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La parola che uccide: I Siciliani, di Pina La Villa | [1] | [2] | [3] | [4] | [5] | [6] | [7] | [8] | [9] | [10] | Addamo | Orioles | [Bibliografia]

 

[4] La nascita de "I Siciliani"

Lasciata la direzione del "Giornale del Sud" nel 1981, all'inizio del 1982 Fava, disoccupato dopo questa vicenda assieme ad alcuni dei "suoi" ragazzi, li riunì per fare un nuovo giornale, questa volta senza padroni, gestito da una cooperativa formata dagli stessi redattori. La cooperativa si chiamerà Radar e ha anche il progetto di un nuovo mensile, con Fava direttore responsabile, dal titolo "I Siciliani".

"Dopo una serie di riunioni che si tennero nella sede della cooperativa Alfa, di cui Fava era presidente e che comprendeva attori e giornalisti, nella primavera del 1982 si ebbe la riunione definitiva. Tutti i partecipanti si dissero disponibili all'idea e alla proposta Fava: fondare una cooperativa e lanciare sul mercato, anche nazionale, un settimanale indipendente e di denuncia, che partisse dalla Sicilia ma fosse anche espressione dell'intera nazione. […] Gli intenti della cooperativa erano quelli di creare un centro stampa che permettesse di ottenere, negli stessi locali della redazione, un prodotto completo, dalla scrittura alla stampa. […] Sede del nuovo giornale fu un unico locale, ubicato a S. Agata Li Battiati, uno dei tanti paesini dell'hinterland catanese, al pianterreno di un grande palazzo, ed utilizzato per metà a redazione e per metà a tipografia. La tipografia venne comprata con un credito ottenuto dall'IRCAC (Istituto Regionale di Credito alle Cooperative), a fronte di cambiali per 256.000.000 di lire sottoscritte dai cinque consiglieri d'amministrazione della cooperativa.[…] Dopo l'arrivo delle macchine ["due bellissime Roland di seconda mano, offset bicolori settanta/cento"], la cosa più importante divenne quella di saperle usare. Per un anno la redazione provò esperimenti di ogni tipo. Per esempio fu stampato un giornale in lingua inglese "Walkie Talkie", che nascondeva tendenze filopalestinesi e anti-reaganiane, che veniva venduto ai soldati americani della base militare di Sigonella. Un'esperienza utile che servì soprattutto a provare i vari modelli di impaginazione e grafica, puntando essenzialmente alla valorizzazione e al taglio da dare ad ogni pezzo. Il modello a cui ci si voleva rifare, sia come "veste" grafica che come contenuti era il vecchio "L'Espresso" di De Benedetti, un giornale di denuncia ma semplice e chiaro nell'esposizione, accessibile a tutti.
Della grafica si occuparono specificatamente Claudio Fava e Riccardo Orioles, che già se ne erano occupati nel "Giornale del Sud". La distribuzione fu curata da Miki Gambino, mentre Pippo Fava si occupò della pubblicità.
Fu stipulato un contratto con la SOCOP, la società che produce pubblicità per le cooperative, ma un contratto di appena un centinaio di milioni l'anno si rivelò ben poca cosa per una testata che aveva grandi pretese. Si cercò allora anche pubblicità su scala locale, ma raramente si stipularono contratti a lungo termine [17].

Con questi mezzi - e con queste incognite - inizia la storia della rivista, che si pone con piena coscienza delle finalità squisitamente politiche.

Politico nel significato più puro del termine, una sfida cioè, alle spalle della quale non ci sono padroni ma semplicemente la volontà di essere finalmente protagonisti del proprio destino. Profondamente dentro i propri problemi con la capacità, la pazienza e la fantasia di proporne le soluzioni. A Palermo come a Napoli, a Catania, a Roma, a Bari. Orgogliosamente. Capovolgendo il vecchio e infame paradigma che ha sempre posto la cultura subalterna alla politica [18]

E' chiaro, dalle vicende che fin qui abbiamo raccontato, che la conquista di questa dimensione politica avviene tutta dentro la realtà difficile dell'informazione in Sicilia. Giuseppe Fava non è mai stato un uomo di sinistra né tantomeno un politico. Parte dalla letteratura per arrivare alla cronaca - la passione per le storie e per ciò che ci stava dietro - e dalla cronaca va a finire alla politica.

L'intenzione che aveva quando aveva cominciato a fare il "Giornale del Sud" era quella di dirigere un bel giornale libero, autonomo, concorrenziale rispetto a "La Sicilia", dopo l'intenzione fu diversa: non più soltanto un buon giornale libero, ma un giornale che diventasse lo strumento per parlare di come la città, Catania, si era modificata, di come si erano modificate la geografia siciliana e le regole del gioco. […] Un giornale che può, in sostanza, sintetizzare il cambiamento della Sicilia degli anni Ottanta, che non passa solo attraverso il salto di qualità fatto dalla mafia, cioè l'asse imprenditoriale mafiosa che si crea tra la Sicilia occidentale e quella orientale, ma anche attraverso il crollo del mito industriale, la definitiva devastazione ambientale di tutta la Sicilia, la nuclearizzazione dell'isola come discorso culturale di emarginazione dal resto della penisola. Tutte cose che vanno raccontate in quel momento, che dieci anni prima non esistevano e che dieci anni dopo saranno già state ampiamente descritte. Quello è dunque il momento in cui accadono quelle cose che noi stiamo vivendo, e noi in qualità di giornalisti siciliani dobbiamo necessariamente prenderne atto e comunicarlo agli altri, ed abbiamo bisogno di uno strumento per farlo [19]

La novità, il significato del giornale, fu di proporre, amplificati, gli argomenti scottanti presenti nella realtà siciliana degli anni ottanta: la crescente e troppo a lungo sottovalutata potenza delle famiglie mafiose catanesi; il flusso di denaro pubblico nelle casse delle Istituzioni regionali e in quelle di soggetti equivoci o addirittura mafiosi; il pericolo, non solo di guerra, ma anche di rafforzamento della presenza mafiosa, portati dalla creazione delle basi nucleari NATO in Sicilia; la necessità segnalata a suo tempo dal generale dalla Chiesa, di far luce sulle fortune dei principali imprenditori catanesi; le connessioni ben più che occasionali tra mafia e politica [20].
Il tema centrale che occupava gran parte delle pagine del giornale era la società civile coi suoi problemi. Poi c'era lo sguardo rivolto particolarmente a Catania, questa città che da trent'anni aveva nascostamente consolidato una malavita estremamente potente, che Fava chiamava mafia [21].

Il giornale comincia ad uscire proprio nel momento in cui, dopo il delitto Dalla Chiesa, esplose il caso Catania, il nuovo protagonismo dei clan catanesi (Nitto Santapaola) nella cupola.

Alla fine del novembre 1982, le trattative e i dibattiti per decidere se fare o non fare un nuovo giornale terminarono. Nell'incombenza di nuove tragedie e di nuove vittime, dopo l'uccisione del generale dalla Chiesa, diventava improcrastinabile una tribuna dalla quale denunciare" [22]


Note:
[17] Cannavò, op.cit., p.155-157.

[18] Giuseppe Fava, Una sfida dal Sud, in "I Siciliani" a. I,n.3, marzo 1983.

[19] Intervista a Claudio Fava, in G. Russo, Editoria e ambiente: il caso della rivista "I Siciliani", Facoltà di scienze politiche, Università degli studi di Milano, tesi di laurea a.a. '88-'89.

[20] Cannavò, op.cit., p. 41

[21] Cannavò, op.cit., p. 158

[22] Cannavò, op.cit., p. 160

 



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