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Sulla questione corruzione

Il caso ligure continua ad imperversare nella TV di Stato, l’indagine è tentacolare e si estende in ogni campo. Non può non far soffrire, in particolare, lo scandalo nella gestione del covid...

di Salvatore A. Bravo - mercoledì 15 maggio 2024 - 565 letture

La pecunia fangosa

Il caso ligure continua ad imperversare nella TV di Stato, l’indagine è tentacolare e si estende in ogni campo. Non può non far soffrire, in particolare, lo scandalo nella gestione del covid. Coloro che continuano ossessivamente a pensare che il male sia il fascismo (lo è stato indubitabilmente) sono tenuti ad aggiornarsi: il male è il capitalismo. Per poter leggere lo scandalo, uno dei tanti, nella sua tragica valenza etica non si può non fare riferimento alla radice prima del male.

Il fine è il profitto, ogni mezzo è ritenuto lecito, come Re Mida il capitale trasforma ogni esperienza in oro tintinnante, ma alla fine della folle corsa verso l’accumulo illimitato, non resta che la morte. Muore l’essere umano nella sua natura universale e nella prassi del bene con la crematistica assoluta, al suo posto resta un “essere incapace di alzare lo sguardo verso le stelle”. Il capitalismo distorce l’uguaglianza in eguagliamento. Gli esseri umani tutti sono addestrati a tenere la testa bassa, a grufolare alla ricerca della pecunia fangosa, non importa il modo, conta solo l’obiettivo. L’umanità è dunque addestrata a raspare nel fango, ora malgrado il male sembri prevalere, discutere del “male” nella sua profondità e verità è il modo per rendere la realtà razionale ed emanciparsi dalla interpretazioni decaffeinate secondo cui è solo una “parte ad essere corrotta” ma non la totalità. Ci sono livelli diversi di corruzione, ma dove impera il profitto la corruzione è la normalità non pensata.

Trasgredire la corruzione

Tutti possiamo diventare cibo per il profitto. Il male non è banale come affermava Hannah Arendt, filosofa amata dai liberali, è straordinariamente tragico, perché si insinua nelle vite, prima le saccheggia del senso etico e del bene riducendole a soffio vitale che desidera l’illimitato e poi esonda ovunque nelle istituzioni come nelle strade. Non si ha altro sguardo che per il profitto. Il mondo si oblia nell’oscurità.

Tale logica negli ultimi trent’anni è stata introdotta con una serie di miti: le pari opportunità, l’uguaglianza delle condizioni di partenza, lo sviluppo delle competenze imprenditoriali ecc. come tutti i miti presto o tardi la verità si mostra nel suo volto meduseo e malvagio. L’aziendalizzazione di ogni aspetto dell’esistenza e della comunità ha quale fine il profitto, per cui è inevitabile il livello di corruzione endemico della vita sociale.

Il capitalismo unisce l’illimitatezza alla flessibilità adattiva. Non ha fondazione metafisica, non conosce il problema della verità. Il capitalismo si autofonda sull’economia del profitto perversa negazione dell’economia non crematistica che soddisfa i reali bisogni e dell’umanità e nobilita il lavoro, in quanto esso non è semplice trasformazione della materia e pratica delle competenze in funzione del profitto, il lavoro è vicinanza umana, è collaborazione, esso è fonte di umanizzazione. Il lavoro è servizio, pertanto insegna a guardare l’universale e a viverlo. Il bene e l’universale non sono esperienze ultramondane, ma essi sono nello sguardo amichevole delle persone con cui collaboriamo per rendere le esistenze tutte semplicemente più umane. Il capitalismo è male in sé, in quanto divide, pone gli esseri umani in una contrapposizione invidiosa e lacerante al punto che nessuno guarda l’alterità.

L’altro diventa un mezzo per appetiti fantasiosi e deliranti, in questa cecità tragica c’è l’humus per la corruzione. L’abitudine al nichilismo economicistico e ad una concezione dell’essere umano minima e pessimistica erode il senso etico e lo scandalo che aiuta a pensare e a diventare consapevoli che l’essere umano è dotato di una natura etica e comunitaria. Ora che la verità è svelata, dobbiamo riattivare le energie etiche che giacciono sopite dentro di noi.

L’essere umano necessita di “senso e progettualità” senza di essi si ammala nello spirito e nel corpo, pertanto il bisogno di senso non dev’essere respinto ma accolto. Il capitalismo ci ha insegnato a respingere l’universale e a considerarlo un intruso nelle nostre vite, in quanto è di inciampo al mercato e alla mercificazione. Dobbiamo trasgredire il nichilismo e ricominciare a pensare che il presente non è la totalità, ma solo la degenerazione determinata dal capitalismo.

Solo se si ha la chiarezza del “male” si può intraprendere il percorso che conduce all’universale, e dunque, alla politica che diviene la voce del popolo e non certo pratica oligarchica che non dà tregua ai subalterni, i quali sono umiliati e offesi. Raccogliamo dentro di noi il dolore della vita offesa, la nostra e l’altrui, in modo che possa diventare pensiero e concetto. La rabbia non dev’essere respinta, ma deve essere ascoltata, in modo da trasformarsi in azione comune per una realtà a misura di essere umano, in cui il logos comunitario sia il processo comune verso cui orientare le esistenze singole ed i popoli. Lottiamo contro il male presente e onoriamo coloro che ci hanno preceduto e che ci hanno dimostrato che il male non è onnipotente, ma è umano troppo umano, e dunque è nella storia e può diventare un ricordo con cui rischiarare il presente e il futuro.

Riconquistiamo la nostra salute dello spirito e del corpo uscendo dalla gabbia mortale della corruzione e dell’indifferenza. Comunitarismo e comunismo sono ancora oggi gli antidoti alla burocratizzazione della vita e della salute che favoriscono forme di corruzione e di solitaria distanza. Dobbiamo riconquistare il nostro comune codice vitale per riprendere il nostro cammino:

“L’azione terapeutica consiste per la maggior parte in un modo tradizionale di consolare, assistere e confortare il prossimo finché non si rimetta in salute, e la cura degli ammalati è soprattutto una forma di tolleranza nei confronti di chi soffre. Le culture che sopravvivono sono appunto quelle che forniscono un codice vitale, coerente con la costituzione genetica di un dato gruppo, con la sua storia e col suo ambiente, e adatto alle peculiari esigenze nascenti dal confronto con i gruppi vicini. In senso contrario a queste funzioni si muove l’ideologia diffusa dalla medicina cosmopolita del nostro tempo. Essa scalza dalle radici i vecchi programmi culturali e impedisce che ne sorgano di nuovi capaci di offrire un modello per l’autoconservazione e per la sofferenza. Quando una cultura si medicalizza, in qualunque parte del mondo, la struttura tradizionale delle usanze, che possono diventare esercizio consapevole nella pratica personale della virtù dell’igiene, viene progressivamente paralizzata da un sistema meccanico, un codice medico in forza del quale gli individui si rimettono alle istruzioni emanate dai loro custodi sanitari. La medicalizzazione dà luogo a un prolifico programma burocratico basato sull’idea che non occorra affatto che ciascuno affronti personalmente il dolore, la malattia e la morte. L’impresa medica moderna rappresenta un tentativo di fare per conto degli altri quello che gli altri, grazie al loro patrimonio genetico e culturale, erano prima in grado di fare da soli. La civiltà medica è pianificata e organizzata allo scopo di sopprimere il dolore, eliminare la malattia e annullare il bisogno di un’arte di soffrire e di morire. Questo progressivo appiattimento della prestazione personale, virtuosa, costituisce un obiettivo nuovo che mai prima d’ora aveva fatto da guida per la vita sociale. Il soffrire, il guarire e il morire, attività essenzialmente intransitive che ognuno apprende dalla cultura, vengono ora rivendicate dalla tecnocrazia alla sua gestione e considerate come disfunzioni dalle quali le popolazioni vanno liberate per mezzo di strumenti istituzionali. Gli obiettivi della civiltà medica metropolitana sono così antitetici a ogni programma sanitario culturale che essa incontra sulla via della progressiva colonizzazione” [1].

Per essere liberi e non avere paura dobbiamo trasgredire la corruzione e dimostrare che essa non è la natura dell’essere umano. La salute del singolo passa per la solidarietà della comunità che dobbiamo ricostruire. Abdicare al potere la salute e la formazione è fonte di corruzione e di passività a cui dobbiamo far fronte rientrando nella storia.

[1] Ivan Illich, Nemesi medica: parte terza, Iatrogenesi culturale, Red edizioni, 2013.

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