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Lezioni americane ovvero i continenti dell’altrove

Se parafrasiamo un illustre inglese del Cinquecento, e mettiamo il cinema al posto dell’uomo, scopriamo che il cinema è la materia di cui sono fatti i sogni...

di Evaristo Lodi - lunedì 17 luglio 2023 - 1776 letture

Lo ammetto, sono stato profondamente filoamericano. Nel mio piccolo, ho cercato di cogliere gli aspetti che più mi entusiasmavano della cultura statunitense e di come questi aspetti avessero condizionato la decrepita cultura europea, oggi purtroppo ormai priva di qualsiasi originalità. Il cinema mi ha suggestionato e mi ha indirizzato verso l’American Dream.

«… ogni descrizione di Calvino è la descrizione di una anomalia del rapporto tra mondo delle Idee e Realtà (che è poi il destino della civiltà occidentale). L’invenzione poetica consiste nell’individuazione di tale momento anomalo» [1].

Questa anomalia, questa discrepanza era ovvia all’epoca della guerra fredda e il cinema di fantascienza/horror ne era l’emblema significativo: il nemico era uno, subdolo e, all’apparenza, quasi invincibile. Poi le apparenze si sono disgregate, dissolte, nel fragoroso clamore suscitato dal crollo del muro di Berlino. Finalmente era finita. Non c’erano più nemici da combattere. Il Comunismo era stato sconfitto. Rimaneva solo la vecchia civiltà occidentale a governare il mondo.

«… libri [si potrebbe dire anche film, opere cinematografiche] che diventano come continenti immaginari in cui altre opere letterarie troveranno il loro spazio; continenti dell’ “altrove”, oggi che l’ “altrove” si può dire che non esista più, e tutto il mondo tende a uniformarsi.» Presentazione di Italo Calvino a Le città invisibili.

Ma la verità era un’altra e molti scrittori, cineasti e intellettuali americani avevano avvertito, ancora in tempi non sospetti: la verità, per Il Giovane Holden si rintraccia nell’incipit e si tratta di altre stronzate alla David Copperfield, di cui lui non vuole parlare (J. D. Salinger lo pubblicò tra il 1945 e il 1951). Poi tanti altri, più o meno moderni, che ci descrivono i loro viaggi nelle verità americane: John Steinbeck (Furore, 1939; Viaggio con Charley, 1962); Jack Kerouac (Sulla strada, 1951), per limitarmi a quelli che mi balzano alla mente.

Ma non sono stato l’unico a essere stato sedotto dal mito americano. Fin dalla Dichiarazione d’Indipendenza, che rese definitivamente attraenti le parole Democrazia e Felicità, molti europei videro negli U.S.A. un faro per le generazioni future da seguire e da raggiungere a ogni costo. Il primo fu Alexis De Tocqueville La democrazia in America, 1835 seguito da molti altri illustri intellettuali, artisti giornalisti e scrittori come Franz Kafka America (1911-14 / postumo 1924); Fortunato Depero, attivo nel Secondo Futurismo che compì un viaggio nel Nuovo Mondo tra il 1928 e il 1930 e le cui opere non lasciano dubbi sul fascino degli Stati Uniti e sulle evidenti discrepanze che il fascismo stava tracciando in Italia; per arrivare a Italo Calvino Un ottimista in America (1959-60) e Oriana Fallaci Viaggio in America (il primo viaggio risale al 1955, che poi si trasferì a New York anche se il libro è uscito postumo nel 2014).

Con la fine della guerra fredda il nemico sparì in un Maelstrom che ci ha inghiottito e che ha distrutto il fascino di quel mito che aveva assorbito buona parte dei miei studi universitari. Il nemico si era frantumato ma all’orizzonte cominciavano ad apparire innumerevoli nemici che non avevano più un’ideologia, non avevano più le caratteristiche di prima ma le cui conseguenze si sarebbero rivelate catastrofiche solo dopo poco più di una decina d’anni. Il vincitore si sarebbe rivelato tanto fragile quanto il nemico che aveva combattuto e vinto. Il crollo del vincitore si sarebbe rivelato molto più tragico di quello del vinto che, peraltro, sembrava un crollo inarrestabile e inevitabile. Quello che sembrava essere la realizzazione del Manifest Destiny, oggi sembra aver subito un mutamento globale che lo riduce a un Manifest Decline.

L’ultimo esempio in cui un autorevole intellettuale italiano, Italo Calvino, insegnò agli americani cosa significa scrivere e interpretare la realtà che si stava affacciando, sono proprio le sue Lezioni americane. Poi l’oblio rasserenante del marketing ci ha offuscato ogni sorta di atteggiamento critico costruttivo per una società migliore.

Ma il cinema come può farci capire qualcosa di più? Come ho accennato prima, durante la guerra fredda il cinema americano, l’unico oltre a quello italiano da prendere in considerazione (sic!), vedeva nel comunismo l’unico nemico da combattere e gli eroi erano per lo più giovani adulti, quando non avevano superpoteri. La conquista della luna e la conseguente gara nello spazio, lanciata da J.F. Kennedy, entusiasmarono i fan della fantascienza, come il sottoscritto.

Eppure non si parla più del fatto che il montaggio cinematografico è stato partorito dai grandi maestri russi. In pochi sanno che Bollywood, l’industria cinematografica indiana che ha ormai nettamente superato il fatturato di quella americana, non è sorta dopo la seconda guerra mondiale, sulla scia di Hollywood, ma negli anni Venti del Novecento realizzando scintillanti film muti.

Ormai da più di dieci anni, qualcosa è cambiato anche nel cinema d’oltreatlantico. Il nemico si è opacizzato, l’unica certezza è l’efferatezza delle sue imprese e, proprio per questo, è un nemico subdolo, non ben individuabile ma che dobbiamo combattere fino allo stremo delle forze se vogliamo che la libertà trionfi. Ancora una volta la fantasia è la chiave per esprimere questi timori, queste paure e quindi la fantascienza e l’horror la fanno da padrone, come sempre. Non c’è più spazio per alieni buoni come ET e il nemico deve essere neutralizzato, sterminato, ridotto all’impotenza. «il momento in cui la creazione mentale sta debordando nella realtà, come a esempio nella trasformazione di una Chicago immaginaria a una Chicago quasi vera nel Philip K. Dick di The Man in the High Castle, 1962; il finale, contravvenendo alle regole, sarà una morte abbondantemente annunciata. Come in Moby Dick, che non è (ma forse è anche) un romanzo di fantascienza, a furia di parlare del mostro e di voler vedere il mostro si finisce per farlo entrare in scena, per esserne divorati. […] la science fiction da tempo preferisce illuderci che i mostri che possiamo pensare/vedere/creare non siano veri, ma vengano da altri libri, o altri film; da sogni o da incubi già sognati da altri prima di noi» [2].

Ma fin qui non c’è molto di nuovo. A mio avviso sono gli eroi che sono cambiati, sono sempre più giovani e, in un mondo in cui l’adolescenza conquista sempre più fasce d’età espandendosi a dismisura, sono proprio gli adolescenti che diventano protagonisti. Ci stiamo affidando ai giovanissimi perché trovino soluzioni vincenti contro i nemici di oggi. Gli esempi sono innumerevoli e mi limiterò solo ad alcuni che mi hanno maggiormente colpito: Valerian e la città dei mille pianeti, 2017; Avatar 2 La via dell’acqua, 2022 e soprattutto la serie TV Stranger Things che, oltre ad essere un concentrato di citazioni cinematografiche e musicali del passato, vede come i ragazzi protagonisti siano gli unici a poter salvare il mondo dalla catastrofe orribile e tentacolare che sta cercando di conquistarlo.

Anche l’immarcescibile Stephen King ha mutato prospettiva da Carrie (1974) a L’Istituto (2019) che nasconde, nemmeno tanto velatamente, una critica feroce all’America trumpiana, che ancora ci affligge. Dall’adolescente concentrato di ogni male (Carrie), ai bambini /adolescenti, unici eroi rimasti per sconfiggere i mali della società.

Recentemente mi è capitato di vedere alcuni film russi. Sono rimasto colpito dal fatto che la Russia arriva fino a noi in tempo di sanzioni. Forse sono stati acquistati dai network prima dello scatenarsi della pandemia e della guerra. Nella mia mente sia era formata l’idea che i film russi fossero più noiosi di quelli americani. Il capolavoro di Stanley Kubrick 2001 Odissea nello spazio (1968) era stato molto più avvincente dell’altro capolavoro Solaris (1972) diretto dall’impegnativo, anche se non meno celebrato, Andrej Tarkovskij. E invece la sorpresa è stata grande nel vedere che il cinema russo contemporaneo non ha niente da invidiare ai divertenti polpettoni, realizzati dai cugini americani. Un film storico, La conquista della Siberia di Igor Zaytsev del 2019 [3], che fa il verso alla saga dei Pirati dei Caraibi. In realtà un film ben confezionato e per nulla noioso.

E poi la fantascienza con il tema delle invasioni aliene. Nella sua epoca di sensazioni infantili, Il Pianeta Proibito [4] è diventato un archetipo della realtà sognata e dell’invasione di mostri. Nel clima della guerra fredda, gli alieni erano esseri terrificanti e solo gli adulti o al massimo giovani adulti erano in grado di sconfiggerli, c’era un sistema politico e sociale che faceva fronte agli incubi provenienti da altri mondi, dal comunismo.

Oggi invece la fantascienza russa sembra adottare un altro schema. The Blackout – Invasion Earth (2019) e Invasion (2020) sono due esempi adatti anche se devo confessare che non ho visti molti movie d’oltrecortina. Il secondo è una sorta di fantascienza catastrofica che si risolve solo all’ultimo secondo, dove, fino alla fine con un montaggio degno dei grandi maestri di lingua cirillica, non si capisce chi siano i paladini dell’umanità o gli umani schierati con gli alieni. Più che il sistema politico/militare è la famiglia che trionfa. The Blackout invece sembra più cervellotico e intrigante: sembra che non ci siano solo due fazioni che dividono l’umanità ma che la divisione regni anche fra gli alieni. Devo confessare che quando ho visto la faccia di questo terrificante alieno, una risatona involontaria mi è scappata: quello che dice dopo è comunque davvero inquietante. In questo film tutto è molto più criptico e la propaganda di qualsiasi fazione sembra che spinga l’umanità ad autodistruggersi. La propaganda controlla le menti e l’umanità possiede una responsabilità diretta nel controllo delle menti e dello scontro fatale che si sta compiendo. Anche se l’uscita del film è del 2019 e quindi prima della guerra in Ucraina, la Federazione Russa era già preoccupata della propaganda, a prescindere dai processi che l’Occidente vuole intentare nei confronti del dittatore russo. Forse è solo una mia interpretazione ma se si prova a mettere insieme i vari tasselli di questa saga polpettonesca (è stata realizzata anche una serie tv, dal titolo omonimo), l’effetto è davvero interessante.

Se parafrasiamo un illustre inglese del Cinquecento, e mettiamo il cinema al posto dell’uomo, scopriamo che il cinema è la materia di cui sono fatti i sogni. Anche in questo caso Pasolini, pur parlando di Calvino, ci aiuta a capire: «… i pezzi separati, smontati, di tale analisi, vengono proiettati nel vuoto e nel silenzio cosmico in cui la fantasia ricostruisce, appunto, i sogni».

Indubbiamente, la fantasia, forse sarebbe meglio dire il metaverso, è il continente dell’altrove.

[1] Postfazione di Pier Paolo Pasolini a Le città invisibili, Mondadori 2016

[2] Guido Fink, La doppia porta dei sogni, pagg. 352-354

[3] Trailer su Youtube.

[4] Forbidden Planet, 1956, diretto da Fred M. Wilcox


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