La storia de "I Siciliani" continua
dopo la chiusura del 1986, agli inizi degli anni Novanta.
Il contesto è, ancora una volta, quello della ripresa
della lotta antimafia dopo la morte di Falcone e Borsellino
e dopo le stragi del 1993.
Occorre sottolineare, per capire alcune delle vicende politiche
dell'isola in questo periodo, la forza ideale del movimento
antimafia. L'indignazione dei ceti medi colti sembrò
quasi una riscossa, una nuova stagione di impegno politico
si apriva al di fuori dei partiti e l'elezione diretta del
sindaco sembrò essere l'opportunità perché
questa riscossa della cosiddetta "società civile"
trovasse finalmente la sua espressione e potesse cambiare
radicalmente le regole del gioco.
Così almeno apparivano le cose ai giovani che si
avvicinavano al gruppo de "I Siciliani" nei primi
anni novanta.
In Sicilia con la morte di Pio La Torre - che aveva animato
una lotta antimafia che aveva agganci nazionali - si ha
la perdita del ruolo antimafia del PCI. L'antimafia diventa
(torna a essere) quella del Centro Impastato e dei gruppi
di "testimonianza" [35].
Tuttavia esistono elementi che incrinano
un quadro altrimenti monolitico. Ennio Pintacuda, sulla
strada della teologia della liberazione, il segno che l'uccisione
del democristiano Piersanti Mattarella non era stato che
il tentativo di tappare il dilagare di una falla nel "muro"
cattolico. La nascita della Rete con Leoluca Orlando è
il primo tassello di questo quadro di mutamento. Poi c'è
l'incontro fra l'anima cattolica e quella di sinistra. Accomunati
dalla ideologia del radicalismo come unica possibilità
di nettezza nei confronti delle attitudini al trasformismo
in atto.
Nel 1986 i giornalisti de "I Siciliani" espatriano
a Roma, fondano il gruppo giornalistico di "Avvenimenti".
"Avvenimenti" non divenne solo l'organo politico
della Rete, ma cercò di coagulare una "società
civile" nazionale, cooptando le esperienze che avevano
subito l'esclusione e la sconfitta prima nell'ambito del
blocco del "compromesso storico" e poi con il
formarsi del blocco DC/PSI.
Il gruppo degli "espatriati" mantiene viva non
solo l'esperienza e il ricordo, ma anche i contatti con
l'origine della propria vicenda politica e professionale.
Il 5 gennaio di ogni anno sotto la lapide eretta in memoria
di Pippo Fava, sul luogo dell'uccisione, ci si incontra.
I giornalisti del gruppo de "I Siciliani" sentono
di fare parte di un gruppo, ritualizzano questa loro appartenenza.
Il rito serve a rafforzare l'identità e l'appartenenza,
a dare un senso alla propria attività personale e
politica. In un quadro di disgregazione dei valori tradizionali
e politici, questi ragazzi si aggrappano al nome di Pippo
Fava e alla sua vicenda costruendosi una religione laica
ma egualmente forte e "appartenente". L'appartenenza
diventa per essi motivo di forza e di coagulo, ma anche
momento di debolezza quando si vorrebbe allargare il consenso
e la comunicazione al di fuori.
Il ritorno
Nel 1993, a giugno, c'è l'elezione
diretta del sindaco al comune di Catania. Sono contrapposti
due rappresentanti della sinistra - sono i mesi che precedono
la "discesa in campo" di Berlusconi, siamo nel
clima dello sbando dei potentati tradizionali sotto tangentopoli
-: Enzo Bianco e Claudio Fava.
Il giugno del 1993 viene vissuto in alcuni come "l'ora
della riscossa". E' forte il risentimento e il sospetto
politico nei confronti delle forze tradizionali della sinistra,
oltre che la rivendicazione antimafiosa.
Il "ritorno" di Claudio Fava a Catania nel 1993
ha una matrice personale, familiare, ideologica; ed è
parallela al "ritorno" del gruppo "storico"
giornalistico de "I Siciliani" a Catania: Miki
Gambino, Riccardo Orioles. E' una vicenda complessa: il
gruppo giornalistico non è "retino", ma
senz'altro appoggia Claudio Fava. Fava all'interno della
Rete fa un discorso proprio, nella caratteristica della
Rete di accogliere elementi eterogenei e spuri, di matrice
culturale e linguaggi diversi. Vi è uno sfasamento
tra il "fare giornalistico" dei giornalisti de
"I Siciliani", e il "fare politico"
del gruppo retino dei "I Siciliani" di Claudio
Fava. Tale sfasamento, posto in secondo piano nel momento
in cui si intravede una vittoria, diventa visibile al momento
della sconfitta. Il gruppo giornalistico de "I Siciliani"
dà una lettura realistica della situazione: se si
vuole fare un giornale a Catania occorre un appoggio politico,
che veicoli i finanziamenti necessari. E' attorno al tavolo
politico che si vuol mettere insieme gli imprenditori di
sostegno; non è neppure ipotizzabile che gli imprenditori
siciliani potessero mettersi attorno a un "progetto
d'impresa"; il gruppo di giornalisti de "I Siciliani"
è convinto della validità anche dal punto
di vista economico dell'iniziativa, la sua sostenibilità
e il ritorno economico, ma sanno bene che l'imprenditoria
siciliana non è abituata a pensare un giornale come
impresa ma solo come espressione di una lobby politica.
D'altra parte senza sostegno finanziario un giornale non
è possibile: non un giornale che voglia essere concorrente
reale al blocco economico e culturale che il quotidiano
"La Sicilia" rappresenta.
Obiettivo del gruppo giornalistico
de "I Siciliani" tornati a Catania è quello
di realizzare il progetto di Pippo Fava: un quotidiano.
Attorno al "progetto quotidiano" cominciano a
lavorare il gruppo dei giornalisti, attivi nel reclutamento
delle nuove leve e nel recupero degli ex rimasti a Catania.
Sul fronte dell'appoggio finanziario, Claudio Fava assicura
il contatto con una serie di imprenditori che assicurano
all'inizio il loro impegno.
Su progetto grafico di Orioles esce in formato tabloid "I
Siciliani nuovi" mensile. La sede, che era in via Crociferi,
di fronte alla Camera del lavoro (CGIL) di Catania è
troppo angusta per cui si passa di lì a poco in una
più ampia struttura, affittando una nuova sede in
via Regina Margherita, su due piani di una villa settecentesca.
Il giornale viene stampato a Roma, a causa dei minori costi
che si riesce a spuntare (attraverso la sinergia con "Avvenimenti").
Sono di volta in volta i redattori stessi de "I Siciliani"
che fanno da corrieri per le pellicole e per il ritiro delle
copie da distribuire.
Il tentativo di Faillaci
La direzione di Faillaci, tra la fine
del 1995 e l'inizio del 1996 è l'ultimo tentativo
di tenere in vita la testata. Si abbandona la grafica del
tabloid, vengono pubblicati alcuni numeri in nuovo formato:
fascicolo della dimensione dei settimanali dell'epoca (Espresso,
"Avvenimenti", Panorama) ma "patinato".
Il tentativo è quello di presentare un prodotto appetibile
al mercato e ai lettori, dimostrare che si è in grado
di fare un "prodotto bello", cercare di attirare
in questo modo gli investimenti pubblicitari che nel corso
di questa esperienza sono rimasti risibili. Pur senza rinunciare
al contenuto "pesante" e "impegnato"
- si veda la pubblicazione dei lunghissimi elenchi con i
nomi dei massoni siciliani, le inchieste ecc. Il generoso
tentativo di Faillaci muore dopo pochi numeri. Non si riesce
a trovare nessuna agenzia pubblicitaria, nessuna azienda
disposta a investire in pubblicità su "I Siciliani"
[36].
Note: [35] Cfr. anche: Claudio Riolo, L'identità
debole: il PCI in Sicilia tra gli anni '70 e '80, Palermo
1989.
[36] I protagonisti di quest'ultima vicenda
alla metà del 1996 emigrano in gran parte, trovano
una collocazione all'interno di "Avvenimenti".
Orioles rientrare in "Avvenimenti", partecipa
all'esperienza di Sud - evoluzione del progetto network
- che non si realizza; partecipato all'esperienza di Zeta;
per le elezioni comunali a Catania nel 2000 torna in città,
tenta di costituire un gruppo di redazione appoggiato da
un politico locale ex retino (Guarnera) ma non si va oltre
qualche riunione interlocutoria; crea La Catena di San Libero,
interessante uso dei mezzi di comunicazione digitali "poveri".
Faillaci e il suo gruppo lavorano a "Avvenimenti".
Danno vita a Ultime Notizie, tentativo di quotidiano nazionale
che parte da Roma. Il progetto dura un paio di anni, chiude
definitivamente nel 2000 insieme alle difficoltà
economiche e di vendite di "Avvenimenti".