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Intervista alla dottoressa Gina Portella di EMERGENCY

Impegnata nella gestione dell’Ospedale allestito alla Fiera di Bergamo, con la collaborazione dell’ANA e del Confartigianato di Bergamo, la dottoressa Portella ha risposto gentilmente alle nostre domande.

di Piero Buscemi - mercoledì 15 aprile 2020 - 3082 letture

A Bergamo, una delle province più colpite dall’epidemia, un team medico e logistico di EMERGENCY è al lavoro presso il presidio ospedaliero in Fiera dell’ospedale Papa Giovanni XXIII.

Il team medico, composto a oggi da 10 medici, 14 infermieri, 4 fisioterapisti, 4 OSS, 1 tecnico di laboratorio e 1 tecnico di radiologia, gestisce un reparto di Terapia Intensiva da 12 posti letto.

L’equipe logistica e tecnica ha partecipato alla progettazione e all’allestimento del nuovo presidio in Fiera, lavorando fianco a fianco con circa 300 volontari, tra artigiani bergamaschi (carpentieri, elettricisti, cartongessisti, idraulici e imbianchini), 150 volontari della Sanità Alpina e 40 della logistica della Protezione Civile Ana.

Emergency100px_arton29817-9b018 Girodivite: Ci riassumi la giornata tipo all’interno dell’ospedale?

Dottoressa Portella: La giornata comincia con le consegne da parte dei medici che hanno fatto il turno di notte con la descrizione dell’andamento dei pazienti. Questo avviene di solito in quella che chiamiamo zona gialla: in sostanza un ufficio con le pareti di vetro in cui possiamo stare con una divisa più leggera separati dai pazienti ma pronti ad intervenire in caso vedessimo dei problemi.

Si entra poi in zona rossa adeguatamente equipaggiati per assistere i pazienti e la giornata prosegue come in una normale terapia intensiva con la sola differenza di prendere qualche intervallo ogni 6 ore circa, uscendo con una attenta svestizione controllata da esperti formati per assistere e sorvegliare la correttezza delle procedure, sia per bere un caffè o per discutere dei pazienti coi colleghi che cambiano il turno.

G: L’esperienza di Emergency con l’Ebola sarà sicuramente preziosa. Che differenza tra le due emergenze?

P: Parliamo di due epidemie molto diverse innanzi tutto per il tipo di Virus: ebola ha avuto tassi di mortalità fino al 90%, il paese dove operavamo non aveva una Rianimazione con ventilatori, la situazione sanitaria era decisamente diversa, tuttavia la modalità di contagio del virus consentiva di identificare il momento di inizio dei sintomi e il momento in cui il paziente era contagioso. In sostanza si poteva pensare a distinguere e compartimentare ambienti dove il virus non fosse presente (l’ospedale chirurgico e pediatrico di Emergency ha continuato a lavorare per tutta la durata delle epidemia senza che nessuno si infettasse né tra il personale né tra i pazienti grazie alla possibilità di fare un triage all’esterno).

Il CoV 19 non permette in modo chiaro questa distinzione per cui, pur essendo meno mortale, ha modalità di contagio non chiaramente identificabili con l’insorgere dei sintomi; non è sostanzialmente possibile distinguere chi è contagioso e chi non lo è. Questo credo abbia portato ad una diffusione maggiore del virus nonostante gli sforzi anche all’interno delle strutture sanitarie.

G: Come pensate si evolverà la situazione nei prossimi mesi?

P: Non saprei proprio dirlo, dipende da troppi fattori.

G: C’è un problema d’impatto del virus diretto sui pazienti, e uno che riguarda i parenti?

P: Se per impatto sui parenti si intende l’impossibilità di visitare i propri congiunti o gli amici, sì c’è un impatto fortissimo di carattere psicologico. Non poter supportare, stare vicini durante le degenze o quando si è isolati a casa è duro, specialmente se poi l’esito della malattia è infausto.

È difficile non poter salutare le persone a cui si vuole bene.

G: Come si sta affrontando anche il problema del supporto materiale e psicologico?

P: Gli ospedali e gli operatori fanno qualunque sforzo per tenere i contatti con le famiglie anche se nei momenti di maggiore diffusione della malattia era difficile curare e contemporaneamente contattare con puntualità le famiglie.

G: Come ha reagito la città al virus?

P: Io ne vedo solo le code, non sono di Bergamo.

Avverto l’enorme fatica fatta e sento quanto siano tutti sfiniti e tristi.

G: Che strutture di supporto sono state approntate?

P: Su questo bisogna sentire chi ha lavorato a Bergamo.

Noi siamo ora nell’ospedale della fiera per garantire un team per il trattamento intensivo dei pazienti che lo richiedano.

L’ospedale è stato costruito in 10 giorni dagli Alpini dell’ANA col supporto in fase di progettazione del team di Emergency e con il supporto della Confartigianato Bergamo, e gruppi di tifosi dell’Atalanta.

L’ospedale è dotato di 140 letti di degenza per pazienti a basso, medio e alto livello di gravità affetti da COVID.

Il personale medico, infermieristico e tecnico è composto da personale del Papa Giovanni di Bergamo, dal team di Emergency, da un contingente Russo e da colleghi volontari convocati tramite la protezione civile.

G: Le istituzioni sono presenti?

Come dicevo l’ospedale è sotto la direzione del Papa Giovanni struttura pubblica e c’è la totale collaborazione col coordinamento della regione.

G: Le associazioni cattoliche?

P: Non ne sono a conoscenza.

G: Cosa possono fare i cittadini per aiutare Bergamo e Emergency?

P: Direi che i cittadini stanno collaborando tantissimo, sia rispettando le norme sia mostrando anche attraverso il sostegno volontario alla struttura e ai colleghi.

Si sente molto la voglia di essere uniti nel cercare di limitare la malattia e il contagio.

G: Chiuderemmo con una domanda provocatoria, lasciando la libertà di rispondere o meno. "Che idea vi siete fatti sulla nascita e la diffusione di questo virus?"

P: Idee particolari nessuna, osserviamo come tutti che la diffusione di patologie virali, verosimilmente con serbatoi animali, possano essere trasmesse rapidamente in molte regioni del mondo dato i nostri stili di vita. Credo occorrerà che le autorità sanitarie considerino questi fenomeni purtroppo sempre più probabili e debbano pertanto affrontare il problema sia in termini di prevenzione, sia di modalità di intervento.


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Dottoressa Gina Portella

Gina Portella Ha lavorato come coordinatrice e anestesista e nella terapia intensiva, dal 2007 al 2014 presso il Centro di cardiochirurgica di "Salam" in Sudan. Ad Ottobre 2014 si è trasferita in Sierra Leone per 7 mesi per coordinare il centro Emergency che si è occupato dei malati di Ebola. Dal 2015 continua a lavorare in Sudan per 3-6 mesi all’anno.



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