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I 98 anni di un giornale “fantasma”

L’Unità non esce più, ma ha ancora 25 dipendenti

di Adriano Todaro - mercoledì 16 febbraio 2022 - 2776 letture

Ben 98 anni fa, esattamente il 12 febbraio 1924 dalla tipografia di via Settala, a Milano, usciva il primo numero de l’Unità, ”Quotidiano degli operai e dei contadini” così come recita il suo sottotitolo. La scelta della testata era stata indicata da Antonio Gramsci fin dal 12 settembre 1923 e aveva un significato semplice di richiamo all’unità fra operai e contadini, fra il Nord e il Sud del Paese. Diretto da Ottavio Pastore, il giornale ha sei colonne e da quel primo numero rappresenterà per i proletari, gli antifascisti, per operai, contadini, intellettuali e studenti, un punto di riferimento ben preciso. Mussolini tenterà in tutti i modi di bloccarne la diffusione e, spesso, anche i governi “democratici” del dopoguerra tenteranno – attraverso denunce, querele, sequestri – di bloccarne l’uscita. Su quelle pagine, su quelle colonne hanno scritto intellettuali prestigiosi, scrittori, cineasti, politici.

Sono passati 98 anni e, ormai, quella gloriosa testata non c’è più. O, meglio, non c’è più nelle edicole, ma esiste ancora e ha, addirittura, ancora dipendenti. La solita pasticciata e bizantina situazione italiana per un quotidiano sparito dalle edicole nel giugno 2017, ma vivo attraverso una società editoriale comatosa ma soprattutto con 25 dipendenti.

Sembra ed è una storia incredibile eppure è vera perché la società editrice non licenzia i 25 dipendenti per non dover dare loro ciò che prevede il contratto, non li richiama in servizio, non paga i contributi, non permette a giornalisti e poligrafici di usufruire del sussidio di disoccupazione. I 25 sono in ostaggio di una società che non paga i debiti contratti verso i propri dipendenti.

I ricorsi al Tribunale civile, i decreti ingiuntivi esecutivi, la Cig ordinaria scaduta, sono tutti tasselli di questo vergognoso puzzle. Solo il Covid ha “aiutato” i 25 dipendenti grazie alle misure straordinarie previste dal governo. Ma il 31 dicembre scorso è scaduto il tutto e si ritorna al limbo: o di nuovo in servizio o licenziati. Questo prevedono le norme. Invece per gli editori de l’Unità sembra esserci una sorta di impunità per cui possono permettersi di mantenere in questo assurdo limbo 25 persone. La storia dell’Unità “moderna” quando sono arrivati i “giovani rampanti”, è decisamente penosa. La crisi inizia nei primi Anni ’80 con il caso Maresca, quando l’Unità pubblica un documento in cui si denunciano alcuni membri del governo di collusione con la nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo che, però, si rivela falso. Il direttore Claudio Petruccioli deve dimettersi e al suo posto viene nominato Emanuele Macaluso. (Petruccioli nel luglio 2005 sarà eletto presidente del consiglio d’amministrazione della RAI).

Comincia la crisi del grande giornale della sinistra. Prima la direzione di Massimo D’Alema con la trasformazione da Pci a Pds, poi la direzione di Walter Veltroni dal 1992 al 1996 con in allegato le videocassette del cinema italiano e album completi delle figurine Panini . È un boom che dura, appunto, la durata delle videocassette.

Nel 1997 si apre alla privatizzazione e si fanno avanti per acquistare la testata diversi personaggi come Alfio Marchini e Giampaolo Angelucci. Intanto le vendite crollano a 60 mila copie. Nel 1998, per salvare il posto di lavoro, 123 giornalisti si autoriducono lo stipendio. Nel settembre 1999 viene richiamato alla direzione Giuseppe Caldarola, ma il quotidiano continua a perdere copie e nel giugno del 2000 si scende sotto le cinquantamila copie. Il 13 luglio 2000 il quotidiano è in liquidazione e si tenta una disperata rinascita con l’editore Alessandro Dalai (Baldini & Castoldi), ma non se ne fa nulla e il 28 luglio 2000 il quotidiano cessa le pubblicazioni. In quel periodo il quotidiano arriva a tirare circa 28.000 copie.

Nel gennaio 2001 un gruppo di imprenditori coordinati da Dalai si organizza come Nuova Iniziativa Editoriale, rileva la storica testata e l’Unità torna in edicola il 28 marzo 2001. A fine 2007 incomincia ad affacciarsi seriamente l’ipotesi di acquisto del quotidiano da parte della Tosinvest, società legata alla famiglia Angelucci, editrice di Libero e del Riformista. Renato Soru patron di Tiscali acquista la testata e la fa dirigere a Concita De Gregorio che nel 2017 abbandona. L’insolvenza del quotidiano l’Unità si è tradotta in una massa di debiti per 125 milioni di euro con le banche creditrici, di cui 107 già versati dallo Stato in base alla Legge 11 luglio 1998, n. 224, varata dal governo Prodi, che ha introdotto la garanzia statale sull’esposizione dei giornali di partito.

L’Unità torna in edicola il 28 marzo 2001, e si decide di far dirigere la testata a Furio Colombo, coadiuvato da Antonio Padellaro e da Pietro Spataro. Dal 27 dicembre 2004 la direzione passa ad Antonio Padellaro in quanto per una polemica con la proprietà, Colombo si è dimesso. Nel 2014 segretario del Pd è Matteo Renzi il quale sceglie il costruttore Massimo Pessina e il suo amministratore, Guido Stefanelli, come editori. Una gestione nefanda, fallimentare senza investimenti sul quotidiano cartaceo e neppure sul sito web sempre promesso e mai avviato. Dopo meno di due anni la chiusura.

Una volta l’anno l’Unità torna in edicola, per un giorno, così da non far scadere la registrazione della testata in Tribunale. A dirigere, per un giorno, il quotidiano che fu del Partito comunista italiano, vari giornalisti. Addirittura il 25 maggio 2019 il giornale torna in edicola per un giorno con un direttore di destra, Maurizio Belpietro, suscitando le critiche del comitato di redazione del quotidiano.

Ora 25 lavoratori attendono che i grandi strateghi, del partito prima e di una certa imprenditoria poi, dopo aver dilapidato soldi pubblici, decidano cosa fare di questo giornale “fantasma”. Quando nel 1989 è caduto il muro di Berlino, il direttore dell’Unità del tempo, Massimo D’Alema, uscì con un titolo a tutta pagina «Il giorno più bello d’Europa». Ecco, i 25 lavoratori attendono ancora il loro «giorno più bello».


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