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Emergency e Democrazia a L’Aquila

Incontro Nazionale di Emergency il 6-7-8 settembre a L’Aquila, con l’occasione per poter parlare di emergenza Italia.

di Piero Buscemi - venerdì 7 settembre 2012 - 2601 letture

L’Aquila, dopo il terremoto di tre anni fa, rappresenta la città più significativa per descrivere la situazione del nostro paese, in eterno precariato e senza risposte certe, per il semplice motivo che non si ha più coraggio di farne le domande.

La città è ancora una cartolina da guerra, degna delle città bombardate del Medio Oriente, dove imbracature di acciaio e rinforzi in legno, provano a tenere in piedi uno dei patrimoni artistici più invidiati al mondo.

Certo, è la solita città di sempre, con il suo centro storico, ancora affascinante nonostante le bende che avvolgono i suoi monumenti e le sue sempre presenti camoniette dell’esercito italiano, che almeno in questo caso, non sono impegnate in qualche guerra di pace sparsa nel mondo.

E’ anche la città che ospita il Raduno Nazionale di Emergency e ieri, in occasione della prima giornata dell’evento, che si concluderà sabato, abbiamo avuto l’occasione di parlare di democrazia, una parola quasi in estinzione del nostro vocabolario italiano. Cecilia Strada, Giancarlo Caselli, Vauro, Don Pino De Masi, il sindaco Massimo Cialente, Maurizio Landini, moderati da Corradino Mineo, si sono alternati in un dibattito dove il monopolio della discussione è stato quello di mettere in evidenza come, in un paese come il nostro che si ostinano ad inserire nei vari G...(il numero mettetecelo voi), i cittadini combattono una guerra quotidiana.

Una guerra che sa di opposizione alla cultura alla mafia, come quella condotta da un altro Don del sud, quale Pino De Masi, con le sue battaglie democratiche e la sua speranza di riuscire ad offrire un sogno diverso, o più semplicemente, una normalità negata da troppi decenni in terre di mafie.

Una guerra sindacalista, portata avanti da Maurizio Landini e la sua Fiom, davanti a ricatti morali, etici, e sopratutto vergognosi, sorretti da un comune senso del potere, dove Merchionne rappresenta solo uno dei tanti re magi.

Una guerra sudata da più di quaranta anni dal giudice Caselli, costretto con tantissimi altri colleghi, come Ingroia (tanto per fare un nome), a difendersi contro l’attacco smisurato e senza pudore da parte della classe politica che, nella lotta alla mafia, dovrebbe rappresentare lo scudo istituzionale e non un ambiguo alleato.

Una guerra combattuta dal sorriso di Cecilia, che da presidente di Emergency, ha girato il mondo per curare in diciotto anni non meno di cinque milioni di persone. Per poi tornare in Italia e sentirsi chiedere da una partoriente palermitana, l’elemosina di un esame di amniocentesi che uno stato moderno e "democratico" e il suo servizio sanitario nazionale le hanno procrastinato in un tempo, ben poco definito.

Una guerra che vorremmo più satirica, anzi solo satirica, uscita dalle mani creative di Vauro che, ammettiamolo, quando ha occasione di prendere la parola, sa toccare le coscienze, e mettiamoci anche un po’ di retorica, il cuore. La sua rabbia che sprigiona parlando di lavoro precario, di lavoro a ricatto, di lavoro che non c’è. E spesso, di lavoro di merda, da difendere a trecentosettanta metri di profondità.

Una guerra di un sindaco che sente ancora le ferite. Che trema di rabbia repressa, che vorrebbe sfogare contro una burocrazia che, per paradosso, rappresenta anch’egli nella sua veste istituzionale. Un Massimo Cialente che, da sindaco de L’Aquila, dopo tre anni, osserva due miliardi di finanziamenti per la ricostruzione, messi in letargo da motivi non sempre chiari, mentre i manifesti elettorali tappezzano i muri della città e l’interno delle chiese, inneggiando promesse di ritorno alla normalità.

Forse, analizzando quanto sopra esposto, le parole conclusive di Gino Strada, pronunciate dentro il tendone allestito in Piazza del Duomo ieri sera, sembrano sempre più vere: occorre una Emergency italiana che sappia portare l’Italia ad una condizione di "normale" democrazia. Quella dei tre diritti fondamentali discussi e ribaditi durante il dibattito: il lavoro, la sanità, l’istruzione.

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