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Favole di Natale

Piccole fiammiferaie in rivolta

di Pina La Villa - giovedì 30 dicembre 2004 - 5289 letture

Favole di Natale

Segnalo, senza commento, alcune cose che ho letto in questi giorni. Provengono tutte da donne (sarà un caso?) e mi sembrano tutti segnali positivi di una salutare insofferenza (che condivido).

Il post di Lia. Lia è l’autrice di un blog che qui ho segnalato varie volte (www.ilcircolo.net/lia). Lia è un’insegnante che ha deciso di lasciare Milano per Il Cairo, dove insegna e osserva, affascinata dalla civiltà e dai posti in cui abita. In questi giorni di Natale è tornata a Milano. Subito è stata subissata dalle richieste inique della Wind (pagamenti per un servizio che non ha avuto) e ha scritto un post in cui parla della povertà che ha trovato a Milano. Fa dei confronti con la povertà in Egitto, confronti eretici, ma le differenze sono illuminanti:

"La vicinanza, innanzitutto: in Egitto, i poveri sono sempre "gli altri". In Italia vedo impoverita buona parte della gente che conosco e avverto una fatica e un pessimismo più profondi di quelli che ricordavo. E le diverse aspettative: che Milano sia una città che spinge a una vita da pazzi non lo dico solo io, ma vedere accumularsi i debiti e le rate sulle spalle di gente che è arrivata al massimo della propria capacità di lavoro e che ritiene giusto potersi permettere un tenore di vita di pura e semplice borghese dignità fa un po’ impressione: essere più povero di tuo padre e di tuo nonno lavorando il doppio vuol dire, semplicemente, che potrai dare ai tuoi figli meno di quanto sia stato dato a te. E non ne capisci il motivo, ti pare un’ingiustizia cosmica. Non hai nemmeno fatto nulla di male per meritartelo. E ti ribelli, quindi, e ti indebiti. Io la vedo diffusa, questa malattia".

E ancora.

"Però, qui in Italia, sembra che l’unico povero sia tu e che lo sia per espiare una colpa, o perchè ti è toccata un’ingiustizia insensata. Povero, poi: povero con la pelliccia e il telefonino e la macchina nuova. Ma povero perchè in rosso, alla mercè delle banche, di un lavoro che puoi perdere in un attimo o di uno stipendio con cui compri sempre meno. Precario, precarissimo, e pieno zeppo di desideri che poi, qui, sono bisogni. Magari giustamente, santo cielo. I miei studenti egiziani usano per quaderno le vecchie agende e indossano camicie vecchie di dieci anni e pantaloni dignitosi e lisi, ma non si sognano minimamente di vergognarsene. Non sono soli. Qui è diverso, qui non puoi.

C’è una cosa che non smette mai di colpirmi: se io entro in un supermercato affamata, in Egitto, ne esco con la stessa spesa che avrei acquistato andandoci satolla. Se mi vendono melanzane, farina e scatolette, solo quello posso comprare. Che sia in vena di sfizi o no. In Italia sembrano il paese delle meraviglie, i supermercati (e gli autogrill, le panetterie, i negozi più banali) e se non stai attenta ci lasci un patrimonio, in cazzate che poi ti pentirai di aver comprato. Ti induce a reprimere desideri dalla mattina alla sera, l’Italia, o a soccombere ad essi e, piano piano, a rovinarti. Se non sei abbastanza forte economicamente, o abbastanza protetto, abbastanza garantito. Se sei una donna sola, per esempio. O, peggio, con figli. Se sei un anziano. Se sei uno a stipendio fisso che l’euro lo nota in uscita ma non in entrata. Se sei un prof di scuola, banalmente, o una prof senza un marito che le finanzi il lusso di insegnare. Se sei uno di questi, vivi in un paese in festa che non ti lascia entrare. Il Piccolo Fiammiferaio, sei, e certo è amareggiante. E poi è umiliante e non lo dici manco a te stesso, appunto. E ti indebiti. Appunto. I nuovi poveri non vivono una condizione condivisa, mancano di ciò che una volta si chiamava coscienza di classe. Credo. Mi ricordano piuttosto i sieropositivi di un tempo, a dirla tutta: sieropositivi economici, con un segreto da non dare in pasto a un mondo cattivo. Eppure sono una legione, a voler guardare bene. Come i sieropositivi, appunto.

Deve essere la questione della condivisione dei problemi e dei bisogni, ciò che mi turba: se in Egitto mi pare di assistere all’epopea drammatica di un paziente popolo di descamisados in gallabiya, qui mi sento in un alveare zeppo di piccole storie che iniziano bene e finiscono malissimo, col finale più triste che c’è".

Non so se servirà a combattere questo mancanza di condivisione dei problemi o di coscienza di classe. Certo è che l’iniziativa di Eugenie Harvey - il secondo spunto per questi segnali - ha come obiettivo sconfiggere l’isolamento introducendo nelle nostre abitudini alcuni correttivi.

Eugenie Harvey, australiana , trentacinquenne, esperta di marketing per una ditta londinese, nel marzo del 2003 seguì una conferenza organizzata per il personale della ditta per cui lavorava. David Robinson,presidente di un’associazione di beneficenza di Londra, Community links, parlò delle cause e delle conseguenze dell’isolamento degli individui. "Robinson ha spiegato che i nostri genitori avevano otto volte più probabilità rispetto a noi di far parte di un’associazione. Oggi l’affluenza alle urne è scesa del 20 per cento, la militanza in partiti politici dei due terzi. Quando c’era il razionamento alimentare , la gente era più soddisfatta della vita di quanto lo sia oggi. L’aumento dei consumi non ci ha reso più felici". Eugenie era in quel periodo alla ricerca di qualcosa di più importante da fare nella vita che seguire le pubbliche relazioni per la sua ditta e questo discorso la colpì, ma Robinson le diede anche l’idea giusta, parlando del potere del logo e della pubblicità nel sistema capitalistico e invitando "il pubblico a immaginare un modo di usare quel potere per invertire il calo dell’impegno sociale, specie fra i giovani". La domanda a quel punto fu: "possiamo applicare questo modo di pensare a qualcosa di necessario, come il cambiamento sociale e l’impegno?" La risposta fu si, anzi "Di colpo ho capito che potevo davvero fare la differenza. Potevo usare le mie competenze nel ramo delle relazioni pubbliche per fare qualcosa di cui essere orgogliosa". Eugenie lasciò il lavoro e lavorò come volontaria per community links per quattro mesi insieme a un’altra ragazza. Il risultato fu un libro - Change the world for a fiver - 50 simple actions to change the world and make you feel good (In Italia lo si può trovare nelle librerie Feltrinelli International, ma si può comprare anche su Amazon.com - nato per lanciare il movimento We are what we do (siamo quello che facciamo). Dietro c’è l’idea di aiutare le persone a tradurre in realtà una frase del Mahatma Gandhi: "Siete voi il cambiamento che volete vedere nel mondo". Lo scopo del movimento, del marchio e del libro? "Non ci interessa raccogliere fondi: ci interessa far capire il potere di un semplice cambiamento degli atteggiamenti e dei comportamenti quotidiani. Invitiamo tutti a dar vita a una comunità di tipo nuovo, fatta non di persone che aderiscono e basta , ma di persone che pur agendo in modo indipendente sono sotto una stessa bandiera e cercano di dare una risposta alle domande che tutti ci facciamo".

Alcune delle 50 piccole cose:

6. Usa i trasporti pubblici:un autobus a due piani trasporta lo stesso numero di persone che entrano in 40 automobili. E anche se non lo prendi circola lo stesso. (Per Catania però va fatta contestualmente una richiesta al comune: gli autobus sono troppo pieni, occorre metterne di più e organizzare meglio il servizio). 15: Registrati online come donatore di organi. In Italia: www.daivaloreallavita.it/int_diventadonatore.html. 17: Guarda meno la Tv. Accendi il televisore soltanto quando sai quale programma vuoi guardare. 18: impara delle espressioni amichevoli in una lingua straniera. 23: Mangia più spesso in compagnia 25: usa una tazza e non un bicchiere di plastica. 28: Cogli l’attimo. Cerca di essere d’ispirazione a chi ti circonda dando il buon esempio e incoraggiando gli altri. 30: Prepara un dolce per un amico. 32: Fai qualcosa che credevi di non saper fare. 33: Ricicla i tuoi libri. Prestali a un amico o regalali. Un libro usato vale quanto uno nuovo, e avrai risparmiato un po’ di carta. 34: Compra i prodotti del commercio equo e solidale. Sono più convenienti e garantiscono condizioni di lavoro dignitose e condizioni commerciali eque agli agricoltori dei paesi in via di sviluppo. 35: Scrivi alle persone che ammiri. Elogiare qualcuno perché ha fatto qualcosa di bello lo incoraggerà a farlo di nuovo. 36: Dedica un po’ di tempo ad ascoltare gli altri. Non devi risolvere i problemi del prossimo, basta che gli dai la possibilità di esporli. 37: Cedi la precedenza almeno una volta quando ti sposti in automobile. Combatti l’aggressività al volante lasciandoti superare dagli altri automobilisti. 48 : Invia all’autrice del libro un’idea per altre azioni da fare. Falle sapere che cosa vorresti che facessero un milione di persone: lei saprà far circolare le tue proposte. 49: Impara cose nuove, fai cose nuove. Diffondi le idee che secondo te lo meritano, mettendole in atto ma anche parlandone con altre persone. 50: Fai qualcosa gratuitamente". (Appunti da un articolo di Stuart Jeffries su The Guardian, ripreso da Internazionale, n. 571,23-29 dicembre 2004)

Per quanto mi riguarda la mia azione positiva è segnalare quanto di buono e interessante vedo in giro. E in giro oggi c’è l’articolo di Paola Fagone sul natale sabbatico, su Girodivite del 29 dicembre 2004, e la risposta di "suocera asociale", non meno interessante. Ma questi vi invito a leggerli direttamente su www.girodivite.it


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> Favole di Natale
7 febbraio 2005, di : francot

risposta a Eugenie Harvey.

Gia’ lo faccio di risparmiare acqua, benzina, elettricita’.

Vado in bicicletta. L’autobus non lo prendo, perché e’ un servizio che dovrebbe essere soppresso del tutto; negli anni 60, quando si scelse la motorizzazione privata al trasporto pubblico, sotto la guida di Valletta, amministratore delegato della FIAT, e quella della DC, il servizio pubblico venne dimenticato. Ora a Genova siamo ridotti a 800 autobus, che dovrebbere sostituirsi alle 500.000 auto dei Genovesi; forse e’ arrivato il momento di eliminare gli autobus del tutto, per risparmiare.

I consigli della Harvey sono mistificazioni.