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Un ricordo di Gianni Marino

Questo testo è stato letto da Pina La Villa in occasione dell’Omaggio a Gianni Marino, svoltosi a Francofonte il 19 febbraio 2012.

di Pina La Villa - lunedì 20 febbraio 2012 - 7655 letture

“A proposito dell’arte, l’idea migliore che mi sia venuta in mente quando insegnavo è stata quella che io definisco teoria del canarino-nella-miniera-di-carbone. Secondo questa teoria gli artisti sono utili alla società proprio perché sono così sensibili. Anzi, sono ipersensibili. Cadono stecchiti come i canarini nelle miniere di carbone sature di gas velenoso, molto prima che i tipi più robusti si rendano conto che la situazione sta diventando pericolosa”. Kurt Vonnegut, Divina idiozia, p. 51

Il ricordo di Gianni Marino è per me legato in primo luogo agli anni Settanta, quando frequentavo il liceo ed ero una delle sue allieve.

Già all’epoca, e poi in seguito, ho avuto la fortuna di frequentarlo anche come amico e compagno di partito (Il PSI, negli anni Settanta-Ottanta).

I ricordi e le immagini legate alle sue varie attività e a tutta la ricchezza che Gianni mi ha trasmesso sono tanti, e tutti inquinati un po’ dalla nostalgia e dal dolore.

Cercherò di risparmiarvi l’una e l’altro, e non pretendo di raccontarvi tutto. Altri lo hanno fatto meglio di me, anche attraverso i documenti, le foto e i quadri presenti nella mostra.

Se sono qui è perché i ragazzi dell’associazione “Moviti femmu”, che ringrazio, hanno fatto una precisa richiesta, bellissima e strana, per me che insegno storia e spesso devo imporre il racconto dei fatti: mi hanno chiesto di fare un’operazione di trasmissione della memoria su una persona che ha significato tanto per il nostro paese. Con un preciso intento,credo, che è anche in queste due serate che hanno organizzato: avere memoria serve ad agire.

Cercherò quindi di restare ai fatti e di non usare aggettivi per descrivere la figura di Gianni. Non mi piace usare degli aggettivi che implicano comunque un giudizio definitivo su una persona, e questo me l’ha insegnato lui: ricordo spesso quello che ci disse un giorno in classe: non bisogna mai giudicare le persone (tipo è bravo, è buono, o viceversa), ma le cose che fanno: insomma “non sei cretino tu, è cretina questa cosa che hai fatto, ora e qui, magari in seguito ne farai una intelligente, non è escluso”.

E su questo era spietato. Una volta, durante la gita scolastica a Firenze, nel 1979, ci portò a teatro. Lo spettacolo era fatto male e lui ad un certo punto ci disse di alzarci e andarcene, rumorosamente, era un nostro diritto esprimere il dissenso.

Ho scelto quindi di parlare di Gianni – e di José Sarcià, sua moglie, perché per me non è facile distinguerli – parlando della loro casa qui a Francofonte, in Via Roma.

Probabilmente non riuscirò a nascondere il fascino che aveva per me e probabilmente e forse inevitabilmente parlerò di me. E’ il limite dei ricordi. Ma parlare della loro casa mi permette di tenere insieme tutta la storia di Gianni di cui sono stata in qualche modo testimone.

La casa in Via Roma

La loro casa in paese era grande. Il portone, pesantissimo si apriva su un androne  oltre il quale c’era un cortile interno, illuminato ma coperto. Qui, alla fine degli anni settanta, stazionava il ciclostile con cui Gianni stampava i suoi documenti e quelli dei vari gruppi di studenti e di attivisti con i quali entrava in contatto.

A questa punto è bene ricordare cos’è un ciclostile.

Il ciclostile è un sistema di stampa meccanico utilizzato per produrre stampe di bassa qualità in piccola tiratura a costi estremamente contenuti, se paragonati con quelli della stampa industriale. Non richiedeva neanche energia elettrica per il suo funzionamento e permetteva quindi di far circolare volantini, piccole riviste, documenti. Era un’eredità del ’68, la rivoluzione giovanile che aveva trasformato profondamente il mondo dell’università e che, negli anni settanta, riusciva ancora a creare un particolare fermento nelle scuole, in particolare nel nostro piccolo liceo cittadino. Insomma era il nostro web, il nostro facebook negli anni settanta.

Il testo veniva battuto con la macchina da scrivere e poi stampato. La qualità era scadente, come ho detto, correzioni, lettere che saltavano, stampa sbiadita. Ma lì erano tutte le nostre idee, le nostre informazioni, i nostri appuntamenti.

Se riuscissimo a trovarli tutti scopriremmo il ruolo politico e culturale di Gianni Marino, al di là dei partiti e al di là della scuola. Cioè in parole povere, quello che ha significato la presenza di un intellettuale e di un artista aggiornato com’era Gianni in un piccolo paese della Sicilia in anni particolari della nostra storia e, per quanto riguarda la mia generazione, della nostra formazione.

Intanto io ricordo che Gianni stampava non solo quello che produceva, ma anche quello che producevano altri, anche quello che non condivideva del tutto, era un modo di far circolare le idee, aprire il dibattito, come si diceva, trovare alleanze nelle varie battaglie contro il sistema di potere democristiano, ma anche contro la “vecchia” classe dirigente del PSI e del PCI.

Questo era Gianni: un fiume di parole dette e scritte, e ti affascinava, e ti informava. Provava ad averti dalla sua parte nelle varie battaglie. Non sempre ci riusciva.

La libreria

Abbandonando il cortile del ciclostile e salendo a sinistra attraverso scale di marmo bianco si arrivava all’appartamento di Gianni e José e dei loro figli. Un ampio ingresso, con una libreria subito di fronte alla porta, mensole di  vetro su montanti di acciaio, fittissima di libri: Don Milani, don Franzoni, Teologia della liberazione, la rivista Rocca, Argan, Lelio Basso, Mondoperaio…e tanti altri.

Già solo attraverso questi nomi e questi titoli (il ricordo li ha selezionati perché sono anche gli argomenti delle battaglie di Gianni e dei volantini di cui sopra) è facile ritrovare Gianni Marino e ciò che ha significato per Francofonte, per tutti noi: la possibilità di conoscere e di essere in sintonia con quanto si muoveva nel mondo, con le grandi correnti della storia e delle idee.

Don Milani, figura controversa della Chiesa cattolica negli anni Cinquanta e Sessanta, viene ora considerato una figura di riferimento per il cattolicesimo socialmente impegnato di stampo progressista per il suo impegno civile nell’educazione dei poveri, la sua difesa dell’obiezione di coscienza e per il valore pedagogico della sua esperienza di maestro. Nel dicembre del 1954 venne mandato a Barbiana, un piccolo paese nel Mugello, in Toscana e qui iniziò il primo tentativo di scuola a tempo pieno espressamente rivolto alle classi popolari.

Opera fondamentale della Scuola di Barbiana è Lettera a una professoressa, del maggio 1967, in cui i ragazzi della scuola (insieme a Don Milani) denunciavano il sistema scolastico e il metodo didattico che favoriva l’istruzione delle classi più ricche (i cosiddetti "Pierini"), lasciando la piaga dell’analfabetismo in gran parte del paese. Fu Don Milani ad adottare il motto “I Care”, letteralmente m’importa, ho a cuore (in dichiarata contrapposizione al "Me ne frego" fascista), che sarà in seguito fatto proprio da numerose organizzazioni religiose e politiche. Questa frase scritta su un cartello all’ingresso riassumeva le finalità educative di una scuola orientata alla presa di coscienza civile e sociale.

Dom Franzoni (nato a Varna, in Bulgaria, poi trasferitosi a Firenze), fu ordinato sacerdote nel 1955, e prese ad insegnare storia e filosofia nel collegio dell’abbazia benedettina di Farfa. Nel marzo 1964 fu eletto abate dell’abbazia di San Paolo fuori le mura e, in tale veste, partecipò alle ultime due sessioni del Concilio Vaticano II, risultando il più giovane tra i padri conciliari.

Fra gli anni Cinquanta e Sessanta avviò l’esperienza della comunità cristiana di base di San Paolo, in cui si coniugava l’ascolto del Vangelo con la lettura delle situazioni politiche ed ecclesiali e la presa di posizione in senso progressista e marxista.

Alcune di queste scelte, come l’opposizione al Concordato tra Stato e Chiesa, la condanna verso la guerra in Vietnam e la solidarietà con le lotte operaie dell’autunno caldo del ’68, gli procurarono la contrarietà della Santa Sede che lo invitò a dimettersi dalla carica di abate, il 12 luglio 1973, pochi giorni dopo aver pubblicato la lettera pastorale La terra è di Dio.

La goccia che fece traboccare il vaso fu l’aperta critica, espressa da alcuni membri della comunità cristiana di base, verso le operazioni finanziarie compiute dallo IOR, nella primavera del 1973, avevano ricevuto la ferma deplorazione del sistema bancario internazionale. « La verità è che da parte della gerarchia non si nega il diritto ad una scelta, si nega il diritto ad una scelta opposta a quella che la gerarchia stessa ha compiuto. » (dal corsivo di Fortebraccio, Dalla parte di lor signori, l’Unità, 25 giugno 1972).

Nel 1974 prese apertamente posizione per la libertà di voto dei cattolici al referendum sul divorzio (come Gianni Marino qui a Francofonte), definendolo «un bisturi necessario» e sottolineando che il matrimonio non poteva essere un sacramento per i non cattolici. Seguirono forti critiche dalle gerarchie ecclesiastiche, non meno che dagli esponenti politici della Democrazia Cristiana, per cui ebbe la sospensione a divinis. Nel 1976, dopo il suo dichiarato appoggio al PCI, fu dimesso dallo stato clericale.

Da allora il suo impegno politico si è espresso in vario modo al di fuori della Chiesa.

Rocca è una rivista che cercava (ma esiste ancora, credo) di coniugare fede cristiana e impegno con un approccio critico alla realtà. Molto documentata, trattava fra l’altro di politica interna e internazionale, insomma la rivista di un cattolicesimo che si interrogava sulle proprie responsabilità di fronte ai problemi del mondo moderno.

L’Argan: era il nostro libro di testo di Storia dell’arte. Giulio Carlo Argan (Torino 17-05-1909 – Roma 12-11-1992) è stato uno dei maggiori critici d’arte del Novecento. Negli anni Sessanta ebbe un ruolo di primo piano nel dibattito sullo sviluppo delle correnti più moderne. Dall’informale all’arte gestaltica, dalla pop art all’arte povera, fino all’elaborazione della tesi sulla morte dell’arte, cioè la crisi irreversibile del sistema delle tecniche tradizionali dell’arte nella società industriale e capitalistica. Nel 1968 pubblica la Storia dell’arte italiana (per oltre due decenni il più diffuso manuale scolastico di storia dell’arte), seguita da L’arte moderna 1770-1970, e nel 1969 fonda la rivista «Storia dell’arte» (per il primo numero scrive il saggio programmatico e metodologico: La storia dell’arte). Negli anni 1976-79 è Sindaco di Roma, eletto nelle liste della Sinistra Indipendente è il primo sindaco non democristiano del dopoguerra. Come primo cittadino compie una battaglia contro la speculazione edilizia, ma non va dimenticato il suo importante ruolo nel dialogo con la Chiesa e in particolare i suoi storici incontri con i tre pontefici succedutisi in quegli anni (Paolo VI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II).

Lelio Basso. Antifascista, membro attivo della Resistenza, fondatore della rivista "Problemi del socialismo" (tuttora in stampa con il nuovo titolo "Parolechiave"). Nel 1947 Basso divenne Segretario del PSI, un ruolo che occupò fino al Congresso di Genova nel 1948. Nel 1950 non fu rieletto a livelli dirigenziali, per via delle sue visioni contrarie all’inclinazione stalinista del partito a quel tempo. Nel dicembre 1963 egli fece una dichiarazione di voto alla Camera, sottoscritta da 24 membri della minoranza del gruppo parlamentare socialista, contro il primo governo di Centro-Sinistra. Questo gesto gli fece guadagnare la sospensione dal partito e nel gennaio 1964 partecipò all’assemblea costituente del nuovo PSIUP. Basso fu uno dei leader del nuovo partito e ne fu presidente dal 1965 al 1968, quando le truppe del Patto di Varsavia invasero la Cecoslovacchia. Sedette nel Tribunale Internazionale, presieduto da Bertrand Russell, costituito per giudicare i crimini americani commessi in Vietnam. Nel 1973 lavorò per costituire un secondo Tribunale Russell per esaminare la repressione portata avanti in America Latina. Nel 1976, la Fondazione Internazionale e la Lega Internazionale per i Diritti e la Liberazione dei Popoli.

Mondoperaio era (è ancora, ma è un altro discorso) una rivista fondata il 4 dicembre 1948 su iniziativa di Pietro Nenni. Presenza costante fra le riviste politico-culturali del secondo dopoguerra, nata come "rassegna politica settimanale", "Mondo operaio" si propone di intervenire prevalentemente sui problemi di politica estera che Nenni considerava "la politica per eccellenza". Diventato organo del Partito Socialista Italiano e quindicinale nel 1953, per adottare nello stesso anno una periodicità mensile, "Mondo Operaio" si arricchisce di nuovi temi che troveranno una loro prima collocazione nel Congresso di Torino del 1955 dove viene elaborata la politica del dialogo con i cattolici. Fino al 1973 la rivista ha come condirettore Raniero Panzieri. Nel 1959, quando Panzieri abbandona Mondo Operaio e il Partito Socialista, la rivista assume una fisionomia maggiormente di partito, fino a quando, nel 1973, con il nuovo direttore Federico Coen, inizia la fase di critica alla dottrina marxista per prendere le distanze dal PCI del compromesso storico e ritagliare per il partito socialista uno spazio alternativo, anche in campo culturale, al PCI.

Teologia della liberazione. La teologia della liberazione presuppone una scelta etico-politica ed evangelica in favore dei poveri, nasce con l’assemblea di Medellin del 1968 il cui documento si proponeva la lotta ideologica contro un modo di manifestarsi del cristianesimo funzionale al mantenimento del capitalismo. A partire dal 1964-1965 un ruolo importante in questo senso avevano avuto il messaggio del futuro prete guerrigliero colombiano Camillo Torres Restrepo e le prese di posizione di alcuni vescovi brasiliani.

Il senso di questi nomi

Ho voluto ricordare questi nomi perché il filo conduttore che li lega ci restituisce interamente, credo, la personalità e l’insegnamento che Gianni Marino, per tutta la vita, ci ha dato: si tratta sempre di persone e movimenti che lottano contro il sistema, contro ogni sistema di potere, sia esso quello della Chiesa, quello dei partiti, o quello del capitalismo che opprimeva i Paesi del Terzo Mondo, come si diceva allora.

E’ esattamente quello che ha fatto lui, ed è l’insegnamento principale che ci ha trasmesso. Il potere opprime, corrompe, stritola l’individuo, non ne tollera la libertà. E allora occorre combatterlo, non ha importanza in quale epoca storica, e in quale forma si presenti. Il potere va controllato, denunciato, e vanno difesi coloro che ne sono vittime, e soprattutto va difesa quella che è la prima vittima del potere, la nostra libertà.

Gianni ce lo diceva anche con la sua chitarra e le parole della canzone di Gaber:

La libertà non è star sopra un albero
non è neanche il volo di un moscone
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione.


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