Tasse e democrazia

La tassazione è una questione di particolare delicatezza che dovrebbe essere governata con maggiore equilibrio. La prospettiva è quella di consolidare il patto sociale Stato/cittadini.
Le tasse sono un argomento su cui si misura la civiltà di un paese. Lo so può apparire una frase fatta. Non ho trovato di meglio e nel contempo avvertivo la necessità di far subito comprendere a voi lettori l’importanza dell’argomento. E’ infatti risaputo che su tale terreno l’entente Stato/cittadini non è delle migliori. Per carità! Lo Stato è sempre apparso simile a un orco famelico desideroso di far man bassa di ogni guadagno realizzato dai cittadini. Mentre quest’ultimi si sono ingegnati a rinvenire tutte le strade possibili per non pagare le tasse. Definiamolo un matrimonio burrascoso? Eppure è proprio sulla tassazione che si gioca la saldezza del patto sociale Stato/cittadini. Se si rompe le conseguenze potrebbero essere nefaste e compromettere l’unità territoriale del nostro paese. Pertanto, occorre avviare un serio ragionamento al riguardo in modo da ponderare l’argomento in modo compiuto ed esaustivo.
Obiettivo dell’articolo non è redigere un saggio di scienza delle finanze. Per nulla. Bensì di porre l’attenzione su alcune tematiche che mi paiono significative e degne di riflessione. Inizierò dall’Imu fornendo alcuni dati sui tagli dei trasferimenti agli enti locali e sulla recente manovra del governo Monti in materia di tasse. A seguire un brevissimo commento a una proposta dell’economista Giannino per poi discutere sulla “patrimoniale”. Infine, un approfondimento sul federalismo fiscale. Tema scomparso dal dibattito politico dell’ultimo periodo e che io considero propedeutico per rinsaldare quel patto sociale Stato/cittadini in fase di avanzata consunzione.
- L’Imu e i tagli
Imu è un acronimo che sta per imposta municipale unica. La denominazione, dunque, farebbe pensare che si tratta di uno strumento fiscale mediante il quale un comune si dota di quelle opportune risorse finanziare al fine di assicurare un livello accettabile di servizi ai propri cittadini. Niente di più errato. Cerchiamo di addentrarci nell’analisi della delicata quanto complessa questione.
Nonostante il forte inasprimento subìto dai contribuenti italiani con l’aumento della tassazione locale stabilita dal Governo Monti, Regioni e Comuni rimarranno con la bocca asciutta. A denunciarlo è la CGIA di Mestre che ha analizzato le entrate e le uscite di Regioni e Comuni a seguito degli aumenti delle addizionali regionali Irpef e dell’Imu stabilite con il “salva Italia”.
Vediamo il primo caso. Il Governo Monti ha deciso di incrementare l’addizionale regionale Irpef dallo 0,9% all’1,23%. Questa operazione consentirà un maggior gettito per le Regioni, pari a 2,2 miliardi di euro. Contemporaneamente, alle Regioni verranno tagliati 2,2 miliardi di trasferimenti al Fondo sanitario nazionale. Pertanto, per i Governatori, il saldo sarà pari a zero.
Vediamo il secondo caso. Con l’introduzione dell’Imu i Comuni incasseranno 21,4 miliardi di €. Da questo importo verranno sottratti 10,8 miliardi di euro di imposte comunali sostituite dall’Imu (ovvero, Ici sulle seconde e terze case, Irpef e addizionali redditi immobili non locati). Ai Comuni rimarranno 10,6 miliardi di euro. Di questi, 9 miliardi di € dovranno essere devoluti all’Erario (tutto il gettito Imu non riconducibile alla prima casa). Cosicché, nelle casse dei primi cittadini rimarranno solo 1,627 miliardi di euro che a loro volta saranno compensati da una corrispondente riduzione del Fondo sperimentale di riequilibrio. Risultato finale: anche per i Comuni il saldo sarà pari a zero.
“Pertanto, Regioni e Comuni potranno far cassa con l’addizionale regionale Irpef e l’Imu solo quando maggioreranno le aliquote ordinarie imposte dallo Stato centrale. – dichiara Giuseppe Bortolussi segretario della CGIA di Mestre – Inoltre, poiché le disposizioni introdotte dal Governo Monti stabiliscono che è riservata all’Erario una quota di Imu corrispondente alla metà del gettito calcolato applicando l’aliquota ordinaria del 7,6 per mille a tutti gli immobili ad eccezione della prima casa, sarà molto difficile che i Sindaci riducano tale aliquota, altrimenti la differenza rimarrebbe a loro carico”.
Postilla finale riguardo l’Imu. In Italia il prelievo fiscale sugli immobili è del 0,6 % del Pil, negli Stati Uniti del 3,1 %, in Giappone del 2,1 %, in Francia del 2,4 %, in Inghilterra del 3,5 %, in Canada del 3,1 % e una media del 1,1 % nei paesi OCSE. Come potete osservare l’anomalia è rappresentata proprio dall’Italia.
- La manovra Monti
Secondo la CGIA di Mestre nei prossimi anni la pressione fiscale aumenterà di ben 87,3 mld. Nello specifico: 19,9 mld quest’anno; 32,5 mld per il 2013 e 34,8 mld per il 2014. Ma se gli italiani continuano a devolvere in tasse allo Stato i loro magri risparmi come potrà ripartire l’economia? D’accordo pagare gli interessi sul debito, ma non sono più importanti il lavoro e i consumi. Altro dato poco positivo della recente manovra: 81,3 % è rappresentato da entrate (cioè tasse) e solo il 18,7 sono tagli. Eppure uno degli strumenti classici per far ripartire l’economia è la compressione della spesa pubblica. Seconda domanda altrettanto spontanea: il governo è composto da stimati economisti e queste cose le dovrebbero sapere, o sbaglio?
- La proposta Giannino
In un recente intervento televisivo l’economista Giannino ha invitato chi di dovere – e non solo il governo – a riflettere sulla necessità di un processo di riequilibrio fra le varie tipologie di imposizione attualmente operative in Italia. Mi riferisco alla tassazione diretta (ad esempio Irpef), indiretta (vedasi Iva) oppure sui capitali. A me pare una proposta sensata poiché la ratio non può essere quella di drenare soldi da dove posso solo per far cassa. Si rischia un “fiscal crunch” dalle proporzioni inimmaginabili. Una siffatta ratio denota un’azione di governo confusa nonché sedimenta una nomea non certo positiva dello Stato come ente capace di agire esclusivamente sul lato del prelievo. Tale riequilibrio è viepiù necessario anche in vista della piena attuazione del federalismo fiscale e del riordino dei centri di spesa dello Stato. Un’ultima annotazione. Se non si effettua in tempi rapidi un riequilibrio fra le differenti tipologie di tassazione si rischia – a parte il “fiscal crunch” – un’ulteriore spinta verso la recessione. Per non dire depressione economica.
- La patrimoniale
Tutti la evocano come la panacea capace di risolvere i mali italiani. Può essere. Ma vorrei farvi riflettere su un dato. Solo l’un per cento (sic! – nda) dei contribuenti dichiara di guadagnare più di 100.000 euro l’anno. Capirete che applicare una patrimoniale su una platea così piccola non avrebbe senso. Soprattutto in un paese dove un consistente numero di dichiarazioni dei redditi è alterato. Per non parlare di tutti i meccanismi di agevolazione/elusione fiscali che la normativa prevede. Solo se si allarga la piattaforma di quelli che dichiarano di guadagnare più di 100.000 l’anno la patrimoniale diventa plausibile e sensata. Farlo con i numeri attualmente a disposizione è esercizio di pura retorica demagogica. Prima si deve operare nella direzione di rendere credibili le dichiarazioni dei redditi – disboscando nel contempo la giungla delle agevolazioni – e dopo si può ipotizzare l’introduzione di una patrimoniale.
- Il federalismo fiscale
La mia riflessione riguardo al fondamentale argomento rappresentato dal federalismo fiscale sarà articolato mediante la redazione di brevissime annotazioni quasi didascaliche:
1. Il dibattito sul federalismo fiscale non si può scindere da quello afferente alla forma di Stato e alla forma di governo. Non sentiamo la necessità di un riformismo tanto per etichettarci riformisti. Bensì di riforme ponderate collocate in una visione equilibrata e coesa. Le riforme devono servire al paese per rimanere unito e non a renderlo un canovaccio viepiù sfilacciato;
2. La pressione fiscale complessiva ha da essere regolamentata per legge. Ovverossia ogni cinque anni si deve indicare chiaramente che l’imposizione fiscale deve rappresentare – faccio un esempio – il 33 % sulle somme dichiarate in dichiarazione dei redditi. Con un’attenzione particolare: se cresce l’imposizione nazionale deve scendere quella locale o viceversa;
3. La distribuzione fra i vari enti del gettito delle tasse deve essere immediata. Pertanto, va istituito il c.d. “tax day” durante il quale ogni cittadino pagherà in una sola soluzione l’intero “quantum” di tasse dovute. Sarà, poi, cura dell’ufficio distrettuale delle tasse suddividere il gettito delle tasse fra il Comune, la Provincia, la Regione e lo Stato. Questo per dare trasparenza al procedimento di pagamento delle tasse e per evitare la guerra – alquanto grottesca – al momento di decidere i trasferimenti dallo Stato alle Regione o agli Enti Locali;
4. Le tasse locali devono essere – a mio giudizio – di due tipi: 1) Tariffe per espletamento dei servizi comunali. Ciò riguarderà i rifiuti, l’acqua, la manutenzione del territorio, la sicurezza del territorio e l’istruzione; 2) Tassazione sui beni immobili. L’intero gettito di tali tipologie andrà direttamente al comune assicurando un “flow” di risorse costante e certo nel tempo capace di attivare da parte dello stesso comune la fase della programmazione. Fase ancora più essenziale visto che ci si incammina verso la piena autosufficienza finanziaria comunale. In questa cornice di politica fiscale i cittadini avendo finalmente quella trasparenza sul modo di utilizzo da parte del comune delle tasse pagate si sentiranno maggiormente coinvolti nella “governance” del territorio con indubbi generali riflessi positivi;
5. Deve essere prevista una nuova modalità di collaborazione fra gli Enti locali e i cittadini. Tale collaborazione si deve basare sulle succitate tasse locali. Essa ha come l’obiettivo di spingere i cittadini a collaborare per il bene comune. In che senso? Se io effettuo lavori di manutenzione della mia casa il Comune mi riconoscerà uno sconto sulla tassazione sui beni immobili. Ancora. Se aiuto il mio quartiere nel campo della sicurezza allora potrò ottenere una diminuzione della tariffa sicurezza del territorio. E così via dicendo... Così facendo il cittadino è realmente coinvolto nella "governance" del bene comune in quanto capisce che le problematiche comunali sono anche sue, mentre il Comune è reso nella possibilità di far pagare tutti responsabilizando altresì i cittadini e operando una politica di vera terasparenza sui conti dell’ente;
6. Il comune è un ente che non è da sottoporre al pareggio di bilancio. Cosa significa questo? Una cosa molto semplice. Chi ha sbagliato nel gestire il Comune ne paga le conseguenze dal punto di vista amministrativo, civile e penale. E così dovrebbe essere in quanto l’obbligo del pareggio spesso significa bilanci costruiti tanto per raggiungere tale obiettivo. Con il risultato che tali bilanci sono documenti contabili falsi. Il fatto che non ci sia l’obbligo del pareggio è un’incredibile “spada di Damocle” che corresponsabilizza davvero gli amministratori ricostruendo per filo e per segno lo svolgersi del loro mandato. Appena c’è un centesimo di deficit il comune è costretto a depositare i libri i tribunale ed avviare la procedura di fallimento.
Avete capito perché la tematica delle tasse è essenziale? Ne va della coesistenza del nostro paese. E’ proprio sulla fiscalità che si cementa quel patto fra Stato e cittadini in grado di assicurare un assetto stabile all’Italia. Il futuro del paese va delineato ponendo in massima urgenza tale argomento. Se noi si rischia di brancolare nel buio. Se non peggio…
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