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Duello all’ultimo sangue

Attenti italiani, qualcuno ci fa credere che siamo un popolo di sciocchi! I confronti TV tra il serio e il reality.

di Paola Fagone - domenica 19 marzo 2006 - 3719 letture

In principio fu Vittorio Sgarbi. Lasciò tutti esterrefatti e abbandonò il palcoscenico del Maurizio Costanzo Show. Da quel momento in poi in televisione è capitato di tutto, dalle parolacce, alle sberle, dai calci onorevoli, agli abbandoni annunciati. Quando la televisione italiana annovera queste pagine di infimo spessore vuol dire che la questione è seria e gli argomenti del contraddittorio (l’ultima parola di moda) sono audaci e appassionati. Il siparietto di Lucia Annunziata, giornalista, e Silvio Berlusconi, Presidente del Consiglio, non è stato che l’ultimo, non solo in ordine di tempo, delle trovate televisive che fanno ascolti clamorosi (un picco del 18,54% di share, per un equivalente di 3,7 milioni di spettatori, un mini Sanremo alle 14 del pomeriggio) e che vedono personaggi più o meno noti farsi la guerra ed insultarsi.

Analizzando tecnicamente la puntata, bisogna notare alcune importanti particolari. Entrambi i convenuti erano poco predisposti al confronto. Per i motivi che sappiamo, per gli inevitabili risvolti che ha poi prodotto il confronto stesso. Questo atteggiamento aveva già in parte pregiudicato il buon esito della puntata. Ma bisogna lavorare per campare, quindi via libera al confronto pepato tra giornalista e politico. L’Annunziata è una brava giornalista, una di quelle toste che mandi alle guerre, che sopravvive ai cecchini e ai kamikaze. Il Presidente del Consiglio, a suo modo, pure. Il siparietto della domenica pomeriggio italiana ha di gran lunga superato in qualità quello dei grandi fratellini litigiosi di Buona Domenica.

Ma i fratellini litigiosi non sono giornalisti, ne ambiscono a diventare presidenti del consiglio. Fatte queste premesse, è facile intuire come nella televisione italiana ci sia il tentativo di mischiare i generi, gli argomenti, i contesti, per arrivare ad un unico risultato, scuotere lo spettatore appisolato dopo pasto abbondante. Altro che scenari di guerra, l’intervista-scontro dell’Annunziata verrà studiata nelle Università per fare capire come non si fa quel giornalismo televisivo. Senza entrare nel merito del discorso, senza schierarsi a favore o contro, bisogna evidenziare come entrambi i convenuti abbiano avuto delle autentiche cadute di stile. La giornalista nell’incalzare, il presidente nell’abbandonare una signora, anche se non proprio attraente, in una sorta di coito interrotto mediatico.

Al ritmo serrato di un interrogatorio, la singolare tenzone non poteva finire a sberle o sputi in faccia, ma con l’abbandono del campo di almeno uno dei due. Così è stato. Ma che scenario pietoso. Che modo di fare televisione, (rimpiango la coscia lunga della Lecciso). Eppure il discorso è serio e merita una riflessione. Siamo in par-condicio. Quindi, entrambi dovevano abbandonare lo studio televisivo. Anzi, la puntata non doveva essere mandata in onda. Per educazione, per rispetto del pubblico pagante che, sarà abbioccato, ma non è sciocco e distingue una intervista dal più classico dei “civitoti in Pretura” che saturano il mercato televisivo. Lasciamo le scene melodrammatiche ai reality. Dove nessuno si scandalizza se le grandi sorelle si accapigliano, ripeto, queste non saranno mai ministre e non ci rappresenteranno in parlamento.

In queste settimane si parla tanto di esternazioni politiche del Corriere della Sera, che facendo outing (va di moda anche questo termine, significa venire fuori) dichiara le preferenze politiche e l’indirizzo editoriale intrapreso. Non so cosa pensare. E’ davvero necessario far sapere a tutti per quale o non quale partito si tifa? Anni fa si parlava del segreto dell’urna. Non bisognava dare l’impressione di essere schierati. Solo i veri combattivi scendevano in piazza e in qualche modo esprimevano le loro preferenze politiche. Erano cose riprovevoli, ma da una molotov o da un pestaggio di gruppo si poteva capire quale orientamento politico intraprendevano i tizi in questione. La storia non ci ha insegnato nulla, sostiene qualcuno. Le guerriglie urbane, le violenze televisive, le battaglie medianiche fanno venire nostalgia di quelle noiosissime tribune politiche in bianco e nero. I politici ingessati, parlanti del loro politichese astruso, facevano pensare che la politica era una cosa seria, tanto seria da meritare un linguaggio incomprensibile, codificato da un mediatore professionale e asettico.

Magari fortemente colluso con le logiche partitiche di redazione, ma incapace di esprimere un solo segno di approvazione o diniego rispetto alle tematiche affrontate. Il Codice Deontologico relativo all’esercizio dell’attività giornalistica dice chiaramente all’art. 9 (legge 675/96) che “nell’esercizio del diritto-dovere di cronaca, il giornalista è tenuto a rispettare il diritto della persona, alla non discriminazione per razza, religione, opinioni politiche, sesso, condizioni personali, fisiche e mentali”. Partendo dal presupposto che Berlusconi è di razza bianca, cattolico no praticante, forzista per forza, maschio, anzi galantuomo, ricco sfondato, belloccio e con un quoziente intellettivo nella media, la giornalista doveva in qualche modo attenersi alla norma vigente. Ritornando seri, le norme prescritte si applicano, nell’ambito delle sanzioni disciplinari ai “giornalisti professionisti, pubblicisti, e praticanti, e chiunque altro, anche occasionalmente, eserciti attività pubblicistica (art. 13 L. 675/96). Le scene ad effetto lasciamole dunque ai programmi di varietà.

Il giornalismo serio lascia le opinioni personali, nella redazione politicamente schierata, dove qualunque pinco pallo possa sentirsi rappresentato e, pagando il giornale, possa godere delle stilettate giornalistiche contro un ipotetico avversario politico. Il servizio pubblico televisivo, non può permettersi di schierarsi così apertamente e in modo così poco etico, giornalisticamente parlando. La professionalità impone inoltre, un certo protocollo nei confronti di una così alta carica dello Stato. Non ci si rivolge con arroganza nemmeno al più efferato dei criminali accertati. Così impone l’etica professionale, allo stesso modo è estesa ai professionisti navigati del mondo televisivo.

Il pubblico italiano è stanco di sentirsi trattato come un astenico da rinvigorire con dosi di sceneggiata napoletana. Le opinioni non si impongono, nascono spontanee e sono frutto di una corretta informazione. Smettiamola di imitare i modelli anglosassoni, inglesi e americani, di campagne elettorali a suon di colpi bassi. Noi siamo italiani e la civiltà gli americani e gli inglesi tentano di impararla dalla nostra storia, anche politica. Ritorniamo ad una televisione del buonsenso, educativa e capace di trasmettere modelli positivi ai giovani sempre meno interessati alla politica urlata, priva di contenuti ed elemosinante di attenzioni.

Dall’altro canto, bisogna anche dire che galateo impone di non lasciare mai una stanza, senza il permesso di una signora.


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