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Trent’anni dalla morte di Kurt Cobain

Ripercorrere la propria vita con quella spezzata di un artista maudit.

di Fabrizio Cirnigliaro - venerdì 5 aprile 2024 - 746 letture

Il 1994 è stato l’anno del mio diploma, delle prime vacanze senza genitori con l’amico Michele con i soldi guadagnati raccogliendo mandorle, dell’uscita di Pulp Fiction, un anno di grandi concerti, del rigore sbagliato da Roberto Baggio, ma a segnarmi particolarmente a livello emotivo e caratteriale furono le morti di Kurt Cobain e Ayrton Senna, avvenute in meno di un mese di distanza l’una dall’altra. Per entrambi i casi ricordo ancora dov’ero e cosa stessi facendo quando mi è stata data la notizia.

Ma mentre quella del pilota brasiliano fu un dolore condiviso con mio fratello Tonino, anni dopo andammo insieme a visitare il circuito dove avvenne l’incidente, quella di Kurt fece emergere un lato oscuro di me che ai tempi non conoscevo, ma che è strettamente legato alla depressione di un ventennio dopo. Jimi Hendrix, Bob Marley, Jim Morrison, Sid Vicious erano tutti miti del passato. Ma il cantante dei Nirvana, a differenza di Freddy Mercury morto solo qualche anno prima, stava dando voce al disagio nascosto della mia generazione.

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Kurt

Il suono della sua chitarra e le urla del suo canto non ci azzeccavano nulla con le velleità artistiche dei Guns’n Roses e il machismo dei Metallica. Ricordo che mi presentai qualche mese dopo all’esame di maturità con dei Levi’s tutti strappati, dei capelli lunghi e mal pettinati e una T-shirt dei Nirvana. A mia memoria è stato il mio primo caso di auto sabotaggio, esame che infatti andò male, nonostante fossi molto preparato. Quello che stavo provando a comunicare non erano le competenze di 5 anni di studi, ma il sentirsi fuori posto in quel momento, in quel mondo.

Da allora in poi iniziai ad andare in direzione ostinata e contraria. Dalla scelta di fare l’obiettore di coscienza, ad altre che hanno fatto soffrire persone a me care. Alla soglia dei 50 anni ho ricomprato tutta la collezione in vinile dei Nirvana, è sempre a portata di mano la chitarra Fender Jaguar, anche se la malattia, la calvizie e dei vicini in Liguria meno accondiscendenti di quelli di Priolo Gargallo, non mi permettono più di suonarla in piedi scuotendo i capelli. Del resto, non profumo più da "teen spirit" come trent’anni fa, e meno male direi.

"La Storia si ripete sempre due volte, la prima in tragedia, la seconda in tragedia"...


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