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Caso Ingemi: ecco chi lo ha catturato

Ingemi ammanettato da Ceraolo, avrebbe trascorso questi mesi di latitanza proprio nella città di Agrigento tra un pasto alla mensa dei poveri e l’insegnamento dell’italiano ai bambini stranieri.

di Tiziano Granata - mercoledì 3 novembre 2010 - 5657 letture

“Finiu a pacchia”. Commenta così un’amica, sulla pagina personale di Facebook di Fabrizio Ingemi, l’ex bancario della Banca Carige di Capo d’Orlando, in provincia di Messina, latitante da 243 giorni, dopo aver prosciugato di quasi 6 milioni di euro i conti di numerosi clienti. Ma in realtà, al contrario di come pensavano tutti quelli che lo immaginavano e lo cercavano, non era all’estero nella pacchia di un’isola caraibica a sorseggiare cocktail, ma ad Agrigento a vivere per strada come un clochard.

Dopo mesi di indagine tecnologiche e intercettazioni, la svolta si è avuta con i tradizionali mezzi di investigazione: quella della classica notizia confidenziale All’individuazione e alla cattura di Ingemi è arrivato il Vice Questore Mario Ceraolo Spurio, un investigatore addestrato a lavorare alla vecchia maniera, capace di collegare e sviluppare un indizio anche vago e incerto come quello della presenza di un individuo strano, arrivato da poco e un po’ eccentrico.

Il Dott. Mario Ceraolo è originario di Piraino ed ha alle spalle un curriculum di tutto rispetto. Entra in polizia da Ispettore e subito viene mandato al Commissariato di Polizia di Capo d’Orlando dove si specializza in contrasto alla criminalità organizzata. Negli anni Novanta, la Cosa Nostra dei Nebrodi è forte e si fa sentire con attentati, omicidi e il racket delle estorsioni. A Capo d’Orlando nasce la prima associazione antiracket d’Italia.

Mario Ceraolo diventa subito un esperto nella cattura di latitanti mafiosi. Con astuzia, intuito e intelligenza insieme alla sua Squadra riesce a smantellare il gruppo di fuoco dei tortoriciani catturando diversi latitanti della malavita organizzata dei Nebrodi del calibro di Galati Giordano Orlando detto “Nino u’ssuntu”, capo dell’omonimo clan mafioso tortoriciano, Bontempo Scavo Antonino detto “cunigghiu” per la sua abilità a correre, Laurendino Bernardo “Nando il palermitano”, Bontempo Gino, Destro Pastizzaro Salvatore “Sebastiano”.

Tra i numerosi arresti eseguiti dal dr. Ceraolo emerge anche quello di Liotta Gregorio affiliato al clan dei Bontempo Scavo, citato nel libro di Luciano Violante “Non è la piovra – dodici tesi sulle mafie italiane”, (pag. 128-129), nel corso del quale vennero rinvenuti, per la prima volta, i codici di comportamento e le formule di affiliazione alla mafia. Il suo lavoro ha permesso di ridimensionare il ruolo della potente mafia barcellonese e tortoriciana fino a toccare le più alte sfere dei colletti bianchi dei Nebrodi.

Successi che sono stati premiati con il più alto riconoscimento dal Ministero dell’Interno ma che hanno determinato anche una lunga corsa ad ostacoli tra inchieste giudiziarie, calunnie e campagne di delegittimazione, dalle quali ne è sempre uscito pulito dimostrando la propria onestà e il forte attaccamento alle Istituzioni.

Mentre insegue latitanti si laurea in giurisprudenza con 110 e lode e vince il concorso da commissario di Polizia classificandosi primo in graduatoria. Dopo diversi incarichi a Roma e a Catania, viene designato alla guida dell’Ufficio Prevenzione Generale della Questura di Messina che, attualmente, dirige.

Ingemi ammanettato da Ceraolo, avrebbe trascorso questi mesi di latitanza proprio nella città di Agrigento tra un pasto alla mensa dei poveri e l’insegnamento dell’italiano ai bambini stranieri. Ma dei 6 milioni di euro ancora nessuna traccia. Intanto le indagini continuano, condotte dal Dott. Castello del Commissariato di Capo d’Orlando, che in questi giorni sta interrogando Ingemi insieme al Procuratore Capo di Patti, Rosa Raffa.

L’obiettivo è capire che fine hanno fatto i soldi spariti e se vi sono altri complici alle spalle di Ingemi.


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