Nasce l’industria del fotoromanzo
Mai come in questo scorcio di dopoguerra si crede nella funzione pedagogica dei prodotti popolari, si cerca la sperimentazione, si osa" (Anna Bravo, Il fotoromanzo)
Nasce l’industria del fotoromanzo
Futuro protagonista del cinema d’impegno degli anni Sessanta e Settanta, Damiano Damiani è l’autore più rappresentativo della vena neorealista cui si ispirano i primi fotoromanzi.
Mai come in questo scorcio di dopoguerra si crede nella funzione pedagogica dei prodotti popolari, "si cerca la sperimentazione, si osa" [1]
Ne L’eterna canzone, (1947) il protagonista è Giovanni, un "cavatore di marmo della Versilia", che si ribella alle vecchie idee del padre e va a fare l’autista a Livorno, dove sposa il suo amore Stella. Ma allo scoppio della guerra è richiamato e finisce a combattere in Africa; qui, ferito e poi curato dagli alleati, capisce dove stanno il bene e il male, e passa dalla loro parte. Incaricato di una missione, torna in Italia con la V armata e cade nelle mani dei tedeschi. Intanto il bambino che Stella ha avuto si ammala così gravemente che può salvarlo solo la penicillina, e lei va a chiedere aiuto ai partigiani; scambiata per una spia, è imprigionata. Sfuggito ai tedeschi un attimo prima di essere fucilato, Giovanni arriva a liberarla e a chiarire tutto: «ancora insieme, riuniti per sempre», recita la chiusa, mentre alla radio una voce annuncia la fine del conflitto.
Che a plasmare la storia siano le leggi del fotoromanzo o le idee del regista, certo è che L’eterna canzone "riproduce i topoi del neorealismo“ [2]
Nel 1947 la guerra era appena finita, l’Italia era povera, le persone sapevano leggere poco. Il fotoromanzo presentava storie semplici ma coinvolgenti, l’amore e l’avventura erano al centro delle trame e i personaggi risultavano positivi, sempre belli, eleganti. La gente si rifugiava in quelle storie per evadere dalla realtà dell’epoca e proiettarsi in un mondo bello e pulito, quello che un giorno sperava di poter realizzare.
Nel 1946 era comparsa nelle edicole la rivista «Grand Hotel»: proponeva cineracconti o cineromanzi, storie melodrammatiche e romantiche realizzate a fumetti e così chiamate perché si ispiravano a film italiani e statunitensi; il periodico riscosse grande successo nell’Italia del secondo dopoguerra e questo portò alla nascita di giornali simili come “Bolero Film” e “Il mio sogno”. Su queste due testate, furono pubblicati quelli che poi diverranno noti come fotoromanzi, ovvero dei cineromanzi nei quali i disegni erano sostituiti dalle fotografie che riproducevano le diverse scene funzionali al racconto della trama.
Dall’Italia poi il genere si diffuse in Francia, in Spagna, in Portogallo, in Grecia, in Belgio, nei Paesi ispanoamericani e in Brasile.
Inizialmente i costumi e gli ambienti erano molto approssimativi, ma in seguito si resero necessarie scenografie create all’interno di appositi teatri di posa. C’erano poi il montaggio, il fotomontaggio, la cura della fotografia a volte ritoccata, la stampa su carta adatta.
Nasce così una vera industria del fotoromanzo
Il primo fotoromanzo fu pubblicato su “Bolero Film” il 25 maggio 1947.
A idearlo furono Luciano Pedrocchi, direttore del rotocalco della Mondadori, Cesare Zavattini, che firmò le prime storie, e Damiano Damiani.
Altri autori delle storie furono il giornalista Stefano Reda e la scrittrice di romanzi rosa Luciana Peverelli.
Nel 1958 Bolero Film arrivò a vendere 2 milioni di copie.
- Bolero Film - copertina, numero 14 del 24 agosto 1947 - fonte: http://www.arabeschi.it/tag/bolero-film/
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