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Il corridoio della paura di Samuel Fuller

Avvincente e manicomiale film di Samuel Fuller del 1963 in cui un giornalista si fa ricoverare in una clinica psichiatrica per scovarvi un assassino. Un’esperienza senza uscita, girato tutto in interni e con un suggestivo bianconero eccetto alcune scene di delirio onirico a colori.

di Paolo Marelli - martedì 4 settembre 2007 - 6663 letture

Il protagonista, John Bennet (Peter Breck), è un giornalista che per risolvere il caso di un omicidio accaduto in una clinica psichiatrica e così vincere il premio Pulitzer decidedi fingersi maniaco sessuale, con fantasie incestuose dirette verso la sorella in realtà sua compagna. Per riuscire nel suo intento e farsi credere davvero pazzo si sottopone a una serie di test psichiatrici che conferma ne confermano un’esasperazione del conflitto sessuale interiore con tendenza al feticismo. Ketty, moglie e finta sorella, esprime la sua preoccupazione: di fronte alle innumerevoli prove, elettroshock incluso, John rischia di crollare e perdere la ragione.

Nella clinica John vuole scoprire dai tre testimoni oculari informazioni sull’omicidio. Il primo è Stuart, reduce della guerra di Corea e accusato di indegnità per aver fraternizzato coi comunisti e ora convinto di essere un comandante sudista nella guerra di secessione. Il secondo è Trempt, un ragazzo di colore che dopo l’umiliazione di aver frequentato l’università sudista per contrasto crede di essere diventato il fondatore del Ku Klux Klan. Il terzo è il professor Boden, premio nobel per la fisica nucleare, che lavorando alla fissione nucleare è impazzito tornando ad avere il cervello di un bambino di 6 anni. Bennet sa cosa dire e come dialogare con ciascuno dei tre testimoni che nei loro pochi momenti lucidi gli rivelano le informazioni che cercava.

L’assassino è scoperto ma John perde la testa. Prova a svelare al dottor Cristo il colpevole ma non ricorda più il nome, fatica a parlare ed ha delle visioni. In un momento di lucidità infine ricorda e riesce a strappare la confessione con la forza ad un infermiere della clinica. Il caso viene risolto e John Bennet vince il premio Pulitzer ma tristemente il film si chiude con l’immagine del giornalista alienato, ripreso in serie insieme agli altri pazienti della clinica nel corridoio della paura.

Fantasmi lungo una strada senza ritorno Ne Il corridoio della paura Fuller denuncia i tre problemi che minacciano l’America degli anni ’60: il razzismo, l’intolleranza e la scienza non controllata. Non a caso i tre testimoni oculari sono proprio personaggi la cui follia è una reazione a questi tre elementi.

Il film finisce per diventare un ritratto della società americana incapace di risolvere i propri demoni interiori. Una società che preferisce che questi demoni si materializzino all’esterno sotto forma di nemici da combattere. Una società in preda all’odio e al panico dove è sufficiente un nonnulla per scatenare la caccia all’untore: nel film il ragazzo nero incita i pazienti al linciaggio di un altro paziente nero. Tutto viene raccontato con uno stile aspro e privo di retorica.

Il film esprime l’idea del regista dell’inutilità della corsa al successo in un mondo dove la nevrosi fa più vittime di una guerra. Fuller, ex giornalista, sa bene che la verità non è semplice da raggiungere, ma anche che per ottenerla spesso si paga un prezzo altissimo. Nel film infatti John Bennet fa sì emergere la verità, vince il premio Pulitzer ma perde la sua salute mentale e si ritrova lui stesso ricoverato in un ospedale-psichiatrico.


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