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Europee 2024: il silenzio di alcune agende politiche sulle mafie

Dunque, il Paese che ha saputo distillare le mafie europee di più lungo corso e che le ha viste ramificarsi con straordinaria duttilità nel continente, pare tiepido nel portare tra gli scranni di Strasburgo e di Bruxelles la parola d’ordine dell’antimafia politica

di francoplat - mercoledì 12 giugno 2024 - 595 letture

Sabato e domenica si è votato, fra le altre cose, per il Parlamento europeo. Al di là dell’orientamento elettorale, al di là dei vincitori e dei vinti, delle proclamazioni vittoriose di tutti, ciò che qui interessa è riflettere un attimo su come il tema delle mafie sia stato proposto durante la campagna elettorale, la lunga, estenuante marcia verso il consenso che così poco ha parlato di Europa e, ancor meno, di mafie.

La latitanza del tema dalle agende politiche la si può leggere attraverso l’analisi che Wiki Mafia ha elaborato e messo a disposizione in Rete, in un documento che, significativamente, recita: “C’è ma non troppo. La lotta alla mafia nelle elezioni europee 2024” (https://www.wikimafia.it/ce-ma-non-troppo/). Qual è l’esito di questa analisi dei programmi elettorali dei principali partiti politici? È bene lasciare parlare gli analisti, riportando fedelmente le loro conclusioni: «Con le uniche eccezioni delle proposte ben articolate da parte del Movimento 5 Stelle e del Partito Democratico, complessivamente l’attenzione anche in ambito europeo al fenomeno mafioso e alla corruzione della politica italiana è deficitario, approssimativo e superficiale. Ci si affida a dichiarazioni di principio, nobili ma sterili se non accompagnate da proposte concrete».

Un giudizio secco, sotto l’ombrello di tre aggettivi: deficitario, approssimativo e superficiale. Questo pare essere l’approccio politico nostrano al contrasto alle consorterie criminali. Vero è che non si tratta di un dato stupefacente, insolito, una discontinuità che faccia tremare le vene e i polsi. La derubricazione delle mafie dal discorso politico è cosa di lunga, lunghissima data; dopo la robusta reazione contro la mano militare e apicale dei Corleonesi – ma non, si badi bene, contro le sponde extra-mafiose – degli anni Novanta, il nuovo millennio ha portato con sé una sorta di pigra indolenza, addirittura di fastidio nei confronti del problema in questione, quasi una sorta di recupero del colpevole silenzio della politica nei decenni che precedettero la stagione del “maxi-processo”. Ciò senza aprire il tema della graduale, lenta e inesorabile erosione degli strumenti di contrasto alle mafie elaborati in quegli stessi anni Novanta.

Del resto, è stata la stessa Wiki Mafia, nel 2022, a sondare l’atteggiamento dei partiti verso le organizzazioni criminali durante le elezioni politiche che hanno visto il successo di "Fratelli d’Italia" e della sua leader, Giorgia Meloni. Pure in quell’occasione, le conclusioni apparivano amaramente comprensibili: «la mafia è ignorata come principale emergenza dell’Italia dalla stragrande maggioranza dei partiti. Questo non significa che gran parte della politica italiana sia collusa: semplicemente non ha sviluppato una particolare sensibilità al tema, anzitutto per mancanza di formazione specifica sul tema». Ci sarebbe da ragionare lucidamente sulla seconda parte della citazione, sulle ragioni del disinteresse dei partiti nostrani nei confronti dei clan. Soprattutto, a fronte di un’indagine di SWG del luglio 2022 che sottolineava come, per il 64% degli intervistati, ossia cittadini comuni, lo Stato non facesse abbastanza contro le mafie, per il 41% queste ultime fossero un problema irrisolvibile, mentre, per il 54% del campione, la morte di Falcone e Borsellino fosse legata alla complicità tra mafie e pezzi di Stato deviati. A dire, in sostanza, che l’opinione pubblica pare meno ignara della classe politica e ha maggiore consapevolezza della gravità del problema. O, forse, dichiara apertamente di averne.

Non diversa, anzi, decisamente più esigua è la percezione del fenomeno a livello europeo, tanto che risulta difficile trovare, pure in questa tornata elettorale, partiti politici fuori dalla nostra penisola che abbiano sbandierato il vessillo della lotta alle mafie nei loro programmi. E ciò nonostante il “Serious and Organised Crime Threat Assessment” (SOCTA) di Europol abbia sottolineato come il 70% dei gruppi criminali che operano nell’Unione Europea siano attivi in più di tre Paesi dell’Unione e il 65% di essi sia composta da membri di diverse nazionalità. È ancora Wiki Mafia nel dossier più recente, quello del 2024, a chiosare: «nonostante il quadro assolutamente preoccupante che emerge anche dalle recenti inchieste portate avanti dalle forze di polizia e dalla magistratura dei vari Stati membri, coordinati a livello comunitario da Europol ed Eurojust, il pericolo mortale di questa diffusione endemica viene sottovalutato sia dalle istituzioni europee sia dai diversi governi nazionali».

In area tedesca, risulta di qualche interesse quanto pubblicato dall’associazione “mafianeindanke”, attiva sul fronte dell’antimafia sociale, che ha cercato un riscontro sul tema mafioso all’interno dei programmi elettorali dei 35 partiti candidati alle elezioni europee. Stando ai dati forniti, oltre la metà, ossia 20, non menziona il tema nel proprio piano politico, mentre i restanti quindici lo hanno evocato. L’analisi è meno dettagliata di quella di Wiki Mafia per il caso italiano, poiché non si precisa se l’evocazione del fenomeno mafioso rappresenti o meno, per il singolo partito, un punto qualificante, dettagliato o una mera citazione. Tuttavia, un breve sunto delle risposte delle compagini politiche alle domande poste dall’associazione consente, ad esempio, di incrociare l’opinione di un esponente del “MLPD” (il partito marxista-leninista tedesco), che dichiara: «trovo allarmante che la criminalità organizzata si intrecci sempre più strettamente con la cosiddetta economia legale. Alla ricerca del massimo profitto, imprese monopolistiche internazionali sono pronte a fare anche gli affari più sporchi».

Nulla di strano nella condanna dell’avidità speculativa dei grandi monopoli, rispetto l’ortodossia comunista alla quale il partito si richiama, ma non è affatto scontato il rilievo dato al problema delle mafie, soprattutto a fronte del silenzio dei partiti nostrani. In effetti, se dalla sintesi generale dell’indagine di Wiki Mafia del 2024 si passa a un’analisi un po’ più particolareggiata, tale sottovalutazione, in Italia, emerge con estrema chiarezza. Da un lato, vi sono infatti quei partiti che, pur indicando quello mafioso quale problema da affrontare nel loro programma, non accompagnano tale consapevolezza con proposte operative da presentare nel consesso europeo; dall’altro, vi sono liste che non menzionano neanche una volta termini quali “mafia” (o “mafie”), “corruzione”, “criminalità organizzata”.

A proposito di questi ultimi, il documento di Wiki Mafia cita “Alleanza Verdi-Sinistra”, nel cui programma non compaiono riferimenti al tema mafioso e la parola “corruzione” viene evocata una sola volta in relazione al problema delle risorse ambientali e della lotta al capitalismo. In una situazione simile, si trovano “Forza Italia”, “Lega”, “Pace, terra e dignità”, “Stati Uniti d’Europa”. Nessun cenno, nessun riferimento al tema, tanto da destare la perplessità degli estensori del documento che, relativamente al movimento di Michele Santoro, osservano: «Curioso, visto che il promotore ha dedicato tanto della sua vita professionale a questi temi».

Per quanto concerne i partiti, per così dire, teoricamente ma non pragmaticamente attenti alla questione, si può evocare “Azione” di Carlo Calenda: vi è un richiamo alla necessità di centralizzare la lotta alle mafie, sempre più internazionalizzate, ma null’altro; una dichiarazione di principio, appunto, a cui manca un puntello concreto. Mentre il partito del Capo del Governo, “Fratelli d’Italia”, si lancia nella celebrazione del primato italiano alla lotta alle mafie, evocando le immancabili figure di Falcone e Borsellino, e caldeggia una maggior armonizzazione e coordinamento europeo nel contrasto alle organizzazioni criminali. Tuttavia, pure in questo caso, latitano le proposte concrete, tranne la ripresa di azioni e attività già in atto a livello comunitario, come, ad esempio, lo scambio di informazioni fra procure. Inoltre, precisa il dossier, nessun cenno è fatto alla questione della corruzione.

Dal canto suo, Cateno De Luca, leader di “Libertà”, afferma con tono perentorio: «Vogliamo uno Stato libero dalla corruzione, dalla criminalità organizzata con la garanzia che ci sia un’Europa attenta per chi denuncia il malaffare». E qui, fuori dalle enunciazioni di principio, terminano i propositi per un ripristino non superficiale della legalità.

Restano, fra i partiti principali, il “Movimento 5 Stelle” e il “Partito Democratico”. Si tratta, in entrambi i casi, di due formazioni politiche che dedicano largo spazio al tema. Giuseppe Conte inserisce nel programma un capitolo intitolato “Criminalità organizzata e corruzione, il male europeo”, incardinato su temi quali la lotta al riciclaggio e ai reati ambientali e alle ecomafie, il contrasto alle frodi e alla corruzione, la creazione di un codice antimafia per proteggere i fondi europei e di una procura europea contro il terrorismo internazionale. Se il codice antimafia richiama il noto “Protocollo Antoci” – applicato in Sicilia a partire dal 2015 e volto ad arginare l’infiltrazione delle consorterie criminali nell’ambito agricolo – auspicando la sostituzione del sistema delle autocertificazioni con controlli di Comuni e Prefetture, la lotta ai reati ambientali e alle ecomafie è possibile, a detta del programma pentastellato, solo cercando una normativa comune europea in grado di superare le particolarità e gli egoistici interessi dei singoli Stati.

Un po’ meno articolato di quello dei “5 Stelle”, ma comunque sensibile al tema, è il programma del “Partito Democratico”: lotta alla corruzione con un codice etico più stringente e un controllo più efficace delle istituzioni dell’Ue, lotta alla criminalità organizzata, ormai transnazionale, attraverso un «meccanismo europeo per il riutilizzo dei beni confiscati per la promozione dei beni pubblici europei», e con l’ausilio di una commissione speciale del Parlamento europeo per la lotta al crimine mafioso, oltre che di un Forum europeo per la cultura della legalità.

Dunque, il Paese che ha saputo distillare le mafie europee di più lungo corso e che le ha viste ramificarsi con straordinaria duttilità nel continente, pare tiepido nel portare tra gli scranni di Strasburgo e di Bruxelles la parola d’ordine dell’antimafia politica. È possibile che la questione mafiosa sia ritenuta meno urgente e centrale di altri grandi temi, dalla guerra all’ambiente alle politiche agro-industriali; è possibile che una sorta di pudore nazionalistico trattenga qualche leader nostrano dal farsi portavoce della lotta a una discutibile eccellenza italiana, la “sovranità mafiosa”, infatti, non è un prodotto di cui vantarsi troppo; è anche possibile che il silenzio sia quello che è, cioè il consapevole rifiuto di mettere mano seriamente al problema delle mafie, per ragioni di convenienza o complicità. Quale che ne sia la ragione, insieme ai vincitori delle elezioni europee, anche le coorti mafiose brinderanno al nuovo Parlamento del vecchio continente, fiduciose in un silenzio che ha già fruttato, nella nostra penisola, una frizzante, plurisecolare longevità.


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