegato a una ignobile farsa, recitata da pochi nostalgici che credevano in determinati valori. Sicuramente si sarebbe scagliato sulla cultura subdola e dominante delle nostre società falsamente democratiche che permette sì a chiunque di esprimersi ma che poi assorbe il dissenso in una sorta di sabbie mobili da cui non possiamo avere scampo.

Rileggendo Pasolini si scoprono prese di posizione attualissime e che dovrebbero essere riscoperte:

«Sono però traumatizzato dalla legalizzazione dell’aborto, perché la considero, come molti, una legalizzazione dell’omicidio. […] Nel contesto democratico, si lotta certo, per la maggioranza, ossia per l’intero consorzio civile, ma si trova che la maggioranza, nella sua santità, ha sempre torto: perché il suo conformismo è sempre, per propria natura, brutalmente repressivo. […] L’aborto legalizzato è infatti – su questo non c’è dubbio – una enorme comodità per la maggioranza. Soprattutto perché renderebbe ancora più facile il coito – l’accoppiamento eterosessuale – a cui non ci sarebbero più praticamente ostacoli. Ma questa libertà del coito della “coppia” così com’è concepita dalla maggioranza – questa meravigliosa permissività nei suoi riguardi – da chi è stata tacitamente voluta, tacitamente promulgata e tacitamente fatta entrare, in modo ormai irreversibile, nelle abitudini? Dal potere dei consumi, dal nuovo fascismo. […] Oggi la libertà sessuale della maggioranza è in realtà una convenzione, un obbligo, un dovere sociale, un’ansia sociale, una caratteristica irrinunciabile della qualità di vita del consumatore. […] risultato di una libertà sessuale “regalata” dal potere è una vera e propria generale nevrosi» [1]

Anche oggi e ancora una volta, Pasolini si scontrerebbe contro i carnefici e non contro le vittime (da intendersi sia in chi subisce violenza, sia in chi la genera) di questa libertà sessuale regalata dal potere.

[1] P.P. Pasolini, contenuto in Scritti Corsari, “Il coito, l’aborto, la falsa tolleranza del potere, il conformismo dei progressisti", pubblicato sul Corriere della Sera il 19 gennaio del 1975 con il titolo “Sono contro l’aborto”


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