Del carcere e delle sue pene

Il carcere può essere il luogo e lo spazio della vendetta pubblica? A cosa serve il carcere? Qual è la realtà del carcere? Ne parliamo a partire da un libro di Bortolato e Vigna.
Il carcere può essere il luogo e lo spazio della vendetta pubblica? La domanda nasce spontanea dopo aver letto Vendetta pubblica. Il carcere in Italia, appena pubblicato da Laterza a firma di Edoardo Bortolato e Marcello Vigna. Un libro importante e significativo da porre al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica nel modo quanto più ampio possibile e su cui è necessario continuare a confrontarsi e riflettere, interrogandosi con intelligenza.
A cosa serve il carcere? Come ci si sente, come si sta in carcere, ristretti in spazi che limitano e pregiudicano la mobilità?
- Copertina libro Vendetta pubblica di Marcello Bortolato e Edoardo Vigna - Laterza 2020
L’istituzione carceraria è importante per l’evoluzione e il buon funzionamento della democrazia e non la si può relegare ai margini, dimenticata, ignorata per lo più, tra il silenzio e l’indifferenza, salvo a riprenderla in considerazione, di tanto in tanto, sotto l’onda emotiva dei fatti di cronaca.
Bortolato, che è stato Presidente del Tribunale di sorveglianza di Firenze dal 1990 al 2017, nel suo parlare pacato e circostanziato, fa tesoro della propria esperienza e, del lavoro svolto, analizzando con cognizione di causa la complessità della realtà carceraria e delle contraddizioni sostanziali che la caratterizzano, in rapporto con la società.
Molti luoghi comuni e stereotipi vengono così sfatati, in modo concreto, a partire dai numeri che riguardano il mondo carcerario.
“Al 30 aprile 2020 i detenuti in Italia sono 53. 904, di cui 37. 098 (poco più di due terzi) in carcere per una condanna definitiva: la popolazione di una città come Siena o Avellino. Sono 89,36 persone ogni centomila abitanti, una ogni mille. Tanti pochi? In Francia sono 103 ogni centomila (una ogni 966), in Germania sono 77,5 ogni centomila (una ogni 1.290)”.
Alla luce della sua lunga esperienza professionale, Bortolato, da magistrato che riflette sulle funzioni del proprio operato, arriva a sollevare la questione dell’inutilità del carcere, cosi come oggi esso si presenta, poiché nei decenni si è assistito a una vera e propria involuzione di tanti “buoni propositi”. L’articolo 27 della Costituzione che al comma tre sottolinea la pena detentiva come rieducativa per il reinserimento nella società è stato disatteso. Non si tiene conto che il carcere rimane il luogo di reclusione e di esclusione degli ultimi, mentre il populismo generalista focalizza l’attenzione sui “cattivi” che hanno fatto del male e per questo devono “pagare” e “pagare a caro prezzo”. Il carcere in quanto istituzione generata dalla società civile non può essere ignorato negli effetti che determina, pena il rappresentare una sconfitta per la giustizia.
Già il professore Umberto Veronesi sosteneva l’insensatezza dell’ergastolo, nel fissare una pena eterna, senza tenere conto di come l’individuo cambi si trasformi nel corso degli anni, nel corpo e nella mente; un dato visibile a tutti e inoppugnabile dal punto di vista scientifico.
Ma qual è la realtà del carcere? Spesso del carcere abbiamo una informazione e una conoscenza più che limitata distorta e che non corrisponde per niente alla realtà. Se si guarda alla realtà dei numeri scopriamo un mondo del tutto diverso da quello che percepiamo. “… coloro che scontano l’ergastolo sono il 4,4 per cento dei condannati, in confronto del dato europeo del 3,5, che le condanne fra i diciannove e i venti anni riguardano il 17 per cento dei detenuti con condanna definitiva, sei punti in più della media dei Paesi europei, mentre quelli che hanno una pena fra i cinque e i dieci anni sono il 27 per cento, contro il 18 del resto del continente. Vuol dire che in Italia si rimane in carcere di più”.
Offuscati dalla narrazione di fatti di cronaca cruenti ed eclatanti, enfatizzati dai mass media (che sono l’eccezione e non la regola), corriamo il rischio di finire anche noi, trascinati nel buio della ragione, vittime del male di ritorno che nella richiesta solo di punizione e vendetta, è capace, incatenati al passato, di generare e riprodurre soltanto il male. Se il trionfo della giustizia passa attraverso il valore della pena questa deve avere una funzione primaria di ravvedimento e recupero.
La gran parte di coloro che finiscono in carcere si riconoscono e si ritrovano nell’essere accomunati da storie di vita il cui destino sembra essere segnato sin dalle origini, a partire dalla provenienza familiare, che si traduce in deprivazione economica, sociale, culturale e una volta scontata la pena c’è sempre il rischio concreto di ritrovarsi ai margini della società e reiterare i reati commessi.
La certezza della pena deve rispondere alla logica di impedire i reati per prevenire i crimini e garantire sia la sicurezza che la convivenza civile, ma da sola non basta. La popolazione carceraria non può essere abbandonata a se stessa, con il rischio, sempre presente, che il carcere arrivi a rafforzare i comportamenti criminali. La pena deve contribuire a una presa di coscienza degli errori commessi e innescare dei processi di recupero validi, a partire dal pieno riconoscimento delle proprie responsabilità. Il carcere non può risultare fonte di ulteriore imbarbarimento.
Bisogna far capire l’importanza di migliorare l’istituzione carceraria, a partire dalle fondamenta, tenendo conto che le carceri italiane sono sovraffollate. “… i reclusi nei 190 istituti penitenziari italiani sono circa ottomila in più rispetto ai 50.714 posti disponibili”.
Attraverso quali processi si può arrivare a dei cambiamenti significativi? Le misure alternative al carcere, sperimentate nel corso degli anni, sono un’importante conquista e se finalizzate, con adeguati programmi di recupero, portano a ottenere dei risultati importanti. Sono la chiave per ridurre in primo luogo il sovraffollamento e favoriscono la vita dopo il carcere. Nel 2017 il 68 per cento di chi ha scontato la pena in carcere è tornato a commettere reati, contro il 19 per cento di chi ha avuto accesso alle misure alternative. La prevenzione deve passare attraverso una adeguata formazione dei soggetti chiamati attivamente a svolgere il proprio ruolo, all’interno dei vari ordinamenti, sotto la veste delle diverse figure professionali e istituzionali, tali da essere concretamente operativi, in vista di un fattivo reinserimento dei detenuti nella società civile.
La detenzione, dove la dignità della persona va sempre difesa, nel rispetto dell’essere umano, non può essere vissuta passivamente. Il carcere si deve saper aprire alla società, senza vedere tra l’uno e l’altra una separazione o una contrapposizione conflittuale.
La trasformazione passa attraverso il convincimento del possibile e necessario cambiamento in meglio, da acquisire quotidianamente, grazie al coinvolgimento in azioni positive di crescita sia individuale che collettiva. I principi di gerarchia e il controllo disciplinare non bastano e i risultati ottenuti dalla detenzione carceraria, alla luce dei fatti, in termini di pacificazione con la società civile si rivelano del tutto inadeguati e insufficienti. Uno dei principi educativi fondamentali è il richiamo alla consapevolezza degli errori commessi nell’aver infranto la legge.
Sono i percorsi di formazione che permettono di avere una possibilità di impiego dopo aver scontato la pena.
Conviene costruire nuove carceri o investire sulla funzione rieducativa della pena e portare avanti delle misure valide per il reinserimento sociale?
Vendetta pubblica : Il carcere in Italia / di Marcello Bortolato ed Edoardo Vigna. - Laterza, 2020. - (Saggi Tascabili Laterza ; 443). - ISBN: 9788858141212.
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