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Nascondere la polvere sotto il tappeto

Oggi voglio parlare di una sceneggiatura, un genere ibrido che sta a metà fra il romanzo e il film, dai più ignorato o sottovalutato ma in realtà estremamente interessante...

di Alessandra Calanchi - mercoledì 7 febbraio 2024 - 630 letture

Oggi voglio parlare di una sceneggiatura, un genere ibrido che sta a metà fra il romanzo e il film, dai più ignorato o sottovalutato ma in realtà estremamente interessante. Tra i grandi sceneggiatori ci sono importanti scrittori (Raymond Chandler, per esempio) e molti registi sono anche sceneggiatori. Non accade spesso che una sceneggiatura venga pubblicata indipendentemente dal “suo” film: nel nostro caso il film non c’è proprio (o almeno, non ancora) e mancando anche un romanzo a cui si sia ispirata si parla di “sceneggiatura originale”.

Il titolo è La maledizione nel cuore e l’autore è Giorgio Rizzo, artista poliedrico di cui già si è parlato in Girodivite. L’editrice è Giada Trebeschi (Oakmond Publishing) che lo propone in versione kindle e cartacea.

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Copertina de La maledizione nel cuore, di Giorgio Rizzo

Come riporta la presentazione nel sito della casa editrice, “leggere una sceneggiatura è entrare nelle immagini, vedere il film con gli occhi della propria mente”. E il film mentale che vedremo è una storia sulla tratta delle schiave africane, frutto di mesi di interviste a donne che hanno vissuto la stessa esperienza della protagonista. La vicenda inizia in modo quasi surreale per noi occidentali: un patto con Eshu, dio della magia nera africana. La salvezza della giovane Ife sembra infatti poter passare solo attraverso la superstizione, pare poter essere garantita unicamente mediante un rituale che ci mette subito nella condizione di spettatori spaesati e inorriditi. Vittime come siamo del pregiudizio occidentale, ci accorgiamo presto che i cattivi siamo noi – cosa che in realtà sappiamo benissimo – e che la fame e la povertà sono nulla rispetto alla tragica condizione di ostaggio in cui Ife e le compagne si troveranno intrappolate durante il viaggio.

Due premesse: 1, La prostituzione, qui, non è la libera scelta che troviamo in Povere creature! (regia di Yorgos Lanthimos, 2023), un film straordinario che ripercorre tutta la storia dell’emancipazione femminile (occidentale) accanto a quella dell’evoluzione del concetto bi+partisan di umano. Il testo di Rizzo ci porta in una realtà che ci appare molto più “altra” rispetto al mondo fantastico, steam punk e post-surrealista di Lanthymos – e invece quel mondo lì è fantastico, non questo. Questo è il mondo che abbiamo accanto, a pochi passi. È il mondo nostro vicino, che confina con i nostri privilegi e la nostra codardia.

2, Queste donne che diventano schiave senza arrivare a conoscere nemmeno da lontano la libertà agognata, fidandosi giocoforza delle persone sbagliate, non avendo mai alcun potere contrattuale, non possono non ricordarci Io capitano (Matteo Garrone, 2023) che tratta una realtà analoga, sebbene declinata al maschile.

La tematica affrontata, la coincidenza sopra citata, e la centralità della figura femminile nella sceneggiatura come nell’opera tutta di Giorgio Rizzo mi hanno suscitato molte domande, confluite nell’intervista che qui riporto e di cui ringrazio infinitamente il mio interlocutore.

Quando hai scritto questa sceneggiatura, che se non sbaglio è uscita il 18 gennaio 2024?

Il 30 luglio 2020, dopo aver scritto il soggetto alla fine 2019. In tutto avrò impiegato sei mesi circa per scriverla.

L’hai mai mandata in giro, a registi o distributori, o l’hai pubblicata direttamente?

La casa editrice è stata a Torino nel 2021 al Salone del Libro e ha presentato il libro a distributori del settore, oltre che in Lussemburgo dove avevano accettato di finanziarlo per il 50%. Ci siamo poi impegnati a trovare la seconda metà della produzione. Inoltre, il libro è stato letto da Aldo Lado, noto regista scomparso di recente, che l’ha apprezzato e mi ha scritto direttamente per complimentarsi.

Quindi è stata scritta e diffusa ben prima dell’uscita del film di Garrone… questo fa riflettere… speriamo che si faccia anche questo film! Ma tu, che sei un uomo, perché hai scelto di parlare di donne? Perché nella tua arte ci sono tante figure di donna?

Mi è stata proposta una collaborazione per scrivere il soggetto da un collettivo di giovani filmmaker che non riuscivano a trovare l’ispirazione per scrivere una storia come questa. Essendo stato a stretto contatto con gli immigrati, avevo una certa conoscenza dell’argomento. Ho conosciuto una ragazza in particolare che era riuscita a fuggire dalla sua maman e che era ospite di un centro di accoglienza per donne abusate. Mi ha raccontato sommariamente la sua storia, e ne sono rimasto profondamente turbato. Non immaginavo tutto l’inferno che c’è dietro questo mondo. Da lì ho cominciato ad allargare la rete per cercare informazioni più dettagliate. Attraverso altri conoscenti, ho intervistato telefonicamente delle ragazze che si trovavano in Germania e Olanda, le quali mi hanno raccontato quello che era loro successo. Da lì ho studiato tutta la tradizione di Eshu, che è il dio che possiamo paragonare al nostro Satana. Attraverso una cerimonia molto cruda, che ho descritto accuratamente nella sceneggiatura, fa sì che le ragazze stiano sotto ricatto degli stregoni complici delle maman che si trovano in Europa. Da lì comincia il calvario di queste ragazze.

Ma come ti senti come uomo a parlare di soprusi e di violenze contro le donne, violenze che accadono nella fiction e anche nella realtà?

Mi sento in dovere di prendere le distanze da questo mondo di cui si vuole conoscere poco. Si dice che la prostituzione sia il mestiere più vecchio del mondo; già questa frase mi fa ribrezzo, ma posso capirla e sarebbe assurdo pensare di eliminarla definitivamente, perché ci sono situazioni (poche a dire il vero) in cui una donna sceglie di farlo, e in questo caso chi sono io per giudicare? Se c’è una scelta deliberata verso questa vita, non posso che prenderne atto, ma questa non è prostituzione. Questa è una mercificazione di esseri umani, corpi svuotati dell’anima e resi schiavi da un sistema internazionale connivente. Che siano uomini o donne, non importa; è un sistema che tradisce tutti: tradisce il senso civico che dovrebbe essere alla base di una società sana, tradisce l’etica di una persona che pensa di avere il diritto sul corpo di un’altra. Non sono riuscito a inserire tutto quello che avrei voluto all’interno di questo racconto, perché le storie sono immense come il deserto che attraversano. Come uomo, ho sentito il dovere di scrivere questa storia; avrei sperato potesse diventare un film, perché ci occupiamo tanto degli uomini immigrati che arrivano in Italia a "rubarci il lavoro", quello dei campi di pomodori a 40 gradi sotto il sole. Ma hai mai fatto caso che quando si parla delle donne che sbarcano si parla solo delle donne incinte? Come se la gravidanza fosse l’unico stato in cui ci si debba occupare delle donne che arrivano. Abbiamo in Europa una lunghissima tradizione di colonizzazione e soprusi verso gli stati africani e questo di oggi è semplicemente l’effetto di una causa nostra. Ma siamo così bravi a nascondere la polvere sotto il tappeto che ormai non la vediamo più. Ci laviamo la coscienza pagandola con la monetina al semaforo o davanti al supermercato per il carrello, mentre la notte, i sedicenti mariti consumano col naso tappato il fetido desiderio dentro macchine mute che l’indomani accompagneranno i figli a scuola. Lo trovo osceno; per questo ho sentito il dovere di dire la mia, disegnando con le parole la vita di queste donne che ho riassunto in quella di Ife, la protagonista 

Sei illustratore, musicista, attore... Come si colloca questa sceneggiatura nell’ambito della tua attività di artista poliedrico?

Scrivere una sceneggiatura non è come scrivere un romanzo; ci sono delle regole molto rigide sul metodo. Tutto deve essere scritto al presente, perché descrive ciò che lo spettatore vedrà e sentirà sullo schermo. Devo ammettere che all’inizio non è stato semplice, perché non puoi descrivere i sentimenti dei personaggi, ma devi raccontare ciò che si vede. Questa sfida è stata molto interessante e di crescita per me, perché ho ragionato come quando disegno, ovvero ho dipinto le immagini con le parole. Ogni personaggio ha un nome con un significato preciso; Ife, ad esempio, nella religione Yoruba, vuol dire Amore, prosperità. Non dirò altro per non svelare troppo, ma ho trovato questo nome come l’abito adatto per il mio personaggio, che racchiude tutte le donne che ho intervistato e che hanno donato il loro racconto affidandomi il compito dell’ascolto. Quindi, per rispondere alla tua domanda, scrivere una sceneggiatura è come dipingere con gli occhi e sfumare con le parole un quadro

Come viene accolta la tua arte?

La mia arte... Solo pronunciare queste parole mi rende piccolo piccolo. Non per una falsa modestia, ma la parola "arte" per me è come il nome di una sorta di divinità, uno stato altro della coscienza al quale ho il privilegio di attingere. Mettersi al cospetto dell’arte significa rendersi conto che quello che crei non è tuo, ma che sei un mezzo attraverso il quale questa forza immensa guida la visione intima delle cose. Mi chiedi come viene accolta, credo e spero bene; durante le mie mostre, io non amo spiegare i quadri, perché un disegno, un dipinto o un segno ha il compito di rilasciare un’emozione, come un aroma. A prescindere se corrisponde al mio pensiero, l’importante per me è che risvegli la percezione e stimoli i sensi anche se lontani dai miei. Ogni vista è soggettiva; la bellezza dell’animo umano è che è unico, quindi come potrei pretendere che il mio segno arrivi allo stesso modo? Solo le opere d’arte lo fanno, e non sono molte quelle conosciute da tutti allo stesso modo.

Un’ultima domanda: hai mai sperimentato censure?

Sì, certo, sono stato censurato nelle illustrazioni che ho realizzato per il libro Solo per i tuoi occhi. Ho sempre dipinto il corpo femminile, sin da ragazzo, e anche allora veniva confuso per un accesso di testosterone adolescenziale o foga ormonale. In verità, la mia era la ricerca della bellezza. Sono stato per oltre vent’anni un musicista percussionista che ha lavorato molto con la danza; questo in qualche modo è stato il mio modo di ammirare le linee della bellezza in movimento, il suono che genera l’onda delle linee in armonia. Bernini, Michelangelo, Botticelli, Canova, Monet, Degas, Klimt, Goya, la lista potrebbe essere infinita. Anche loro hanno inseguito la linea morbida e potente della bellezza e io sono cresciuto studiando le loro immagini e la loro tecnica, perdendomi tra i pieni e i vuoti di quelle sfumature, delle tracce dei pennelli. Il messaggio di un quadro è soggettivo; ognuno riceve ciò che gli occhi fanno passare. Banniamo e censuriamo dei disegni e poi giudichiamo una donna per la lunghezza della gonna o l’altezza dei tacchi? Mi pare una cultura schizofrenica, di cui molti altri più preparati di me hanno ampiamente parlato. La censura c’è sempre stata; quanti sacerdoti commissionavano dipinti per le loro stanze segrete? Crepax, Manara, dovevano vestire i loro fumetti. Io sono cresciuto nel periodo di lancio story, Lando, passati dai cugini o amici più grandi. L’erotismo un tempo era l’educazione sessuale che non aveva nulla di peccaminoso ed era comunque utilizzata dagli stessi censori; nulla di nuovo all’orizzonte. Il punto diverso di oggi è che a giudicare cos’è giusto o meno è un algoritmo educato da programmatori che hanno culture lontane dalla globalizzazione. Pur esistendo molte donne professioniste programmatrici informatiche, chi si occupa di programmare l’intelligenza artificiale è per l’89% uomini, provenienti da paesi lontani dalla cultura europea. Il sistema è fallace. Non uso il termine a caso, perché quest’intelligenza artificiale, per quel che riguarda i social, è misogina e poco obiettiva. Negli statuti dei social c’è scritto che i dipinti o le sculture non sono sottoposte a censura, ma l’intelligenza artificiale non è sempre n grado di distinguerli.

Ringraziamo ancora Giorgio, augurando buona fortuna al suo libro – futuro film? – che tanto vorremmo vedere e sentire prender vita nelle sale cinematografiche oltre che nelle librerie.


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