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Intervista a Franco "Bifo" Berardi

Videocrazia e democrazia nella comunicazione sono i temi trattati dal filosofo bolognese durante un suo recente intervento alla quinta edizione del Bookfestival di Scordia(CT). Berardi sottolinea la drammatica occupazione del mediascape da parte del potere berlusconiano e l’urgenza di dotarsi di strumenti di comunicazione virali che riescano a penetrare nell’immaginario collettivo.

di Alessandro Calleri - mercoledì 2 giugno 2004 - 7425 letture

In Italia in questi ultimi anni assistiamo ad una concentrazione del potere mediatico allarmante, possiamo parlare di videocrazia compiuta?

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"Bifo" al bookfestival di Scordia(CT).
Sullo sfondo il manifesto del Bookfestival
che riproduce la copertina
dell’ultimo libro di Wu Ming

Quando parliamo di videocrazia si deve pensare al predominio del visivo nella mente e nella cultura occidentale, prima di tutto. La prevalenza di un senso particolare, il senso della vista rispetto all’olfatto o al tatto, ad esempio. La mente post-moderna tende a funzionare sempre più attraverso modalità visive perdendo contemporaneamente una capacità di distinzione sensibile legata alla pluralità dei sensi. Poi c’è un secondo livello di quella che riguarda il predominio del medium televisivo rispetto all’insieme del mediascape. La televisione come sappiamo ha una struttura che tende alla forma gerarchica e passivizzante rispetto a quella offerta da altri media. In ultimo c’è un terzo livello legato al concetto di videocrazia, quello più direttamente politico, e cioè la costruzione di un predominio economico, finanziario e politico all’interno di un medium che a sua volta ha il maggior potere di influenza nella formazione dell’immaginario collettivo. Per questo le lacerazioni apportate ai sistemi democratici nell’epoca del potere berlusconiano, o del predominio Murdoch nel mediascape italiano e globale, in un certo senso rappresentano il livello più avanzato del predominio ma allo stesso tempo potrebbe anche raffigurare il momento della crisi imminente, cioè il momento in cui questo predominio della televisione e del visivo si manifestano in maniera "patologica" e quindi mette in moto dei processi che tendono poi a decostruire questo sistema.

Il movimento new-global in questi ultimi anni ha proposto esperienze significative nel campo della comunicazione, dando vita a diverse forme di mediattivismo molto innovative rispetto al panorama desolante di cui facciamo parte. Credi che le realtà nate all’interno del movimento possano contribuire al superamento dell’attuale dittatura mediatica? E quali forme potrebbero assumere?

Da Seattle in poi, e quindi dalla formazione di Indymedia dato che le due cose coincidono, i movimenti hanno lavorato su una cosa importantissima che è quello della contrapposizione della forma reticolare alla forma televisiva. Questo per i movimenti è congeniale, quindi è stato quasi naturale utilizzare una connessione tra le diverse realtà che ha caratteristiche orizzontali, democratiche e anche globali, da contrapporre al modello centralistico proposto dalla televisione. Però questa è solo una parte del percorso. Certamente questo ha reso disponibili strumenti che i movimenti non avevano mai avuto, ha dato la possibilità di agire comunicativamente sul piano globale. Manca ancora la capacità di rompere il predominio del mediascape.

E’ vero che un media reticolare è capace di reggere le pressioni anche per un lungo periodo, ma è bene aver chiaro che rimane comunque minoritario, sia nei consumi e certamente nella formazione dell’opinione. Per quanto gli utenti della rete crescano di numero, l’uso della rete tende a diventare sempre più televisivo. La sperimentazione della rete contrapposta alla televisione ha avuto l’importantissima funzione di salvaguardare l’autonomia culturale dei movimenti e di una parte della società, ma non è riuscita a vincere la battaglia decisiva sul piano tattico.

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"Bifo", foto scattata dopo l’incontro "dalla
videocrazia al mediattivismo: l’esperienza delle telestreet".
All’incontro partecipava anche Giancarlo Vitali di Orfeo TV.

Oggi si deve ragionare sulla necessità di dotarsi di strumenti strategici e, soprattutto, sulla possibilità di portare l’attacco contro la congiunzione tra potere mediatico e mente collettiva. In questa direzione credo che ci sia un nuovo filone di ricerca e sperimentazione, che è quello che prende il nome di "culture jamming", cioè di interferenza nel sistema comunicativo e nel sistema culturale.

Uno dei gruppi Americani più noti, tra molti altri che praticano il "culture jamming", è quello che fa riferimento alla rivista Adbusters. L’azione di questi "disturbatori" potrebbe essere utile per raggiungere quella che Bateson chiama "ecologia della mente"?

Assolutamente! L’azione di interferenza mediatica svolge una funzione che possiamo definire terapeutica, ha la funzione di svelare la menzogna di regime, anche se questo in fondo è un compito che la controinformazione ha sempre proposta. In realtà nell?inconscio e nell?immaginario collettivo, le cose non funzionano tento in termini di "buono", "cattivo", "vero", "falso". Le cose funzionano in maniera infinitamente più complessa. Quello che è decisivo non è tanto la scoperta della verità contro la menzogna, come se la verità ci fosse. Quello che è importante è scoprire i punti in cui l’immaginario si sgretola!

Come improvvisamente la gente decide di mettere le gonne corte piuttosto che le gonne lunghe, di tagliarsi i capelli in un modo piuttosto che in un altro, come mai ad un certo punto si diffondono mode, desideri, forme di vita. Ecco, queste sono le cose importanti, cogliere quelle forme di comunicazione che hanno una potenza virale di circolazione, che hanno la capacità di contagiare e di mettere in moto degli stili di vita autonomi e alternativi.

Su questo io direi che noi stiamo solo cominciando a lavorare dato che il "subvertising", il "culture jamming" per il momento ha fatto alcune esperienze, agendo soprattutto sul piano della sperimentazione, non ancora della pratica diffusiva.

Facciamo una piccola riflessione sul panorama politico italiano. In molti oggi avvertono l’impressione che in parlamento esista uno schieramento trasversale, specialmente sui temi della comunicazione, teso a mantenere una situazione di oligopolio/monopolio del potere politico economico. La riflessione intorno ai problemi della comunicazione e dell’informazione pensi possa trovare ascolto e sensibilità presso le forze politiche?

Io non mi aspetto niente dalla politica in generale. La politica intesa come "ceto" strutturato è costitutivamente incapace di capire il problema della comunicazione. Questo avviene non solo perché i politici italiani sono degli ignoranti, e se li conosci non puoi avere dubbio, ma anche perché la politica come pratica separata ha una tendenza quasi incoercibile a concepire la comunicazione come un "mezzo", uno "strumento".

La comunicazione è un ambiente, è una forma di vita. Prendiamo ad esempio la questione della rai, proviamo ad immaginare di chiedere ad un politico di sinistra, su cui a modo loro dovremmo sperare, che cosa ha in mente per il futuro di quest’azienda. Semplicemente ha in mente di lottizzare la rai a sinistra come fino ad ora è stata lottizzata a destra a come prima era lottizzata...e via dicendo.

L’idea del politico è quella secondo cui l’ambito della comunicazione riguarda strumenti che possono essere usati in modo buono o cattivo, di destra o di sinistra. Non ne usciremo mai seguendo questi schemi di ragionamento. Anzi, oggi abbiamo la conferma che una concezione lottizzante, strumentale, della comunicazione finisce poi per favorire le forze più autoritarie e antidemocratiche. Il problema è che della "comunicazione" dovrebbero occuparsene tutti i cittadini in quanto "comunicatori", e quindi il mediattivismo non deve diventare il comportamento di una minoranza attiva, ma dovrebbe essere lo stile predominante nel rapporto con i media.

Per questo tu pensi che il mediattivista dovrebbe essere contemporanemanete politico e poeta?

Nel momento in cui i media entrano sempre più invasivamente nella nostra vita quotidiana, specialmente nella formazione del nostro desiderio, è indispensabile essere capaci di agire sulla nostra comunicazione in maniera consapevole e tale da sciogliere dei nodi che i media costruiscono nella nostra sfera relazionale e psichica.

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> Intervista a Franco "Bifo" Berardi
21 aprile 2005, di : Explorer |||||| Sito Web: Wu Ming...

Senza dubbio in certi casi Indymedia è molto utile. Per esempio l’articolo di Arkivia uscito su Indy mi ha fatto capire tante cose su come si è sviluppata la corrente cyber più fantasiosa: http://italy.indymedia.org/news/2004/12/702065.php